21 maggio 2012

Ex Italcementi: rifacciamo Villa De Martino!


Nelle tiepide serate d’agosto dopo che gli ultimi filamenti di sole rossastro avevano disegnato l’aria si preparavano i tavolini e gli scranni dell’orchestrina. Fra poco sarebbe stata musica e folla, fra poco le coppie avrebbero danzato sulle note dei più famosi “chansonnier”, fra poco l’atmosfera sarebbe stata intrisa di festa e di magia. I nostri padri, le nostre zie, gli amici di famiglia, i notabili e i borghesi più semplici, tutti avrebbero provato l’inebriante volteggiare nel verde, immersi tra palme e pineti, tra bouganville e ciclamino. Sarebbero sbocciati amori, ne sarebbero tramontati altri, si sarebbe discusso di progresso e civiltà, di ideali e di sogni di grandezza, si sarebbero gustate le tele e i colori dei pittori di Puglia. Questa era Villa De Martino negli anni ’50. Un’oasi di verde e seduzione. Poi il cemento sovrano e cieco, ebbe il sopravvento. E Villa De Martino sopravvive nei ricordi, e in un triste giardinetto soffocato sotto via Barnaba.
La Villa De Martino con annesso palazzo signorile fu realizzata da Carlo De Martino, armatore monopolitano, su suggerimento della moglie di origini torinesi, Bice Gazzo. L’area verde di oltre un ettaro, con affaccio sul porto, era impreziosita da una statua di Diana cacciatrice e offriva spazio a serate danzanti e varie manifestazioni. Dopo il trasferimento di proprietà ai Giannulo, all’inizio degli anni ’60, venne quasi completamente distrutta per fare posto ad un gruppo di fabbricati. Nel sottosuolo vi è una cripta con alcuni affreschi. Casualmente anche a Posillipo esisteva una “Villa De Martino” che, nel 1962, venne distrutta per far posto ad un palazzo di cinque piani, dando impulso anche ad una interrogazione parlamentare.
Leggo del progetto di “riqualificazione urbana” (sotto questo attributo può nascondersi di tutto), dell’area Italcementi. Leggo di cubature e volumetrie. Leggo di cemento ancora sovrano e cieco. Abbiamo un’occasione per chiedere perdono alla Storia: restituiamo Villa De Martino ai monopolitani. In quei luoghi quasi confinanti alla sua posizione originaria. Restituiamo alla città un polmone sul mare, un balcone verde sull’azzurro. Ritroviamo il gusto della convivialità sobria e civile in un contesto unico e imperdibile. Ce ne sarebbero grate le generazioni a venire.

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