19 gennaio 2018

Passeggiando per il paese che non c'è più (4)

Quanti posti strani ed assurdi avevamo noi ragazzini per giocare a pallone. Dopo il borgo c’erano le Fontanelle, prima che ci piantassero il monumento. Il famoso Triangolo. Dove una squadra aveva gli esterni con 30 metri a disposizione per crossare e l’altra un imbuto di un paio di metri. Dove i pali erano i libri di scuola con la cinta a molla o i giubbotti sui “chianconi”. Dove le traverse erano “a occhio”. Dove le “scarpe nere e lucide di vernice per uscire” si aprivano a bocca di coccodrillo. Dove i palloni finivano: a) Sotto i cantieri delle barche; b) Nella Villa Comunale; c) Dietro il filo spinato che delimitava la banchina che allora non avevano ancora sistemato. Altro luogo deputato era lo spazio in fondo a Via Europa Libera prima che ci costruissero la scuola e dove venivano anche posizionate le giostre. Grande vantaggio per la squadra che aveva il vento a favore e palloni in mare a sazietà. C’erano dei campi con delle porte alla Cava Medico, liberi solo all’alba, e, in quel frangente, si poteva scegliere se tornare a casa e sporcare il pavimento di bianco (cava di pietra) o di rosso (cava d’argilla terrosa): comunque le mamme non scoppiavano certo di felicità. Lasciando il Municipio si entrava in un Paese Vecchio allora terra di nessuno. In Piazza Garibaldi la Biblioteca governata dal sig. Sante Moretti ci ospitava per le ricerche, ed era l’unico luogo dove (forse) riuscivamo a far silenzio. In Piazza Palmieri ebbe sede il CTG altro luogo di eccezionale condivisione. Scuola e associazionismo si fondevano a volte e diventavano una cosa sola. Nel senso che gli amici del CTG, pur frequentando scuole diverse, spesso erano, tutti nella stessa classe del Liceo avendo scavalcato la finestra a piano terra della Galilei. UNO valeva UNO, già allora. La condivisione valeva anche per le auto: ognuno di noi non appena conquistato un foglio rosa, rubava sistematicamente la macchina dei genitori mettendola a disposizione della Comunità: i genitori nutrivano qualche perplessità sul fatto che la macchina potesse consumare benzina da ferma e saltasse da sola da un parcheggio all’altro, durante il giorno. Riemergendo dal paese vecchio dalla strada della Cattedrale c’era la gioielleria Todaro, in largo Vescovado. Nell’ex convento di S.Martino avevano sede diverse associazioni tra cui il Movimento Studentesco e l’Arci. L’attuale parroco della Cattedrale don Peppino Cito era uno dei méntori. Su piazza Monsignore il famoso Lampo che aveva il doppio significato di velocità e di sistemazione di cerniere e affini e che dava i “pesciolini” di liquirizia come resto.





Su Via Milazzo un altro punto sensibile: il meccanico delle moto Tonino Amodio (grasso, olio motore). Per un quattordicenne conquistare il motorino dai genitori a quei tempi era molto complicato. Infatti io ci riuscii a 16 anni quando spezzai il cuore di zio Peppino con lamenti e lacrime da perseguitato politico. Allora c’erano due scuole di pensiero contrapposte: i 2 tempi contro i 4 tempi. Da intendersi come oscillazioni del cilindro. Nella fattispecie i Fantic Motor Caballero contro tutti gli altri, anche il Corsarino Zeta Zeta della Moto Morini che fu la mia scelta. Ok non c’era storia. I Caballero erano delle schegge, Ma c’era un difetto: ti bruciavi facilmente alla marmitta, specie come passeggero. E se dovevi portare la ragazza….era più comodo lo Zeta Zeta, capisci a me…Quante ne ha vissute quel primo motore! Volevo imitare le moto da cross e facevo lo sterrato: incredibile. Avrò rifatto le valvole una ventina di volte. La forcella voleva staccarsi da sola e andare allo scasso per disperazione. Una volta siamo andati in 4 ed io ero seduto sul tachimetro, come da Codice della Strada. L’Istituto delle suore di San Giuseppe non fu solo la mia scuola elementare, ma era anche la sede dell’Istituto Magistrale parificato. Non so se Battiato passasse di qua, ma le “serenate nell’ora di ginnastica o di religione” si svolgevano regolarmente, nonostante le suore vestite da cerberi, vigilassero sulle virtù insidiate delle studentesse. Ho già detto che la scuola media che ho frequentato fu la G.Galilei. Una menzione particolare per l’insegnante che molto più di tanti altri ha destato in me l’interesse per la scrittura e la composizione creativa: il prof. Rosario Biscardi. Ricordo quella sua voce che partiva da un sussurro e raggiungeva picchi baritonali quando si infervorava. L’originalità del suo metodo ne fecero un pioniere per quei tempi in cui la scuola ancora si stiracchiava dalle pieghe di un immobilismo post bellico. Il mio cammino si ferma a Lido Bianco (trionfo degli aromi dei frutti del nostro mare) dove per tanti anni hanno insegnato arte culinaria prima Gino e poi Nardino.
Ecco, riprendendo fiato, mi fermo con la mente appagata per aver rivissuto emozioni che hanno un volto, cavalcano un sorriso, stringono la gola col rimpianto. I luoghi, le persone e le vicende che ho ricordato non sono che una piccola parte di una memoria che dovrebbe divenire condivisa e arricchita da tutte quelle esperienze individuali che, sommate, fanno la piccola e la grande Storia di una città. Una città senza questo patrimonio rimane una città, ma non può aspirare a divenire civiltà

2 commenti:

  1. Ciao, ti ho appena letto, ed avendo più o meno la tua stessa età, anche per me è stato un tuffo nel passato. Qualche dubbio però mi è nato, e qualche precisazione credo di poterla fare,te le espongo in ordine sparso,pur sapendo di non possedere la verità assoluta e che quindi potrei anch'io incorrere in errore. La sede dell'A.C.[ la chiamavamo così, e basta]intesa come club/sala giochi, era in via Sforza, almeno a quell'indirizzo ricordo il "sergente" appellato così poiché era militare a Gioia del Colle presso l'Aeronautica, era coadiuvato da Tonino e dal "tubBista". In via Vasco a quei tempi, mi ricordo un'altra sala giochi... La denominazione esatta del bar a cui fai riferimento è PICCOLO BAR...Le giostre venivano posizionate a Cala Fontanelle e non in fondo a Via Europa Libera, qui venivano montati i tendoni dei circhi...Lampo era un calzolaio... Gino e Nardino hanno lavorato insieme, e quest'ultimo si occupava della sala. Può anche darsi che ci siano errori da parte mia, e mi scuso sin da ora, ma nel dubbio meglio verificare, del resto i commenti servono anche a questo. Saluti. Elio Migailo

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    1. Tutto giusto tranne che per la sede dell’Ac Monopoli che forse è anche stata in Via Sforza ma che io ho frequentato in Via Vasco. Comunque grazie per i contributi: lo scopo principale è proprio riportare a galla pezzi di storia di Monopoli

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Grazie del vostro commento.