Friedrich Nietzsche teorizzava l’impossibilità dell’uomo di sfuggire al proprio destino.
Nella circolarità del tempo egli, per quanto teso verso un percorso di progresso, si ritroverà ad incrociare le sue paure, i suoi desideri, le sue pulsioni. È la teoria dell’”eterno ritorno”. Dodò in questo romanzo mi ha spiazzato: non mi aspettavo dalla sua penna il parto di una “crime story”. L’eterno ritorno è quello del protagonista – Cesare, alias Aldo – svezzato e cresciuto in una Napoli assediata dalla camorra e segnato da una ascendenza che fa riferimento al ventennio fascista. Viene cooptato in un modus vivendi fatto di violenza, malaffare e sudditanza ai capibastone, ma mantiene un suo aplomb costruito sul rispetto conquistato sul campo e anche su un background culturale che ha modo di forgiare in prigione, dove diviene picciotto del bibliotecario, un mammasantissima, che intravede in lui doti non comuni. Tra queste doti c’è anche la sensibilità che, ad onta del contesto da cui è circondato, lo porta ad essere e sentirsi “diverso”. Il destino insegue quindi Cesare come un mastino insaziabile. Lo irride offrendogli occasioni di riscatto e redenzione, come l’amore di una donna proveniente da un mondo completamente diverso ed opposto al suo. Le vicende si susseguono ad un ritmo incalzante e il protagonista è costretto ad emigrare verso lidi più sicuri dove altri intrecci lo attendono al varco, prima che il cerchio si richiuda ancora, in una nemesi rigenerante.
Ormai so che, quando leggo Dodò, devo prepararmi una sedia comoda, popcorn, immaginarmi una bella colonna sonora, magari qualche fazzolettino (non si sa mai mi finisca male un amore); insomma è come andare al cinema sapendo che il film parlerà di qualcosa che ho dentro, come lo hanno dentro molti che condividono con lui un certo humus storico e culturale, e quel qualcosa mi riaccenderà zone rimaste al buio, angoli nascosti, piazze di ragazzi, profumi di rivoluzione. Lo stile di Dodò è quello di uno sceneggiatore prestato alla scrittura. Il ritmo, i dialoghi, i salti temporali come quelli di una cinepresa, la suspense, sono gli ingredienti tipici di trame cinematografiche di successo. E le pagine girano vorticosamente con una leggerezza che consente solo qualche respiro ogni tanto, perché non vedi il momento di sapere “come va a finire”.
Inoltre in quest’opera in particolare ho apprezzato moltissimo sia le ambientazioni della Napoli dei vicoli e bassifondi con il gergo e i soprannomi tipici dei camorristi e, soprattutto, Dodò mi ha accarezzato con le proiezioni di una Parigi ferma nel tempo, con l’alone bohemienne degli artisti del primo novecento, gli scrittori, i filosofi e i poeti maledetti. Grazie all’autore e…il mio desiderio, e lui lo sa, sarebbe vedere un vero film tratto da un suo scritto.