29 marzo 2013

Monopoli e l'eredità di Egnazia

Qualche giorno fa ho rievocato l'incontro tra egnatini e pediculi, sublime esempio di solidarietà, atto d'amore che ha dato alla luce la città di Monopoli. Questo prodigio auspicherei si potesse replicare sostituendo gli interpreti con menti e risorse che si coalizzino per restituire civiltà e rispetto per l'ambiente, progresso e amministrazione trasparenti e lungimiranti alla nostra città. Oggi propongo uno scritto di Remigio Ferretti, corredato di mie note, che idealmente ci imbarca su una navetta che oltrepassa i confini del tempo atterrando in quei remoti contesti. 

Seduto all'ombra della Chiesa di S. Michele(1), con un rinvio memoriale alla nota sinestesia(2) carducciana, mi perdo nel “divino del pian silenzio verde”(3), contemplando dall'alto la nostra “marina” e spingendomi con lo sguardo lungo l’Adriatico, dalla bianca Monopoli verso le rovine di Egnazia, che, ergendo verso il cielo la sua Acropoli, pare ancora non del tutto doma. 
Dolcemente immerso nell'onda reflua dei ricordi storici e letterari, mi viene in mente un emistichio(4) di Virgilio: a Enea che ansioso chiedeva del suo destino, così risuonò la voce di Apollo: “Antiquam exquirite matrem(5). Infatti, mi par proprio di vedere che Monopoli, avanzando verso sud, sospinga le sue case, i suoi figli, la sua anima verso Egnazia, la sua ideale genitrice. 
Era Egnazia una fiorente città dei Messapi, retta da sovrani saggi e bellicosi (il piú noto è il re Opi), tanto potente da sconfiggere la gloriosa Taranto(6) (471 o 473 a.C.), nel tentativo di opporsi alla fatale grecizzazione della nostra regione e di tutto il Mezzogiorno. 
A circa 7 miglia a nord di Egnazia viveva una piccola comunità di Peuceti (o Pediculi), in maggioranza pescatori, che disponeva di una lunga, profonda e pescosa insenatura, una specie di porto naturale: questo antico centro si chiamava Porto Pedie (o Porto della Giovinezza) e, prima ancora, forse Dyria. 
Certo, i confini tra Peuceti e Messapi erano alquanto labili; per di piú, andando a ritroso nel tempo, sino alla protostoria, è possibile trovare stretti legami tra i due gruppi etnici, risalenti da un'unica stirpe indo-europea, illirico-balcanica. 
Fu così che, quasi spariti i sostrati linguistici originari, imparammo a parlare l'idioma dell'Ellade e a venerarne gli Dei, assimilandone pensiero, arte e costumi. 
E fummo maestri di civiltà: quando i Latini erano ancora pastori o i barbari dominavano le valli dell'Adige e del Po, Aristocle, detto Platone, dalla mente divina e dalle “larghe spalle”, viandante famoso, visitava le nostre contrade, già rischiarate dal genio di Pitagora e di Archita. 
Ma, purtroppo, la tanto celebrata aquila romana, radendo a volo le nostre terre e tutto sconvolgendo, ne distrusse quasi completamente lo stupendo rigoglio. Un pò alla maniera di Ennio, dicemmo: “Noi che fummo Peuceti, Messapi, Greci, ora siamo latini(7)
Mentre si spegneva il sacro fuoco (era metano?) che Orazio vide ardere spontaneamente sugli altari di Egnazia, in Galilea era stato crocifisso un Uomo-Dio, la cui morte cambiò la storia del mondo: anche la Puglia diventò cristiana. 
Estinta la forza di Roma, l'aquila fatale, già volta da Costantino, contro il corso del sole, verso l'Oriente, tornò a volare nel nostro cielo, con penne e grido diversi. E parlammo ancora greco, non piú quello di Omero, la lingua arida e complicata dei curialisti e sdolcinato delle alcove di Costantinopoli. 
I Goti poi, guidati dal fiero Totila, nel tentativo di strappare all'Impero d'Oriente il dominio dell'Italia meridionale, invasero la Puglia e saccheggiarono la bella città messapica, compromettendone per sempre il prestigio e l'opulenza. La gran parte della popolazione si rifugiò nella vicina località di Porto Pedie e così, dalle due comunità, nacque un'unica città, la nostra Monopoli. E come Porto Pedie aveva imparato da Egnazia a venerare “gli Dei falsi e bugiardi”, soprattutto Mercurio, che presiedeva al commercio e ne favoriva i traffici, gli scambi e i profitti, così Monopoli, sconfitta e prostrata Egnazia, trasse occasione per una piú fervida fede cristiana, accogliendone la dignità episcopale e la Croce patriarcale. 
Nei secoli, mentre della città di Messapo non restarono che i ruderi e persino il suo porto si inabissava, Monopoli, sita alla confluenza dell'Appia con la Traiana, cresceva di abitanti e di importanza, grazie anche al suo porto naturale, che i suoi nemici riuscirono purtroppo a insabbiare. Posto di transito e di sosta tra Bari e Brindisi, finì con l'assumere il ruolo di solo e comodo sbocco dì un vasto retroterra. 
Sul filo del tempo edace, eserciti e popoli, di razze o nazioni diverse, calpestarono e dominarono le nostre contrade: Longobardi, Svevi, Angioini, Aragonesi, Ungheresi e, da ultimo, Murat, alfiere della libertà, col suo bianco cavallo e i suoi predoni, per non parlare dei Saraceni e delle loro incursioni e devastazioni. In noi certo qualche traccia è rimasta degli usi e delle lingue di tante genti straniere, ma nella nostra indole, nel nostro carattere, nel nostro dialetto, resiste qualcosa che ci lega alla matrice egnatina e quindi alla civiltà, alla cultura, all’idioma di Atene e di Bisanzio. 
Quando sulla bocca del nostro popolo fioriscono parole come: cèndre, vastèse, pèndeme, trappìte, zóche, chénistre, ci rendiamo conto che in esse, duri a morire, sopravvivono etimi greci, a ricordare e confermare la nostra identità e la nostra storia. 
Quando Monopoli, per antica tradizione, accoglie e abbraccia, con senso di spiccata ospitalità, tutti i forestieri che vi capitino e molti inserisce nel suo tessuto umano e sociale, dando loro affetto e sicurezza, imita e ripete Porto Pedie, che accolse e abbracciò i profughi di Egnazia, a formare una stessa famiglia, una nuova comunità, unica per leggi, riti e civili costumanze. 
Quando, con orgoglio e stupore, ammiriamo i nostri cantieri e laboratori, le opere del nostro lavoro e del nostro ingegno, soprattutto le realizzazioni e i successi dei nostri imprenditori, specie nel settore del commercio, frutto di fiuto e di coraggio, il pensiero corre a quel dio Ermes, a cui i nostri lontani progenitori dedicarono templi, preghiere e devote cerimonie e da cui forse abbiamo tratto una delle nostre due anime, quella laica e mercantile. 
Quando ci prende quel dolce sopore, quella sottile mollizie, quella saputa pigrizia, che sono in fondo la nostra riserva psicologica e il sale della nostra esistenza, ci riconosciamo ultimi figli del vicino Oriente dove rifulse la Troia del ben chiomato Paride e della bella Elena, la fastosa Persia, tutta sete e gemme, la lussuriosa Bisanzio di Teodora, donde giunse qualcosa sino a noi, influenzando alquanto il nostro modo di sentire e di vivere. 
Quando, nei momenti gravi e decisivi della nostra giornata terrena, meditiamo sui misteri della vita e della morte, riscoprendo la nostra anima migliore, quella cristiana, ripensiamo grati all'apostolo Pietro, che, predicando e benedicendo, passò per le nostre plaghe, diretto al suo supplizio romano e ci diciamo felici di avere, da allora, creduto in Dio uno e trino, cogliendo nel suo volto la nostra stessa immagine e di avere poi, tramite Egnazia, accresciuto la nostra fede in Cristo e la dignità della nostra Chiesa.

Pubblicato su “L’Informatore” del 29/3/1986.



(1) A 13 km. da Monopoli, alle “falde” della Loggia di Pilato, sorge S. Angelo di Frangesto poi S. Michele Arcangelo, protettore dei campi, una chiesetta risalente al sec. XI o XII anticamente annessa ad un convento di suore del Casale, che si dice fu retto da una Agnese monopolitana.
(2) Fenomeno psichico consistente nell’insorgenza di una sensazione auditiva o visiva in concomitanza con una percezione di natura sensoriale di diverso tipo, o, in semantica, stretto rapporto tra due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse ( es. “voce chiara”). (Treccani).
(3) G. Carducci: “Il bove” v. 14.
(4) Dal lat. tardo “hemistichium”, gr. μιστίχιον, comp. di μι “mezzo” e στίχος “verso”. Nella metrica classica, ciascuna delle due parti in cui il verso viene diviso dalla cesura. Per estens., sono così chiamati i versi incompiuti dell'Eneide di Virgilio, e, in genere, qualsiasi verso incompleto. (Treccani).
(5) Cercate l’antica madre!
(6) Narra Erodoto: “…fu questa la più grande strage di Greci e Reggini che noi conosciamo, che dei Reggini morirono 3000 soldati e dei Tarantini non si poté nemmeno contare il numero”.
(7) Quinto Ennio (239 a.C. – 169 a.C.) poeta, scrittore e storico romano: "Nos sumus Romani qui fumus ante Rudini", Annales Liber XVIII.

19 marzo 2013

Manisporche: un Sindaco di cartone.





L’accoglienza è stata di tipo pirandelliano: un manichino-Sindaco vestito dal certosino lavoro di mesi dell’associazione. Una provocazione sottile, che anticipava le scontate e vetuste obiezioni che sarebbero state sollevate da un mondo politico abituato a ragionare in termini di marketing. Il mondo politico di centro-sinistra, peraltro, invitato dal movimento, ma sostanzialmente depresso, e presente probabilmente solo perché, in questo periodo di sconsolata perdita di riferimenti, sarebbe intervenuto anche alle riunioni dei Barbieri Organizzati, purché potessero rappresentare una confortante stazione per un treno da prendere al volo, destinazione governo. Infatti la provocazione ha fatto una vittima: il prof. Carbonara, pretendendo che “il progetto dovesse camminare su delle gambe” è finito, proprio con le sue, di gambe, nella rete della riproposizione della vecchia logica che per vincere ci vogliono delle belle e carismatiche persone. Con questa logica che si trascina da 20 anni il centro sinistra ha infatti vinto sempre. Ricordo Guccione con il suo carisma, sostenuto dalla sua “gioiosa macchina da guerra”, che finì fuori strada alla prima curva. E poi? Ah si, Leoci. (ma parliamo sempre di centro sinistra?) di cui è difficile trovare tracce di presenza nella storia cittadina, tranne che per il rilancio del calcio professionistico in comunella con rispettabili imprenditori baresi. Invece si parte dal progetto. Ambizioso e avveniristico per una popolazione abituata al piccolo cabotaggio, ma affascinante se si riesce a intuire quali potenzialità esso può offrire. Per la prima volta si concerta un metodo flessibile e dinamico che un’amministrazione moderna, attenta allo sviluppo sostenibile, può adattare al territorio ed al suo ambiente ed alla legislazione gerarchicamente sovrastante, concependo strutture agili e “aperte” al contributo delle categorie produttive e alle esigenze delle fasce più deboli dei cittadini. Un progetto nel quale “ogni tassello sarà indispensabile alla struttura complessiva”, pena il suo depotenziamento. Praticamente un capovolgimento di quella consuetudine dell’approssimazione e dell’avventurismo, che provoca “mostri” e corruzione. Un’architettura trasparente, costantemente proiettata al dialogo, all’informazione ed all’interfacciamento con la città. Una città che ha bisogno “di un nuovo riscatto” simile a quello del 1530, ha esortato Angelo Papio, che si vedeva fosse tendenzialmente esitante a comporre una sinfonia troppo mistica per il lavoro presentato, quasi a voler rassicurare i tanti ultras dell’ipertecnicismo” che spopolano anche nella parte sinistra del cielo. Noi da semplici osservatori non nutriamo questa remora e, ritornando in tema teatrale rassicuriamo i beckettiani: questa volta Godot alla fine arriverà, ma sarà circondato da tante persone che stenderanno con decisione il lenzuolo candido sul quale riscrivere la storia della città. Una città che, voglio ricordarlo, è nata da un sublime atto d’amore. Quando Totila distrusse Egnazia, la ricca, i suoi abitanti fuggirono con le loro vesti nobiliari, con i calzari principeschi verso Portus Pedie, la povera. E quello spicchio di cultura ellenica chiese asilo ai pescatori. Tutti si sporcarono le mani e un grande abbraccio sancì l’accoglienza e creò la “città unica”. Sporchiamoci di nuovo le mani e quell’atto d’amore, perduto nella notte dei tempi, avrà di nuovo un senso.

7 marzo 2013

Influencer o opinion leader?





L’esplosione del Movimento 5 Stelle ha posto sotto la luce dei riflettori il radicale mutamento che è avvenuto sul piano della comunicazione globale. Fino a qualche anno fa (e fino all’ultima consultazione elettorale) eravamo abituati ad un tipo di comunicazione politica che aveva estorto metodi di persuasione di massa dal marketing pubblicitario che, a sua volta, era plasmato su indagini di mercato e target consumistici di segmento. Essa percorreva arterie monodirezionali e si estrinsecava su format omologhi, tanto da escludere qualsiasi manifestazione che non fosse “in linea”. Nel 1994 il marketing ebbe la benedizione istituzionale con Forza Italia che organizzò la sua vittoria con strategie di mercato innovative rafforzando la sua nascita virtuale con la presenza “sapiente” sul territorio delle agenzie di Publitalia. Singolarmente, da contraltare a questo schema ci fu solo Di Pietro che “bucava” il filtro massmediatico proprio con la sua totale difformità comunicativa, fatta di slang proverbiali e inciampi di grammatica, al pari del successo nel varietà degli anni ‘60 del fenomeno Mike Bongiorno. Le strategie di persuasione valorizzarono la figura degli “opinion leaders” che occupavano i circuiti con sapienza e suadenza professionale. Con l’era di Internet la platea dei consumatori/elettori si è via via trasformata ed è nata un tipo di comunicazione “digitale” che grazie alla nascita dei social network, corre sempre più su un percorso binario, interattivo che ha conquistato il desiderio di protagonismo di chi si è sempre sentito manipolato senza possibilità di replica. Sembrava una scoperta epocale: finalmente uno strumento inattaccabile di democrazia diretta, che, al momento di darsi rappresentanza parlamentare, nel caso del MS5 diventa “democrazia liquida”. Grillo stesso, secondo Umberto Eco, trae il suo successo dall’aver ignorato i tradizionali mezzi di comunicazione, e dall’aver saldato in un connubio rivoluzionario rete e piazza, agorà metafisica e reale. Nasce Utopia? Non è così semplice, purtroppo. Gianroberto Casaleggio stesso ci parla dell’avvento di una figura aggiornata dell’opinion leader: l’influencer. Sta in rete, cura blog, interviene sui social, consiglia e convince, blandisce e critica. Quando critica si trasforma in “troll”, una figura perversa, che opera per innescare conflitti e generare dubbi. Insomma per dirla con Gillin "Il new influencer nasce come esercizio di democrazia brutale”. Anche la rete quindi è “inquinata”, infestata da messaggi contraddittori e confusi, e non è semplice districarsene. Queste riflessioni, stranamente, sono emerse quando ascoltavo, tra gli altri, l’intervento di Massimo D’Alema alla direzione del PD. Mentre i circuiti invisibili ed innervati di internet pilotavano milioni di messaggi, veniva redarguita la platea con l’ammonimento che “il rinnovamento non significa la messa in liquidazione di una classe dirigente” (messaggio a Renzi), perché ci siamo fatti gabbare da un “signore di 65 anni che fa riunioni a porte chiuse e prende a calci i giornalisti” (messaggio a Grillo). Infatti. La vecchia comunicazione politica va sempre di moda: evidenziare sempre e solo quello che ci fa piacere per attaccare l’avversario.

1 marzo 2013

Chi (stra)parla oggi?




Torno ancora sulla questione dell'eccessiva personalizzazione della politica. La domanda da cui partire è: con quali criteri si effettua una scelta della persona giusta che debba governare uno stato/paese? Il fatto che sia più o meno simpatico, che appaia più o meno affidabile, più o meno competente, più o meno carismatico, il fatto che dica barzellette o si mostri serio ed integerrimo, il fatto che sia colto o che sembri “uno di noi”, alla nostra portata. Queste sono tutte categorie che attengono alla sfera degli umori, delle sensazioni, che mettono in moto gli ingranaggi dell’emisfero destro del cervello, quello dominato dai neuroni dell’emotività e lasciano in letargo quello sinistro che sollecita la riflessione ed il raziocinio. Poi ci sono coloro, in genere lobbies, che scelgono colui che meglio può rappresentare interessi di parte, che può più facilmente essere malleabile o peggio manipolato, che sa fingere e camuffarsi meglio. La prevalenza di questo orientamento verso la persona, mutuato dalle grandi democrazie occidentali, nelle quali le forme di governo sono organizzate sulla base della repubblica presidenziale o del premierato, che noi abbiamo cercato di copiare, introiettandone i presupposti nel nostro ordinamento che la nostra Costituzione ha voluto invece basata sui principi della democrazia parlamentare “diffusa”, perché vengano rappresentate tutte le idee in campo, non è detto che sia la migliore delle impostazioni. Prove evidenti ne sono i fiumi di parole che vengono spesi per polemizzare o esaltare i “gesti” dei singoli (il papa, Grillo, Bersani, Renzi, Monti, Berlusconi in macrocosmo, e Risimini, Suma, Papio, Galanto, Romani, Ciaccia o persino un Lacasella qualunque, nella nostra piccola realtà). Quello che voglio dire è che il “motu proprio” del singolo, per quanto autorevole o eclatante che sia, non merita maggior interesse o spazio di quello che invece dovrebbe “pesare” di più nelle nostre riflessioni, e cioè la strada, il percorso da compiere per migliorare le nostre vite. I media in questo non ci aiutano, anzi, rincorrendo quello che desidera la “pancia”, ci amplificano i proclami e i vittimismi, le invettive e le contro-repliche, creando un’immensa bolla di gossip nella quale annaspiamo quotidianamente. Sarebbe persino da augurarsi che le consultazioni fossero sempre meno frequenti, tanto siamo invasi, nelle campagne elettorali, da tanta di quella inutile quantità di nulla. La sensazione è che anche la politica (come la cultura e l’istruzione), sia diventata “merce”, che possa essere piazzata da qualsiasi imbonitore di turno che sappia vendere il suo prodotto, la politica come volano di sviluppo nel mercato globale, fattore di arricchimento e di consolidamento di poteri più o meno forti. Per assurdo, lo stallo in cui si è arenata la legislatura appena iniziata potrebbe costringere finalmente a parlare di programmi e di cose concrete e il merito di tutto ciò, non si può disconoscere, è del M5S. Sono d’accordo con chi (Emiliano) afferma che si tratti di un’opportunità e non di una iattura.