Quello che pesa soprattutto nel modo di fare politica in questo tempo immorale è il fiato corto, lo sguardo miope, il vezzo di volare sempre bassi e rasentare la sudditanza e l'acquiescenza. Si è smarrita la tensione verso traguardi non dettati dal mero utilitarismo edonistico, ma dalla parte alta del torace, dalla forza che muove gli astri, dal desiderio di uguaglianza e di giustizia per tutti. Il caso dell'ILVA macera solo le coscienze di chi non ha mai avuto voce, di chi sa ancora inforcare il binocolo e guardare lontano e, come gli operai con quello materiale, sopravvive al proprio sfruttamento intellettuale. Tommaso Moro nel 1516 immagina un modello di società ideale che denomina Utopia. Non avrebbe mai immaginato però che questo modello, seduto accademicamente sul futuribile, sarebbe stato sconfitto e sbeffeggiato proprio da quel tempo futuro nel quale avrebbe avuto più possibilità di avvicinare la sua realizzazione. Noi inguaribili sognatori, sosteniamo ancora la volontà di mantenere accesa la candela della speranza al di fuori dell'accampamento dove padre Balducci collocava gli esclusi e gli sconfitti. E vengo alla proposta: il gruppo RIVA ha incamerato negli anni miliardi di euro indifferente alla morte che aleggiava intorno alle sue fabbriche. Ma fermiamoci ai 3,5 miliardi che occorrono alla bonifica. La produzione si deve fermare. Anche un altro solo tarantino che si ammali, un altro bambino che nasca con problemi genetici, una sola vita che ancora venga immolata sull'altare della produzione globale è un dazio insostenibile. Allora 3 miliardi e mezzo di euro bastano per garantire uno stipendio medio di 1300 euro per più di tre anni a 50.000 dipendenti. Nel frattempo il gruppo RIVA deve essere obbligato a risanare e quanto meno tempo ci impiegherà a farlo meno reddito di solidarietà dovrà erogare. Utopia? Forse. Ma ne abbiamo tanto bisogno.
4.12.12
ILVA: Una proposta indecente
Quello che pesa soprattutto nel modo di fare politica in questo tempo immorale è il fiato corto, lo sguardo miope, il vezzo di volare sempre bassi e rasentare la sudditanza e l'acquiescenza. Si è smarrita la tensione verso traguardi non dettati dal mero utilitarismo edonistico, ma dalla parte alta del torace, dalla forza che muove gli astri, dal desiderio di uguaglianza e di giustizia per tutti. Il caso dell'ILVA macera solo le coscienze di chi non ha mai avuto voce, di chi sa ancora inforcare il binocolo e guardare lontano e, come gli operai con quello materiale, sopravvive al proprio sfruttamento intellettuale. Tommaso Moro nel 1516 immagina un modello di società ideale che denomina Utopia. Non avrebbe mai immaginato però che questo modello, seduto accademicamente sul futuribile, sarebbe stato sconfitto e sbeffeggiato proprio da quel tempo futuro nel quale avrebbe avuto più possibilità di avvicinare la sua realizzazione. Noi inguaribili sognatori, sosteniamo ancora la volontà di mantenere accesa la candela della speranza al di fuori dell'accampamento dove padre Balducci collocava gli esclusi e gli sconfitti. E vengo alla proposta: il gruppo RIVA ha incamerato negli anni miliardi di euro indifferente alla morte che aleggiava intorno alle sue fabbriche. Ma fermiamoci ai 3,5 miliardi che occorrono alla bonifica. La produzione si deve fermare. Anche un altro solo tarantino che si ammali, un altro bambino che nasca con problemi genetici, una sola vita che ancora venga immolata sull'altare della produzione globale è un dazio insostenibile. Allora 3 miliardi e mezzo di euro bastano per garantire uno stipendio medio di 1300 euro per più di tre anni a 50.000 dipendenti. Nel frattempo il gruppo RIVA deve essere obbligato a risanare e quanto meno tempo ci impiegherà a farlo meno reddito di solidarietà dovrà erogare. Utopia? Forse. Ma ne abbiamo tanto bisogno.
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