20 novembre 2019

L’antifascismo di una “tranquilla” Monopoli Anno 1933



La memoria è un valore da preservare caramente. In particolar modo quando attiene ad episodi che fanno parte della storia di un'epoca che ha spazzato via una dittatura ed ha dato alla luce il nostro Stato democratico. La memoria è tutta importante: quella degli Stati e quella dei piccoli paesi. Remigio Ferretti ci racconta un interessante squarcio di vita cittadina. Mie le note in calce.

Monopoli è, per antica tradizione, una “città tranquilla” ché, per vari motivi, le sono estranee gravi, accese tensioni sociali e, ancor più, certe pagine di estrema violenza che hanno caratterizzato la storia, antica e recente, di altre città e paesi d'Italia. 
Riflettendo su codesta “tranquillità”, vien di pensare, ovviamente, all'indole, al carattere, alla tendenza al “privato” della nostra gente; anzi, si è tentati di cogliere, in alcuni suoi comportamenti, un senso di pigrizia o abulia, forse giunto sulle ali del vento tiepido della non molto lontana Sibari. Ma che si tratti invece di tolleranza, di pazienza, di equilibrio, tipica “misura” della migliore gente del Sud? 
E però più logico riconoscerne i motivi nelle condizioni economiche della cittadina, soddisfacenti, in relazione ad altri centri e zone della Regione, anche per la situazione geo-climatica di cui gode: la sua economia, pur risentendo dei limiti e condizionamenti di natura generale, variamente articolata e sorretta da crescente spirito di iniziativa, non patisce di forte “depressione” ed è immune, per fortuna, come nel passato, da veri e propri “traumi sociali” o duri “scontri di classe”. 
Persino durante il fascismo, avversato da pochi cittadini, coraggiosi e coerenti, certo espressione di un più largo e sommerso dissenso popolare, non si verificarono, ai soprusi dei primi “squadristi” ai fermi arbitrari e, successivamente, ai processi, alle condanne e alla detenzione di alcuni antifascisti, reazioni massicce o di estrema gravità. 
I primi seguaci del movimento fascista a Monopoli furono una trentina di giovani, di modesta estrazione sociale, quasi tutti senza fissa occupazione, desiderosi di un “cambiamento”, cui si aggiunsero alcuni reduci della guerra '15-‘18. Ad organizzarli pare sia stato un uomo venuto dal nord (forse livornese), impiegato presso la locale Società Italo-Americana per il Petrolio[1] tale Spartaco Conti; la prima sede mi dicono sia stata in via Mazzini. Questo gruppo partecipò ad alcune “spedizioni punitive” in città e nei paesi vicini, nonché alla “marcia su Roma” anche se giunse solo a San Severo, perchè ivi sorpreso dal noto epilogo “romano” della “rivoluzione”. La quantità (e qualità) degli adepti migliorò con l'adesione al fascismo dei “nazionalisti” di Federzoni[2]. Dopo l'eccidio di Matteotti, il fascismo, proprio mentre diventava “regime”, si andò imborghesendo e generalizzando, un pò per paura (nel '27 ci furono alcuni processi e condanne di noti antifascisti) un pò per necessità (obbligo della tessera per gli impiegati del pubblico impiego). Mentre alcuni “spavaldi” vivacchiavano ai margini del “partito unico”, compiendo a volte abusi, una “elite” (professionisti, industriali, benestanti, anche culturalmente dotati) ne rappresentava l'aspetto più civile, pulito e accattivante. Il fascismo in verità, nella ridente cittadina adriatica, non ebbe, come in altre zone (ad esempio in quelle, non a caso “calde”, della Murgia) una matrice “agraria”. 
Negli anni successivi alla grande crisi del '29, in particolare nel biennio 1932-33, si fece sentire anche a Monopoli la nota depressione economica che, dopo l'America, aveva colpito l'Europa e l'Italia: pesante era la disoccupazione, assai diffuso lo scontento. I gerarchi locali, divisi tra loro per questioni di potere, non riuscivano a realizzare un indispensabile piano di lavori pubblici, che desse aiuto e sollievo ad imprese e maestranze. Ed ecco che, in tale situazione di incertezza e disagio della classe dominante, un Prefetto coraggioso[3] nomina Commissario al Comune un avvocato di Monopoli, Giacomo Caracciolo[4], di ottima famiglia, onesto ed austero, ma tutt'altro che gradito agli uomini del regime, anzi, si andava sussurrando, vicino ai circoli liberal-massonici. Egli, insediatosi al Palazzo di Città, lavorando sodo, avvia importanti opere di pubblico interesse, con grande soddisfazione della cittadinanza. E’ vero che parecchie di esse sono state predisposte dal Podestà che lo ha preceduto, ma la gente, si sa, crede in ciò che vede: capannelli di cittadini si formano, per assistere ai lavori sulle banchine del porto o a quelli della pavimentazione, con mattonelle d'asfalto, delle strade intorno al “borgo” e dello “stradone”.[5]
Ma i gerarchi non se ne stanno inoperosi: non solo premono “in alto loco” per sbarazzarsi dell'incomodo Commissario Prefettizio, che rischia di compromettere il “prestigio del regime”, ma, se non inventano, è presumibile che incoraggino una certa “voce” secondo cui il discusso avvocato porterebbe “iella”.
L'operazione dei “capi” finisce con l'aver successo. Si sparge, un bel giorno del '33, in tutta Monopoli, la notizia che il Commissario Caracciolo è stato “sollevato dall'incarico”. A questo punto accade un fatto nuovo e straordinario: la popolazione si muove, si agita, organizza fitte e rumorose manifestazioni, scende compatta in piazza. La gente, soprattutto quella del vecchio abitato, fa calca in Piazza Plebiscito, minaccia di occupare il Municipio. L'ordine pubblico è turbato, le autorità si allarmano e chiedono rinforzi, che presto arrivano. C'è qualche tafferuglio, la polizia opera qualche fermo. L'idrante (quello del Comune che, d'estate, serve ad innaffiare le vie cittadine) fa il resto, spazzando via le ultime resistenze. I giochi sono fatti: il regime ha vinto, soffocando l'unico sussulto antifascista di Monopoli, “città tranquilla”.

“Puglia” del 27/7/1983.

[1] Il 4 agosto 1938 è podestà di Monopoli il dott. Alfredo Masulli, dirigente dello stabilimento divenuto nel frattempo Esso Standard. (Stefano Carbonara).
[2] Luigi Federzoni (1878-1967) è stato un uomo politico di discendenza nobile; nel 1900 si laureò in lettere all'Università di Bologna con Giosuè Carducci, conseguendo successivamente una laurea in giurisprudenza. Fu uno dei principali collaboratori di Benito Mussolini; nel 1910 fondò con Enrico Corradini l'Associazione Nazionalista Italiana nel cui ambito sostenne il gruppo de “L'idea nazionale”. Essa rifluì nel 1923 nel Partito Nazionale Fascista. Più volte Ministro delle Colonie, fu Presidente del Senato dal 1929 al 1939. Dal 1938 al 1943 fu presidente dell'Istituto Treccani. Contrario alle leggi razziali votò a favore di Grandi nel Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943.
[3]Verosimilmente si tratta del Dott. Enrico Cavalieri (Napoli, 1883-1949), Gran Cordone dell’Ordine di Skanderbeg, Ufficiale dell’Ordine Mauriziano, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia. Immesso in carriera nel 1908 per pubblico concorso, proveniente dai ruoli delle Ferrovie dello Stato. Prefetto di Bari dal luglio 1929 ad aprile 1932, gli subentrò il dott. Ernesto Perez, palermitano, che tenne la carica fino al settembre 1934. 
[4] Dall’Albo degli Avvocati Cassazionisti leggiamo Caracciolo Giacomo, nato a Viterbo il 24/1/1886 ed iscritto in data 28/3/1925 presso il foro di Bari. 
[5] Venne anche ampliato l’Ospedale San Giacomo.

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