10.11.09

Una fiaba: Ferdinand il falegname

C’era una volta un vecchio falegname che si chiamava Ferdinand e viveva in un piccolo paese della Linguadoca francese a circa 200 chilometri da Marsiglia. Il paese si chiamava Florac ed era immerso in un parco naturale. Ferdinand fin da bambino aveva imparato il mestiere dal papà e aveva fatto il falegname tutta la vita, non spostandosi mai dalla sua piccola botteguccia che si trovava a fianco della sua casetta, in pieno bosco, alla periferia del paese. Però Ferdinand il falegname aveva una particolarità: quando era bambino i suoi genitori, poveri, non avevano mai potuto comperargli un giocattolo e la sua infanzia era stata molto triste. Perciò ben presto specializzò la sua arte nell’aggiustare tutti i giocattoli che i bimbi del paese gli portavano. Ovviamente da questo mestiere non guadagnava molto, giusto il necessario per vivere, ma grande era la sua soddisfazione nel vedere gli occhi brillanti di quei pargoletti che uscivano dalla sua botteguccia felici per aver ritrovato come nuovo il loro passatempo preferito. Poi passando gli anni i suoi clienti purtroppo erano diventati sempre di meno. La tecnologia aveva spodestato i vecchi giocattoli anche nelle preferenze dei bambini del piccolo paese montano di Florac e lui, ormai anziano, aveva chiuso la sua botteguccia e viveva di una modesta pensione sociale, aggrappato ai suoi ricordi. Un giorno si era alzato presto, come al solito e si era affacciato alla porta cigolante della sua botteguccia e aveva osservato a lungo i suoi attrezzi lucidi e ordinati come tanti soldatini in riga, ma tristi nella penombra creata dalle imposte sbarrate. “Eh si!” – sospirò – “Vi sentite soli, vero? Ormai tutti vogliono computer e tutte quelle diavolerie elettroniche! Nessuno aggiusta più niente, si butta via tutto!” Si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso il paesello per acquistare un po’ di pane e salame. Arrivato vicino alla fermata dell’autobus notò un certo trambusto, Vide una signora vestita molto bene che chiedeva informazioni. Il cappellano del paese lo vide arrivare sulla piazza e lo indicò con il dito alla signora. Sembrava che cercasse proprio lui, ma che aveva a che fare con quella signora così elegante? La donna gli si avvicinò e gli chiese: “E’ lei il signor Ferdinand? – Si, sono io. – Sono qui per chiederle un grande favore. – Mi dica, se posso aiutarla?” Ferdinand non capiva che cosa potesse volere da lui quella gran signora. “Venga entriamo nel bar”. Si sedettero ad un tavolo e la signora cominciò. “Mi chiamo Justine, ho una figlia di 8 anni si chiama Dominique ed è tanto malata, - Mi dispiace - disse Ferdinand - ma io non sono un dottore. “Lo so, lo so. Io so che Lei però è bravissimo a riparare i giocattoli, ed è di questo che ho bisogno”. “Guardi – cominciò Ferdinand – ormai sono tanti anni che non riparo più nulla ed i giocattoli moderni non li capisco.” No non si tratta di computer – disse Justine – mia figlia aveva un orsacchiotto che si chiamava Barbablù e quando è dovuta andare in ospedale il nostro gatto se ne è impossessato e lo ha praticamente distrutto. La mia Dominique non dorme più e piange continuamente. Sa, non ne avrà per molto, il suo male è spietato e non mi chiede altro che il suo Barbablù.” Ferdinand rimase turbato da quella richiesta. In effetti era tanto tempo che non lavorava più, ma di fronte a quella richiesta cedette. “Dove si trova Barbablù? – chiese. Justine aprì il borsone e prese un pacchetto. Ferdinand lo scartò e vide Barbablù. O meglio quello che restava di Barbablù. Gli artigli del gatto avevano avuto un effetto devastante. Non c’erano più gli occhi e le zampette e il ventre era squarciato e tutta la lana di vetro dell’interno era fuoriuscita. “Ecco – disse Justine porgendogli una foto – come era prima.” Sulla foto si vedeva Dominique, una bella bimba bionda, stringere al petto un simpatico orsacchiotto. Ferdinand notò che Barbablù indossava un cappellino e guanti di lana, aveva delle babbucce e una pipa. Poi capì l’origine del suo nome: sul mento si intravedeva un bel pizzetto blu. “Accipicchia – disse Ferdinand – è un lavoro complicato.” “La prego – disse Justine. lo faccia per Dominique. Ferdinand la accompagnò all’autobus, la salutò e le chiese: “Dove vi trovo? – “Siamo al Saint Michel Hospital, a Grenoble.
Ferdinand si mise subito al lavoro, spalancò le imposte della sua botteguccia e seduto al suo tavolo esaminò la foto. “Il problema principale sono gli occhi” – pensò. Babbucce, guanti e cappellino li avrebbe cuciti all’uncinetto. La lana di vetro e la pipa non erano un problema. Il pelo finto lo avrebbe ricavato e colorato dai residui che aveva nel suo laboratorio. Il naso, bocca e orecchie li avrebbe solo ritoccati. E le zampe? Uhmmmmmm….Forse aveva qualche manina di bambola, le avrebbe ricoperte ed incollate agli avambracci, Il problema erano gli occhi. Dove andava a trovare quelle pietre azzurre con i pochi soldi che aveva? “Vabbè diamoci da fare.” In pochi giorni aveva quasi completato la sua riparazione e mancavano gli occhi e il pizzetto. “Il pizzetto lo faccio per ultimo – pensò – così sceglierò la tonalità di azzurro in base agli occhi.” Una volta, si ricordò, aveva letto una rivista dove c’era una pubblicità di un posto dove vendevano delle pietre adatte a creare gli occhi di bambola con riflessi che simulavano le cornee e le pupille. Lo cercò ansiosamente in una vecchia cassapanca e alla fine lo trovò. “Marsiglia? No e come faccio ad andare a Marsiglia?” Ferdinand non aveva la macchina e neanche la patente. Non si era mai mosso da Florac. Andò a rovistare nel cassetto del comodino e poi nella vecchia caffettiera a carbone della nonna dove nascondeva qualche soldo. 50 euro e 27 centesimi, Andò di corsa alla fermata dell’autobus e chiese come si faceva ad andare a Marsiglia. L’autista disse: “Noi arriviamo fino a Briancon poi deve prendere il treno.” “Quanto costa?” “30 euro in tutto”. “E poi come torno?” – pensò. Vabbè la Provvidenza mi aiuterà. Prese i suoi risparmi, una borsa con dentro Barbablù e qualche indumento ed attrezzo e partì. Arrivò a Marsiglia e pioveva che Dio la mandava. Andò all’indirizzo dell’orefice e vi arrivò bagnato fradicio, Si sedette a riposare un po’ poi entrò e trovò le pietre che gli servivano. Erano proprio due occhioni azzurri bellissimi, Pagò e gli rimasero in tasca solo 5 euro. Come sarebbe tornato a Florac? No, decise, sarebbe andato direttamente a Grenoble per consegnare Barbablù alla sua padroncina. Nella sua borsa aveva portato la colla necessaria per dare a Barbablù i suoi occhi, Si rimise in marcia e avrebbe chiesto un passaggio fino a Grenoble, c’era una strada molto importante che univa le due città. Sempre sotto la pioggia si fermò sul ciglio della strada finchè un camionista non ebbe compassione di quel vecchio che agitava la borsa disperato. Lo portò fino a Grenoble pensando che gli mancasse qualche rotella perché parlava di un orsacchiotto, di una certa Dominique e di un certo Barbablù. A Grenoble chiese dell’ospedale Saint Michel che si trovava al termine di una lunga scalinata. La percorse a passo di carica mentre il cuore gli saltava nel petto e il respiro si faceva sempre più affannoso. Infine arrivò all’ospedale e chiese dove si trovasse Dominique. “E’ in quella stanza” – disse un’infermiera, ma non si può entrare. Ferdinand si avvicinò alla stanza poi si ricordò che doveva fare un’ultima cosa. Prese un pennarello speciale dalla borsa e dipinse un bel pizzetto blu sul mento dell’orsacchiotto. Bussò alla porta e sentì la voce di Justine dire: “Avanti.” “Ferdinand! Sei venuto, non ci speravo più!! Ferdinand si chinò sul letto dove giaceva una bambina, bionda, pallida e con gli occhi chiusi. “Non mi risponde più” – disse Justine. Ferdinand le mise accanto Barbablù e dolcemente le disse: “ Dominique, sono qui, sono tornato, sono il tuo Barbablù.” La bambina mosse le ciglia e accarezzò il pelo dell’orsacchiotto. Subito riprese colore, spalancò gli occhi e tirò a sé Barbablù. “Finalmente, ti ho aspettato tanto! E tu chi sei? “Sono il dottore di Barbablù, l’ho curato e guarito per te”. “Grazie, vi voglio bene” “Mamma per favore lasciaci soli”. “Ma io non posso….” Ferdinand tranquillizzò Justine sussurrando “Ci penso io”. Justine prima di uscire vide che Dominique aveva iniziato una animata conversazione con Ferdinand. Justine si sedette su una panca e crollò dal sonno che non faceva da diverse notti. La mattina si svegliò, andò nella stanza di Dominique e vide che lei e Ferdinand erano entrambi abbracciati con Barbablù e sembrava dormissero. Si avvicinò e vide che Dominique aveva ripreso il suo colore normale e dormiva serenamente. Ferdinand aveva il capo chino e Justine capì. Il suo grande cuore aveva ceduto. Le fatiche fatte per portare il suo dono a Dominique erano state fatali. I dottori dell’ospedale dissero che Dominique era guarita e che c’era qualcosa di miracoloso in quello che era successo. Ora se doveste capitare per caso nel piccolo cimitero di Florac, c’è una tomba bianca e semplice con una piccola lapide. Sulla lapide c’è scritto “Grazie Ferdinand, ci hai dimostrato quanto forte è la potenza dell’Amore.”

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