21 luglio 2014

Valerio, il meccanico dei cuori.




Tutte le macchine che ho avuto, dopo il primo tagliando obbligatorio, non hanno conosciuto altre mani se non quelle di Valerio. Quasi camminavano da sole per recarsi da lui al momento del bisogno. Ricordo quando lo conobbi, esule, tornato profeta in patria, con l’amico architetto. Tirò su la sua saracinesca e subito capii che la sua non era una semplice officina. Quando oltrepassavi la soglia, da una radio a transistor effluiva una melodia insolita, che sorprendeva i nostri padiglioni auricolari poco o male educati: era jazz. O musica classica/sinfonica. Alle pareti, non calendari con donnine seminude, ma locandine di eventi musicali o culturali. Perché i promoteurs avevano capito che quella non era una semplice officina, ma un luogo di happening dove si parlava di argomenti “alti” come la politica, la musica e il calcio, ma non quello del processo del lunedi, quello della tattica e delle belle giocate. Si ci si vedeva “da Valerio”, come un bar o una libreria, solo con la scusa della macchina che non va. E quando finalmente si entrava nel merito dello scopo meno importante per il quale si era lì, la domanda era sempre la stessa: “che rumore fa?”. Si, il rumore era la voce del mezzo, un linguaggio a noi sconosciuto, comprensibile solo a pochi eletti, tra i quali c’era Valerio. Lui voleva sempre sapere la nostra impressione sul rumore; poi quando aveva capito che avevamo scambiato il rigurgito del bambino per un problema alla cinghia di trasmissione, allora proseguiva il suo dialogo da solo con la macchina, lasciandoci avvolti nella nebbia. E tornavamo sempre da lui, ammaliati da quella accoglienza, da quei modi sorridenti, da quella solida rettitudine, mai scalfita dalle difficoltà quotidiane. Intellettualmente e di fatto, integro fino all’osso, onesto e coerente. Era riuscito (fatto davvero raro) a cambiare squadra del cuore, non per piaggeria, come fanno molti, ma perché il Presidente gli stava proprio sullo stomaco. Il suo concetto di giustizia aveva a che fare con la sua arte. Gli ingranaggi della vita dovevano collimare ed essere oliati e registrati alla perfezione. L’arroganza e la violenza del potere, e del denaro dovevano essere banditi come acqua nel serbatoio del carburante, come polvere nel filtro dell’aria. Valerio era uno dei quattro amici al bar di Paoli, l’ultimo, quello che rimane fino alla fine, convinto che si possa cambiare tutto e lo vuole spiegare ai ragazzi che seguono. Il destino ha voluto donarmi un figlio col suo nome: scherzando gli dissi un giorno che se avesse voluto fare il suo mestiere, avrebbe fatto apprendistato da lui e un domani non avrebbe neanche dovuto cambiare l’insegna. Valerio era il meccanico dei nostri cuori, motori che si arricchivano di ossigeno sentendolo parlare, guardandolo lavorare con in sottofondo Al Di Meola o Wagner. Valerio continuerà la sua opera da un’altra officina, aiutandoci ad aggìustare questo mondo che non ci piace, che deve andare assolutamente in revisione.

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