28.4.21

28 aprile


Mi trastullo di pindarici voli,
circonflesso di Vuoto cosmico
avvinghiato all’ultima rupe,
nudo alla grandine della resa.

Poi il decollo di un pensiero
sulle ali di giocose falene
incastonato tra cento righe,
estatica frantumazione di coralli,
a liberare due gabbiani impazziti.

Ma un infame rituale
mi costringe a picchiare
su tastiere inanimate
lettere sfiancate
che girano in tondo
ostaggio dei miei silenzi,
cilicio delle mie notti.

Riemergono nomignoli
accademia di una tenera crusca
dolcezze in forma di fiaba,
ingressi profumati in te,
adorazioni della tua essenza.

I miei versi erano
vestiboli di carezze
sui tuoi palpiti vitali,
parallasse di sguardi
sui tuoi pensieri profondi,

sul tuo corpo chiaro
disegnavo arcobaleni,
componevo sinfonie,
scolpivo vibrazioni

ed eri foce del mio fiume.

24.4.21

I miei versi


I miei versi sono
congiunzione di carezze
sui tuoi pensieri profondi
sui tuoi palpiti vitali
e sul tuo corpo chiaro
dove disegno arcobaleni
compongo sinfonie
scolpisco vibrazioni
e sei foce del mio fiume.

I poeti non si prendono


Non cercate di prendere i poeti,
perché vi scapperanno tra le dita.

Alda Merini.

...ma se qualcuno ci riesce, 
richiudete le mani con delicatezza
e custoditeli con tutto l’amore che potete.

 

Fermo


Sei lì fermo
inchiodato al Nulla
nudo alla grandine della resa
poi a volte basta un sorriso
incastonato tra cento righe inutili
che tocca in profondo
e lega due anime in un sogno.

Peter Pan


Mi stavo impegnando
a diventar grande
a pensare al futuro
ringuainare la spada
e mettermi seduto
a godermi il tramonto.

Ma non ce la faccio:
sono ancora il bambino
quello che fa i cuori sul diario
quello che imita Sandokan
e spara con le pistole di Buffalo Bill.

Sono sempre infatuato
di quella del primo banco
e di quella del piano di sotto,
quello rapito da Che Guevara
quello che El Pueblo Unido
non sarà mai vinto.

Sono quello del pane tutta crosta
della mozzarella e della pizza
della granita con la panna
di Topolino e Nembo Kid
dei trenini elettrici e dei Lego.

Sono quello che porta nel cuore
i compagni di scuola
che rifarebbe tutto di nuovo
anche gli scherzi ai prof
e i tanti sette in condotta.

Sono quello che s’innamora
delle anime tristi ed incomprese
perché mi ci riconosco
sono quello delle rose rosse
sorprese tra le pagine dei libri.

Sono quello degli altoparlanti sul balcone
quello che scrive sei bella sull’asfalto
quello che corre in piedi sulla moto
sotto le finestre del mio amore
quello che se non soffre non vale
quello delle bugie di un bambino.

E sono quello delle poesie
che mi portano lontano
in luoghi inaccessibili
dove qualcuno si è perso
proprio all’ultimo metro.

Mi stavo impegnando
a diventar grande
ma non ci riuscirò
le mie ali non si chiudono
vogliono giocare per sempre.

Il faro


La fantasia popolare negli anni della mia adolescenza annoverava una costruzione particolare: il faro. Soprattutto quando era posizionato su un’isola dalla quale dominava l’orizzonte, avvisando della sua presenza per miglia e miglia. Il mare, elemento misterioso con le sue calme e i suoi silenzi, con le sue ire e le sue deflagrazioni, circondava la piccola terraferma dove il faro assumeva le vesti di un vero e proprio totem, un misericordioso, simbolico rifugio incarnante le speranze, i desideri, i sogni dei suoi, talvolta, singoli abitanti.
Nel 1967 la RAI trasmise una piccola serie di 4 episodi, nello spazio destinato alla TV dei Ragazzi, che s’intitolava “I racconti del faro”. Protagonisti erano Fosco Giachetti, storico grande attore di teatro, nella parte di Libero (mai nome fu più calzante), responsabile del faro e Roberto Chevalier nella parte di Giulio, suo nipote che lo veniva a trovare sulla sua isola dal continente.
In quell’epoca io ero spesso a casa dei miei zii dove la sorella di papà, Wanda, era maestra e mi faceva doposcuola e il marito Peppino era la persona alla quale mi affezionai tantissimo. Era il narratore di storie avvincenti e pericolose, colui che amava la campagna e la natura e che mi scarrozzava in lungo e in largo per le contrade. Che mi insegnò a nuotare. E che mi presentò la Loggia di Pilato che imparai ad amare.
Ecco, lo zio Libero del faro era la proiezione del mio zio Peppino e le avventure di Giulio, tra tesori nascosti, pirati spietati, messaggi nella bottiglia, naufraghi sconosciuti che approdavano sull’isola, erano le mie avventure, quelle che vivevo nella mia fantasia, insieme a mio zio Peppino che ho amato tanto e che mi ha donato questa casa in questo luogo carismatico che ha qualcosa del faro, nel suo dominio della pianura, nel suo essere al centro degli elementi, nel suo alternarsi di silenzi e bufere, profumi e colori, il sogno dei pittori e dei poeti.

16.4.21

Il barattolo


Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo:
“Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.
E lei non gliene chiese,
gli rispose: “Ti amo”.
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio
e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio.
Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo,
perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

Jonathan Safran Foer

 

Le mie canzoni


Esistono amiche devastanti
che ti rincorrono testarde
sono le canzoni urlate
davanti allo specchio dei ricordi
quelle che sai sillaba per sillaba
quelle che rigano il cuore.

Quelle che batti con il piede
e “la la la” quando c’è solo musica,
quelle che balli e balli
piroettando con le ombre,
quelle che il tempo è fermo lì,
ti aspetta al varco
scippandoti con destrezza
la maschera dello “sto bene”.

Le canzoni che martellano,
scudisciano, soffocano,
quelle che ti lasciano la sera
e tornano la mattina
bagnate di caffè e lacrime.

Le canzoni che trotterellano
insieme al tuo dolore
che invadono le pause
violentano i silenzi
percuotono i falsi sorrisi.

Le canzoni che ti porterai con te
appese all’ultimo tramonto
il tuo prezioso medley
da cantare alle stelle.

12.4.21

La conchiglia blu


Nel mio sogno
c’è una spiaggia assolata
dove mare, cielo e sabbia
in fondo al rigo dell’iride
si confondono di mistero.

E ciabattando tra furfugli
di onde giocanti
ho visto una conchiglia blu.

Le ho prestato il mio desiderio
parlandole come fosse la tua bocca
e il blu vibrava e gemeva.
Non so che poesia fosse
ma erano fuoco e spade,
voli ed uragani.

Attendevo una risposta
accostato a quella porta blu:
ma spirava solo silenzio e salsedine.

L’ho affidata alla corrente:
“Va e porta il mio bagaglio
di stelle marine ed ippocampi
granchi innamorati di sole,
va e porta l’eco del mio sorriso
fluttuante tra le curve ubriache
dei tuoi eterni ritorni”.

Quello che so dell'amore


Quello che so dell’amore
è che un diamante grezzo
nel mio cuore
riflette una luce insopportabile
che solo un caso
nell’imperscrutabile volteggiare delle stelle
può trovare uno sguardo capace di sostenerlo.

Soffiami via

A volte mi ritrovo
bendato
a camminare sull’orlo
del pensiero di te...

Soffiami via...

L'eterno ritorno

E ancora un altro giorno muore
di un altro anno
di un altro senso
e tu mi frantumi ancora l’anima
con i pezzetti che rotolano in fondo
ad un cassetto tarlato di dubbi:
tu che hai separato
Scilla e Cariddi, Calpe ed Abila,
hai zittito Sibille ed Oracoli,
hai raccontato la storia
per cui si muove l’universo
in un ciclico, rocambolesco,
funambolico combinarsi
di chimiche celesti.

Dove sei? Voglio amarti ancora
fondermi nella tua essenza di sole
accoccolarmi all’ombra dei tuoi seni
donarti piacere senza fine
senza tempo senza pause
ancora sentirti mia
ancora tuo oggetto
ancora bere alle tue fonti
ancora mia ultima poesia del mistero
ancora ultima spiaggia del mio mare
sommergimi, glassami di sogni,
avvolgimi di firmamenti
buca le frontiere del tempo
ritorna miracolo primordiale
ritorna a nascere dentro di me.