25.10.21

Parti con dolore

 

Le poesie
sono partorite con dolore
cesarei tagli
al ventre dell’anima
cordoni ombelicali
che suggono sogni
rendezvous di emisferi
dove sorgono cuori
incartati d’amore.

Colazione di te

 

Seduto
all’ombra del tuo sorriso
m’accorgo divertito
delle briciole di cialda
che un tovagliolo distratto
ti ha risparmiato sulle labbra.

Tu con le gambe rannicchiate
fai colazione con la mia vita
sbocconcelli il mio cuore
a piccoli morsi impertinenti.

Mi sorprendi ogni mattina
profumata di caffè
una ciambella seducente
farcita di poesia.

Una spruzzata di cacao
ti colora la guêpière
chiudendo le mie fantasie
e la giornata plana sui colli
offrendo un senso al mio andare.

Grammatica divina


T’inseguo cocciuto
su tornanti sillabati
avvitando versi
d’amorose consecutio.

Varco trappole sdrucciole
ossimori ed antitesi
anafore e metafore
imponendo estatici accenti
su pindarici balzi.

Sei la mia grammatica divina
fertile, avida, mai sazia
per te saccheggio Babele
coniugo verbi all’infinito
invito al ballo desinenze
per viverti in volo
e cantarti per sempre.

Gabbiano di luce

 



Se qualcuno ti ha ferito
sparando ad altezza d’anima
il tuo petto di poeta
fatto di cellule di sogni
si è fatto attraversare
e ha liberato il gabbiano di luce
che ora impara nuovamente a volare.

I viaggi del poeta


Il poeta
ha il timone di un’astronave
che fa a gara con la luce
incrocia a volte il Capitano Kirk
avvista il mantello rosso di Superman
si rincorre con Peter Pan

ma a volte truci asteroidi
sorgono dall’ignoto delle galassie
oscurando i soli interstellari.

È il momento di fare rifornimento
dell’unico propellente
che accende l’Universo,
massaggia le ali,
rifocilla i sensi
e proietta lassù
dove una panchina di rose
fa accomodare gli angeli
che discutono d’amore.

9.10.21

La libraia

 

Un giorno come gli altri,
diverso e uguale agli altri
mi persi in un borgo malfamato
era buio, ruvido e secco
come un’anima incartata.

Mi trascinavo per vicoli aguzzi,
sbattendo sugli spigoli,
sbucciandomi la coscienza,
appoggiato a muri parlanti,
inseguito da ombre a cavallo.

Una lucina mi sorrise pietosa
in fondo ad una botte vuota
sconfiggendo ragnatele alacri,
e allora cercai di raggiungerla
con una mano sul petto del tempo.

Un bugigattolo con tre scalini
e cigolando la mia vita s’intrufolò
in quel ripostiglio di carta
dove m’inghiottì una calma dolce
e un calore di pace sfogliata.

Libri, tanti libri in ogni dove,
accatastati, inginocchiati,
preganti, urlanti e vincitori.
E poi ti vidi seduta sui paragrafi
un pince-nez premuto sul mio cuore.

“Ti aspettavo all’ultima pagina”,
mi dicesti e il tuo sorriso saltò fuori
rigando i fogli dell’Indice.
“Un libro è una cosa meravigliosa,
ma io ti proporrei un miracolo”.

E allora presi in petto quel dono
bevendo avidamente ogni sillaba.
Quel libro narrava di emisferi alati
di gioie vestite di vento, di rose
di Picasso, Van Gogh e Leonardo.

Quel libro parlava di note primordiali
di Beethoven, Vivaldi e Strauss
era plasma di sogni accessibili
giochi all’infinito, poesia di strada.
Quel libro partoriva ad ogni capoverso.

Non ci misi molto tempo,
forse un occhiolino di farfalla,
ma la sfera rotolava da un decennio,
la parola FINE tirò il freno a mano
e precipitai nel mondo a piedi scalzi.

Non c’era più nessuno nel vuoto:
i libri assuefatti allo sparpaglìo,
l’aroma intenso della carta nell’aria,
i tuoi pince-nez piangevano a terra
irridendo la mia inutile saggezza.

Non ho più ritrovato quella libraia
e il suo magazzino di prodigi,
ma quei fogli macchiati di sole
sono fissi sul leggìo dei miei anni
e continuo - incredulo - a sfogliarli.

Oh autunno!

 

Oh autunno
sudario delle mie passioni
diga delle mie tempeste
argine insensato
alla mia follia bulimica
ignifuga crudeltà
al fuoco dei miei vulcani
divarica, ti scongiuro,
le porte dell’inferno
affinché io possa ancora
bruciare di eterno amore!

Ispirata dal romanzo "Life" di Teodoro Fuso

 

Fu così che la vide.
Disegnava cerchi nell’aria
con le mani giunte
genuflessa ad un dio pagano.

Volteggiava nelle sue pupille
che, inerti al gioco dei sensi,
la seguivano illuminate
dalle sue movenze ritmate.

Sembrava saltare leggera
sui tasti di un pianoforte
che insinuava musica celeste
nella sua mente abbacinata.

E il suo mento dondolava
inebetito da tanta bellezza.
S’innamorò di quella sequenza
di quel fruscio bianco di vento
che gli soffiava sulle guance,
di quel profumo di vita
che gli frullava l’anima.

Spense la luce dei pensieri
e si lasciò germinare rose
da distribuire su quel corpo
affusolato di stelle
quando le avrebbe chiesto
di danzare per sempre
sul tappeto del suo cuore.