Un giorno come gli altri,
diverso e uguale agli altri
mi persi in un borgo malfamato
era buio, ruvido e secco
come un’anima incartata.
Mi trascinavo per vicoli aguzzi,
sbattendo sugli spigoli,
sbucciandomi la coscienza,
appoggiato a muri parlanti,
inseguito da ombre a cavallo.
Una lucina mi sorrise pietosa
in fondo ad una botte vuota
sconfiggendo ragnatele alacri,
e allora cercai di raggiungerla
con una mano sul petto del tempo.
Un bugigattolo con tre scalini
e cigolando la mia vita s’intrufolò
in quel ripostiglio di carta
dove m’inghiottì una calma dolce
e un calore di pace sfogliata.
Libri, tanti libri in ogni dove,
accatastati, inginocchiati,
preganti, urlanti e vincitori.
E poi ti vidi seduta sui paragrafi
un pince-nez premuto sul mio cuore.
“Ti aspettavo all’ultima pagina”,
mi dicesti e il tuo sorriso saltò fuori
rigando i fogli dell’Indice.
“Un libro è una cosa meravigliosa,
ma io ti proporrei un miracolo”.
E allora presi in petto quel dono
bevendo avidamente ogni sillaba.
Quel libro narrava di emisferi alati
di gioie vestite di vento, di rose
di Picasso, Van Gogh e Leonardo.
Quel libro parlava di note primordiali
di Beethoven, Vivaldi e Strauss
era plasma di sogni accessibili
giochi all’infinito, poesia di strada.
Quel libro partoriva ad ogni capoverso.
Non ci misi molto tempo,
forse un occhiolino di farfalla,
ma la sfera rotolava da un decennio,
la parola FINE tirò il freno a mano
e precipitai nel mondo a piedi scalzi.
Non c’era più nessuno nel vuoto:
i libri assuefatti allo sparpaglìo,
l’aroma intenso della carta nell’aria,
i tuoi pince-nez piangevano a terra
irridendo la mia inutile saggezza.
Non ho più ritrovato quella libraia
e il suo magazzino di prodigi,
ma quei fogli macchiati di sole
sono fissi sul leggìo dei miei anni
e continuo - incredulo - a sfogliarli.