20.11.24

Scritture brevi: la cena




Il ristorantino era imbracato tra due vicoli oscuri, tristi, tanto che parevano vestirsi a festa solo nel piccolo angolo illuminato dall’insegna.
Lei camminava svelta e la voce schioccante dei suoi tacchi rimbalzava tra chianche e tufo, in contrasto assoluto con il mio passo, lungo e silenzioso. Avevano scelto quel posto cercando di ridurre al minimo la possibilità di essere visti e riconosciuti. Scelsero un tavolino defilato dove il vibrato di un violino si strusciava tra gambe e tovaglie con un’eco malinconica. I suoi occhi erano appiccicati a lei con un mastice impastato di cuori.
Fu così che quando il cameriere chiese loro cosa preferissero bere, lui - senza distogliere lo sguardo - rispose: “Faccia lei. Un vino che sia…ADEGUATO”. 
Dopo una pausa che sembrò durare un secolo, nella quale tutti i tavoli si erano fatti orecchie, lei scoppiò a ridere e, fuori, i vicoli si illuminarono a giorno.
Lui sente ancora quella risata e quel malinconico violino in quelle sere smozzicate in cui sorseggia la sua vita annaffiata con un vino di cui non ha più saputo il nome.

19.11.24

Scritture brevi: i portici



Andavamo mano nella mano sotto i portici.
La luna si era agghindata d’argento e scherzava con le pozzanghere, graffiandole di strisce luminose. Un cane sfaccendato annusava i marciapiedi e s’incuriosì di noi. Guardavo le nostre ombre che sembravano correre più veloci. Erano felici, inconsapevolmente, come noi.
Andavamo. I portici ci tenevano per mano.
E il cane guaì, nella notte.

12.11.24

Senza esagerare



Mi piace immaginare
che tu possa
portarti in giro
- sottobraccio -
le mie cadute
e le mie sopravvivenze
e che così
- senza esagerare -
tu mi possa immaginare
di star vivendo in un mondo
che non fu mai creato.

9.11.24

Un pensiero di passaggio



Ho chiesto un passaggio
ad un pensiero.
Era un po’ claudicante
volava basso
forse nel raccogliermi
ha anche inciampato.

Gli ho dato il tuo indirizzo
- via dei Vetri Appannati -
e gli ho raccomandato
di fermarsi sotto il tuo respiro
e di raccontarti una favola
dove due non si smarriscano
dove non esista la parola fine.

4.11.24

Il bacio sulla guancia



Quel bacio sulla guancia.
Leggero, soffice come una piuma.
Come il passo dell’avventore che entra per la prima volta nell’anticamera di una casa mai frequentata.
È un messaggio dove c’è scritto che - stando alle apparenze - mi sei simpatica, mi hai incuriosito, ma sono solo alla copertina di un libro che qualcuno - in terra o in cielo - mi ha consigliato, e ho bisogno di sfogliarlo con calma. E tutti i libri vanno trattati con cura, almeno all’inizio. Poi, alla fine, puoi decidere se trovargli un posto, più o meno ordinato, in mezzo a tanti altri.
Oppure puoi decidere se lasciarlo lì, a portata di mano, sul tavolino del salotto o in braccio all’orsacchiotto che hai sul letto. Per riprenderlo subito, domani, ora. Perché non hai compreso bene, forse ti è sfuggito qualcosa. Oppure quel passaggio ti ha accarezzato e lo desideri ancora e ancora. E c’è quel profumo particolare, che magari è dentro tutti i libri del mondo, ma accostato a lei, con la sua voce, il suoi punti interrogativi ed esclamativi, i suoi silenzi chiassosi, chissà perché, ha una fragranza speciale, sa di pane, cioccolata e tramonti.
Tutto questo in quel bacio sulla guancia.
Dove le labbra e i sogni hanno preso la stessa direzione, tenendosi per mano.

Total eclipse of the Heart - Bonnie Tyler



La mia rivisitazione:

Un tempo
ero il tuo pianeta
e ti giravo intorno
pensavo fosse per sempre
per sempre.

Ora mi piovono lacrime
ora cado a pezzetti
e non posso dire nulla
non posso fare nulla
posso solo scrivere di te.

Ho paura di quest’ombra
mi uccide il buio
di questa eclissi totale
il mio cuore era acceso
negli occhi del tuo sole
ora il gelo è sceso
in questa eclissi totale.

Dimmi che tornerai a girare
che mi stringerai forte
dimmi che girerai ancora
che scaccerai quest’ombra
dimmi che sarà per sempre.

2.11.24

Recensione di “Limiti” di Lorenzo Di Bello




Il link per scaricare l’e-book:


La “comfort zone” di un poeta è astrazione, levitazione, appropinquarsi ai bordi resi ottenebrati da mediocri sopravvivenze, quasi invisibili ai più. Lorenzo Di Bello in quest’ultima opera è sempre proteso verso i confini frastagliati e ruvidi di una lettura spietata di sé stesso e del mondo. Spietata perché genuina, mai blasfema verso i propri ideali, le pulsioni, la sua visione insieme apodittica e apocalittica, ma che – raschiando il fondo – cela briciole non banali, anzi, salvifiche, di escatologia cosmica. Si pone Quesiti – l’Autore – e non rinuncia a spianarsi estuari verso il mare delle risposte non evasive. “Siamo ciò che riusciamo a mettere/sotto i piedi senza calpestarlo/ciò che ci illumina la via senza accecarci nel/camminamento.” 
Ma nel marasma delle contraddizioni che “l’animus poetandi” raccoglie, emerge – e non può essere diversamente – la leggerezza dei sentimenti puri, alieni da falsi pudori, elevati alla sommità dell’empireo assoluto. In “Assalire il tuo corpo” pare affacciarsi il Lucio Dalla di “Futura”. Si ondivaga quindi tra i ricordi adolescenziali, la “pax maturitatis”, il primato della memoria ancestrale su quella tecnologica. Se dovessi estrarre numi ispiratori – peraltro comuni nella sua storia poetica – citerei la lapidaria determinatezza di Arminio, contaminata a volte dalla fustigante ironia del Prevert non romantico, ma militante. E poi il meraviglioso Calvino con le sue metafore tra fantasy e simbolismo. Pasoliniane le “full immersions” nella natura, che Lorenzo espone nella sua serra privata: agavi, fichi d’India, calle, abeti, pini loricati, nello struggente desiderio di ritorno alle origini in cui poco o niente era corrotto, molto o tutto era innervato di semplicità. Non poteva mancare il pungiglione che offende e tormenta qualsiasi animo sensibile in questo declino di umanità contemporanea: il rifiuto della guerra e di una sua inconcepibile comprensione, con la sentenza inappellabile verso chi la nutre di bulimica violenza. Questa deriva accende nell’Autore il riferimento storico ai briganti dell’ottocento e alla loro volontà palingenetica.
E qual è, “in limine” – appunto, il ruolo dei poeti in questo scenario? Lorenzo lo suggerisce con dei versi stupendi: “Ma i poeti non dormono aspettando l’alba/i poeti non addormentano i sogni/i poeti sono due su mille/gli altri sono personaggi/in cerca d’autore.”

In definitiva, accogliamo con piacere questo “e-book” di Lorenzo Di Bello, sottolineando la scelta di divulgazione gratuita, cosa che in un attuale panorama editoriale autoreferenziale/narcisistico/mercantilistico è una nota di merito, che tende a materializzare la poesia come “dono” per la fruizione più larga possibile.


Amo la tua tristezza



Amo la tua tristezza
quella che ti si appende al labbro
e ti nereggia lo sguardo.

Amo la tua resistenza
quel “non ti preoccupare”
chiuso in un pugno ribelle.

Amo le tue rinascite,
le lenzuola attorcigliate
intorno ai fianchi,
il tuo sapore vermiglio,
la luna che ti ho legato
baciandoti il collo.

Amo la tua tristezza
sempre perdente
che s’arrende sotto i tacchi
mentre balli al tramonto
e copri il mio cielo di rosso.

1.11.24

Everybody hurts - R.E.M.



La mia rivisitazione:

Ci sono giorni in cui
ci sono montagne
davanti a te
e tu pensi di non farcela

ti vorresti rassegnare
e piangi
ma poi pensi
che tutti piangono un pò
tutti soffrono

senti una voce
che ti chiama da lassù
e alzi la mano
si c’è qualcuno lassù

eri certo di essere solo
ma ti sbagli
e ti commuovi
perché sei vivo

piangere è giusto
quando si è vivi
tutti piangono
tutti soffrono
perché sono vivi.