Il ristorantino era imbracato tra due vicoli oscuri, tristi, tanto che parevano vestirsi a festa solo nel piccolo angolo illuminato dall’insegna.
Lei camminava svelta e la voce schioccante dei suoi tacchi rimbalzava tra chianche e tufo, in contrasto assoluto con il mio passo, lungo e silenzioso. Avevano scelto quel posto cercando di ridurre al minimo la possibilità di essere visti e riconosciuti. Scelsero un tavolino defilato dove il vibrato di un violino si strusciava tra gambe e tovaglie con un’eco malinconica. I suoi occhi erano appiccicati a lei con un mastice impastato di cuori.
Fu così che quando il cameriere chiese loro cosa preferissero bere, lui - senza distogliere lo sguardo - rispose: “Faccia lei. Un vino che sia…ADEGUATO”.
Dopo una pausa che sembrò durare un secolo, nella quale tutti i tavoli si erano fatti orecchie, lei scoppiò a ridere e, fuori, i vicoli si illuminarono a giorno.
Lui sente ancora quella risata e quel malinconico violino in quelle sere smozzicate in cui sorseggia la sua vita annaffiata con un vino di cui non ha più saputo il nome.