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La “comfort zone” di un poeta è astrazione, levitazione, appropinquarsi ai bordi resi ottenebrati da mediocri sopravvivenze, quasi invisibili ai più. Lorenzo Di Bello in quest’ultima opera è sempre proteso verso i confini frastagliati e ruvidi di una lettura spietata di sé stesso e del mondo. Spietata perché genuina, mai blasfema verso i propri ideali, le pulsioni, la sua visione insieme apodittica e apocalittica, ma che – raschiando il fondo – cela briciole non banali, anzi, salvifiche, di escatologia cosmica. Si pone Quesiti – l’Autore – e non rinuncia a spianarsi estuari verso il mare delle risposte non evasive. “Siamo ciò che riusciamo a mettere/sotto i piedi senza calpestarlo/ciò che ci illumina la via senza accecarci nel/camminamento.”
Ma nel marasma delle contraddizioni che “l’animus poetandi” raccoglie, emerge – e non può essere diversamente – la leggerezza dei sentimenti puri, alieni da falsi pudori, elevati alla sommità dell’empireo assoluto. In “Assalire il tuo corpo” pare affacciarsi il Lucio Dalla di “Futura”. Si ondivaga quindi tra i ricordi adolescenziali, la “pax maturitatis”, il primato della memoria ancestrale su quella tecnologica. Se dovessi estrarre numi ispiratori – peraltro comuni nella sua storia poetica – citerei la lapidaria determinatezza di Arminio, contaminata a volte dalla fustigante ironia del Prevert non romantico, ma militante. E poi il meraviglioso Calvino con le sue metafore tra fantasy e simbolismo. Pasoliniane le “full immersions” nella natura, che Lorenzo espone nella sua serra privata: agavi, fichi d’India, calle, abeti, pini loricati, nello struggente desiderio di ritorno alle origini in cui poco o niente era corrotto, molto o tutto era innervato di semplicità. Non poteva mancare il pungiglione che offende e tormenta qualsiasi animo sensibile in questo declino di umanità contemporanea: il rifiuto della guerra e di una sua inconcepibile comprensione, con la sentenza inappellabile verso chi la nutre di bulimica violenza. Questa deriva accende nell’Autore il riferimento storico ai briganti dell’ottocento e alla loro volontà palingenetica.
E qual è, “in limine” – appunto, il ruolo dei poeti in questo scenario? Lorenzo lo suggerisce con dei versi stupendi: “Ma i poeti non dormono aspettando l’alba/i poeti non addormentano i sogni/i poeti sono due su mille/gli altri sono personaggi/in cerca d’autore.”
In definitiva, accogliamo con piacere questo “e-book” di Lorenzo Di Bello, sottolineando la scelta di divulgazione gratuita, cosa che in un attuale panorama editoriale autoreferenziale/narcisistico/mercantilistico è una nota di merito, che tende a materializzare la poesia come “dono” per la fruizione più larga possibile.
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