3.7.21

Life di Teodoro Fuso: la mia presentazione.

 


Stasera sono stato invitato dall’amico Dodò a parlare del suo romanzo. Ma Teodoro Fuso, nella veste di scrittore, ci presenta solo una delle sue metamorfosi. Egli si può definire un artista completo. Completo ma non compiuto. Perché sono convinto che altre sorprese ci attendono, plasmate dalla sua enorme capacità creativa. La potenza dell’Arte si può paragonare all’energia che risiede nell’atomo. Come la fissione dell’atomo produce la sua divisione, così lo spirito artistico deve cercare di esprimere la sua travolgente carica in diverse forme di espressione. Pertanto, dal nucleo primordiale che ha generato il musicista è poi nato il video maker, il pittore e poi lo scrittore. (se non ho dimenticato qualcosa).
Ed in tutte queste attività Dodò è riconoscibile: la sua identità e la sua impronta sono inconfondibili e ci trasportano sui suoi binari emotivi di riflessione e interpretazione del mondo. Anche il suo romanzo è intriso di sé, del suo modo inconfondibile di pensare e riferire i suoi sentimenti.
Hemingway diceva che “gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade.” E il nostro beneamato comandante Che Guevara potrebbe fare la sua chiosa aggiungendo che “la qualità più bella di un rivoluzionario è sentire nel più profondo di noi stessi ogni ingiustizia commessa, contro chiunque nel mondo.”
Dodò sembra aver incarnato questi due assunti quando ci racconta nel suo incipit (e non solo in questa ultima sua opera) l’ultimo periodo nel quale l’idea rivoluzionaria è sembrata tanto vicina da poter essere toccata e realizzata.
Life in sostanza è un racconto che cuce due epoche. Una breve prima parte che si dipana con tutti gli ingredienti di un romanzo storico calato in quella straordinaria parentesi, qual è stato il ‘68, con le sue vicende, le sue impennate, le sue contraddizioni, e con la sua meravigliosa volontà di far salire l’immaginazione al potere. Dodò ci ricostruisce le colonne sonore di quegli irripetibili anni in cui i ragazzi di Liverpool, partendo da seminterrati, percorsero la strada che li portò ad essere il fenomeno musicale del secolo ed il punto di riferimento di quella che venne chiamata la “beat generation”. Veniamo poi trasportati nella turbolenza delle strade avvolte da fumogeni dove schiere di ragazzi manifestavano contro le guerre, contro l’arroganza del Potere, per rovesciare tutte le gerarchie dominanti, dalla cultura all’istruzione, dalla filosofia al costume che ne erano asservite e complici. Qui vengono tracciate le personalità di alcuni protagonisti. Personalità ispirate ed allenate ad un sistema di valori e ideali che - scopriremo - resteranno pietre miliari della loro esistenza. In questi frangenti Dodò non manca di darci elementi sicuramente autobiografici come i prodromi della sua arte di musicista, il suo impegno politico, la sua militanza sul campo, la sua coerenza intellettuale. Egli si muove con padronanza su un terreno più volte esplorato, analizzato e metabolizzato.
Il lettore si aspetta pertanto che la narrazione evolva verso un canovaccio ancorato a quelle situazioni, con le enormi scosse emotive ed adrenaliniche che le accompagnarono e le definirono.
Invece no. Dopo i primi due capitoli si affronta un imprevisto salto attraverso un varco temporale. Ma ciò che avvenne tanti anni prima rimane sempre sullo sfondo, e di tanto in tanto i suoi venti di passione spirano qua e là tra i capitoli del romanzo. Veniamo catapultati in un’attualità non ben precisata, anche perché il contesto storico generale non è più globalizzante e dirimente sulle vicende dei personaggi, i quali sono diventati maturi nelle loro storie personali, nelle loro scelte lavorative e sentimentali. Però essi vengono affiancati ed attorniati dalla generazione successiva. E qui devo sottolineare che la penna dell’autore fornisce le sue più interessanti evoluzioni, in quanto le vicende individuali, variegate e curate nei particolari, riescono a trascinare il lettore senza un attimo di pausa. Precipitiamo nella curiosità di conoscere passo passo dove Dodò ci vuol condurre e, soprattutto, quale sia il filo che lega queste due epoche.
Ebbene il nesso è dentro i personaggi. Tutto il mondo fuori è cambiato. Ma non nel senso e nelle speranze che erano alla base di quel ‘68 che elaborò e cercò di realizzare una palingenesi della società. Il mondo è cambiato, ma non è riuscito ad anestetizzare le loro coscienze. Non è riuscito a penetrare come virus nelle loro anime, generando i disvalori propri del nostro tempo. Quelle fiammelle accese nel passato ardono sempre nel loro profondo e consentono di fare scelte meditate, ma pur sempre coerenti con il background costruito negli anni giovanili. E i ragazzi venuti dopo di loro sembrano leggere, comprendere ed ereditare il messaggio. Essi si muovono sul palcoscenico della vita con le loro contraddizioni, difficoltà, inesperienze. Non ci sono rivoluzioni globali da preparare, ma ci sono i drammi che caratterizzano la nostra attualità da affrontare con coraggio e determinazione. Si trovano a frequentare storie di emigrazione, la tratta delle donne, la schiavitù della prostituzione. Life stessa sperimenta sulla sua pelle quanto sia difficile far emergere il talento per una donna, senza subire ricatti sessuali. Essi sono soggetti alle stoccate ed ai rimbalzi inesplicabili ed imprevedibili dei sentimenti che non hanno percorsi vincolanti di sesso, differenze di età, pregiudizi. Ma sono illuminati da un sentiero di luce aperto da altri tanti anni prima, che non si è mai fatto oscurare dalle tenebre dell’egoismo e dell’indifferenza e sul quale vengono accompagnati e tenuti per mano.
E questo sentiero di luce ha un solo traguardo possibile: un epilogo che ci lascerà emozionati e saturi di gratitudine.
E ditemi, cosa dobbiamo chiedere di più ad un romanzo se – leggendolo - ci siamo arricchiti di bei ricordi, di forti idealità, di travolgenti passioni, di ottimismo? Alla fine, siamo sicuramente esseri migliori di prima, con il sorriso incastonato sui nostri volti.
Questo è Life: un urlo di speranza che salutiamo a braccia e cuore aperti.
E non a caso Dodò ha voluto che Life fosse il nome della protagonista. Perché i nomi di persona si scrivono con la lettera maiuscola. E noi dovremmo sempre tenere scritto nei nostri cuori Life - cioè Vita - con la lettera maiuscola. Perché la Vita non sia mai sprecata, disattesa, mortificata; perché essa sia cenacolo di giustizia, fonte di fratellanza, coraggio di ribellione, quando occorre; ma soprattutto perché venga condotta e percorsa in quel meraviglioso cerchio multicolore, in quel roteare sublime e irripetibile, miracolosamente e splendidamente governato dall’Amore.

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