26.3.22

Omaggio a Dante

 

Color di rosso vespro il ciel vibrava
lenta baciò la nudità del mare
trasportar mi feci luce d’un carro
e sul tuo viso m’adagiai sognante.

Amor che move il sole e l’altre stelle
lasciami ancor tuo servitor perenne
possa io trovar nuova forza e il volo
per forgiar versi d’infinito senso.

La visita della rondine


Quando un timido sorriso
portato in volo
da una rondine giocoliera
fa toc-toc alla persiana
della tua scomposta esistenza,
non avere timore
di rompere l’assedio
di una stagione che duole.

Conosco il tuo sfinimento:
galleggiare sul rancore
mentre ogni sasso appuntito
piaga il tuo cammino
aprendo squarci di passato,
clessidra d’inumana ferocia.

Toc-toc garrisce ancora
dietro l’imposta del cuore
e non si rassegna al silenzio
di un letto a metà disfatto:
il sole è più caldo stamattina
disegna arabeschi di cielo
sulle pareti della vita.

Il vecchio e la chitarra

Nel vicolo strusciante ombre
un vecchio e la sua chitarra
seduto sulla storia di ieri
canta al sonno della ragione.

Il folletto del marciapiede
ha il frac inzuppato di sogni
e danza intorno al vecchio
che batte il piede a tempo di swing.

Pozzanghere riflettono divertite
applausi di vetro bollente
mentre ride l’elfo col barbone
e la vita scorre intorno al Titanic.

Tutto ha un senso comune
un pensiero convergente
una democrazia conciliante
stretta al bordo dei cannoni.

 

Non parlateci di armi

 

Non parlateci di armi.
Vorrei carri armati di fiori
cingolati di grano e papaveri.
A grappolo siano vitigni
e more di bosco.
La chimica unisca due anime
legandole per sempre alla luna.

Non parlateci di armi.
Bombardateci di poesia
di fratellanza, di semplicità.
Fateci bersagli di bellezza,
torturateci di passioni,
stuprateci di saggezza.

Non parlateci di armi.
Scindete atomi di gioia
e mitragliateci a raffica.
Lanciate missili di umanità
e che sia ipersonico
solo il girotondo di bimbi
sull’emisfero dei sorrisi.

Recensione silloge "Come grano che biondeggia al sole" di Liliana Camarda


Se un ipotetico abitante di Marte si fermasse nella nostra Monopoli e volesse iscrivere la sua prole ad una scuola elementare, potrebbe capitare proprio nel plesso dove Liliana Camarda esercita magnificamente il suo ruolo di Dirigente. All’uscita esternerebbe ai suoi piccoli le sue impressioni: “Però, una vera professionista, colta, disponibile, aperta. Una donna tutta d’un pezzo!”
E sull’ultima impressione s’ingannerebbe. Liliana non è un monolite. Liliana è tanti pezzi brulicanti, effervescenti, roteanti in una bulimica, incontenibile spiaggia di magma. Liliana ha la febbre del vulcano mai spento sul quale ha appoggiato il macigno del “Gentle(wo)men’s agreement”, nascondendo il termometro dietro pirandelliane maschere di circostanza. È quello che fanno gli spiriti mai domi, assuefatti all’uso dell’estintore dei propri spasmi di passione, e - soprattutto - coloro che hanno incontrato eventi molto negativi nella propria esistenza, non soccombendone, anzi, elaborando il dolore e codificando una Bibbia della forza interiore. Senza mai farsi spegnere. Senza mai stravolgere se stessi. Senza cessare di amare. Chi o cosa non importa. Amare per amare.
Questa raccolta di poesie dice poche cose semplici, ma in modo sublime.
Quando, ad esempio, “Svegliarsi” è solo annullare le distanze “in un posto qualunque”.
Liliana soffre questo dualismo nel vivere una realtà asfissiante, rigida, oberata di liturgie, stilemi e rituali, contrapposta ad un pensiero costantemente in volo, selvaggio, giocoso, ferito. Se potesse “graffierebbe il cielo fino a farlo sanguinare”.
“Il cuore - infine- trabocca” è la lirica nella quale Liliana pare ancora sdoppiarsi e parlare all’altra sé che teme possa arrendersi all’apatia.
E “come novella Penelope”, ella si vede in un mood dove disfa e ritesse le sue passioni.
Ancora, in “Se potessi”, il trasporto raggiunge passaggi epici quando vorrebbe donare la sua “luce che brilla dentro” ad un insensibile destinatario e contemporaneamente gli è grata della sua semplice esistenza. Stupenda.
Cupa espressione di leopardiano pessimismo è “Muoio” che ricorda il “lentamente muore” di Martha Medeiros.
Ma a far lievitare la speranza viene in soccorso la Fede in “Come un profeta” che ha dato grande forza e coraggio nelle varie traversie che l’Autrice ha affrontato.
La rabbia fa capolino in “Guardale”, un anatema vibrante che chi di noi non ha scagliato verso un calpestatore di sogni?
Infine dopo aver citato i camei destinati ai figli (bellissima “Ti aspetterò”), mi è impossibile non terminare con i picchi toccati dalle tre liriche “É ancora caldo”, “T’amo” e “Ladri d’amore”.
Se esiste un modo possibile di descrivere quella meravigliosa tenzone che ha come teatro i nostri sensi, allacciati e lividi di passione, ebbri e succubi, sudati e spossati, Liliana lo ha raggiunto. In questi versi cade il dualismo e la poetessa scala il paradiso. Si protende e dispiega le ali nel cielo della libertà, la libertà di amare senza limiti e senza tabù.
Spazzati via tutti i gravosi infingimenti, ella si ritrova finalmente come spiga dorata a biondeggiare felice al sole della vita.
Una silloge imperdibile per chi persevera a contemplare i bei sogni nella vita di ogni giorno.

18.3.22

Ansa di Pace

 

Come tremuli gozzi
ristiamo
ansanti di calma
in un mare provvido
intriso di sogni
dove l’uomo
approdi solerte
a lidi maestosi di pace.

Gabbiano appiedato

Vorrei tornare
a parlar d’amore
dolce miraggio
e brama strangolata
da questo cielo
bombardato di pianto:
gabbiano appiedato
attendo e mi struggo:
uomo e lupo
mi hai sepolto le ali.

Pareti di cristallo


Districarsi
tra ombre impaludate
è sovrumano
per l’ergersi quotidiano
dell’alato senso.

Avvezzo allo spazio
da decifrare in volo,
mortifico il canto
libero e folle
dell’usignolo in amore.

Pareti di cristallo
mi circondano l’ego
che annaspa incredulo
della pochezza umana
farcita di tragedia.

Tornare ad abitare
la magione del sogno,
bucare la corteccia
custode di intimità
nude di ingenuo furore,
è missione salvifica
dell’eterno poeta,
straziato dal pantano
dove muore la missione
di rincorrere le rondini.

Cjà succèsse a ‘stu mōnne (Cosa è successo al mondo)

 

Cjà succèsse a ‘stu mōnne
nan ng’é chēnòssceme chjù
nan sime chjù frète
cum vulêve u Crïetóre
nan sēpìme vulêrce béne
nan ng’é salutème chjù
i né stēme a preghè a mòrte!

Tòtte stì crístiéne che fóscene
j-índe ù frídde sòtte a nêve
sènze mangè sènze vèvre
sènze chjù ‘nē chèse
sènze ‘nē chērèzze i ‘nu vèse.

I chidde peccìnne
nan tenêne chjù lácreme
nan sēpene chjù scjuchè
cjà fìne ana fē?

Mē cjà succèsse a ‘stu mōnne
addò se sckaffète l’ēmóre?
Addò se àcchje Críste?
Fàtte vedê! Dìne qualchi còse!
Chènge a chèpe di crístiéne
appècce ne lúsce de sópe
purcê stēme a u scúre
i nan putême scé ‘nnènze!


Cosa è successo al mondo
non ci conosciamo più
non siamo più fratelli
come voleva il Creatore
non sappiamo volerci bene
non ci salutiamo più
e ci stiamo augurando la morte!

Tutta questa gente che fugge
nel freddo, sotto la neve,
senza mangiare nè bere,
senza una casa,
senza una carezza e un bacio.

E quei bambini
non hanno più lacrime
non sanno più giocare
che fine faranno?

Ma cosa è successo a questo mondo?
dove si è nascosto l'amore?
Dove si trova Cristo?
Fatti vedere! Dì qualche cosa!
Cambia la testa delle persone
accendi una luce da lassù
perchè qui siamo al buio
e non possiamo andare avanti!

Ho paura


Ho paura.
Stringimi
fammi entrare
nella culla del tuo sorriso.
C’è un’onda
al sapore di latta
che attanaglia le viscere.

Ho paura.
Parlami
coprimi il capo
cantami la gioia
del vento di primavera.
C’è rumore di tacchi
calpestano fotografie
in rosse pozzanghere.

Ho paura.
guardami
baciami i capelli
raccontami il mare
le tue impronte sulle mie.
Ci sono fulmini
che spaccano il mondo
silenzio di corpi
bambini volanti.

Ho paura.
Tienimi amore
tienimi i sogni
in braccio con i tuoi
lanciamoli lontano
oltre questo buio
di sassi e di coltelli.

Il giorno dopo la nevicata

 

Il giorno dopo la nevicata
il cielo si siede paziente
avvolge i suoi rimbrotti
in un silenzio autorevole.

Nei nidi le mamme
spazzolano le ali
che coprivano i piccoli
cinguettando d’amore.

I colori appena sbocciati
si guardano attorno
increduli e timidi.

Precipita la pace
in un invaso di tuono
e vorremmo donare
questo spicchio di calma
al mondo che rugge.

2.3.22

Le mani di Kiev

 

Ci sono tante mani nella notte di Kiev.
Mani che stringono fianchi
che incoraggiano, che aiutano.
Mani che dirigono orchestre
di strumenti mai visti
che scrivono versi rubati
alla paura del buio.

Mani sudate, mani callose
mani giunte,
mani vuote di senso
mani piene di sogni.

Ci sono piccole mani
che hanno appena
imparato a giocare
e si asciugano gli occhi.

Ci sono mani che salutano
e che segnano la strada.
Mani che disegnano ombre
sui muri dell’ignoto.
Mani che si fanno brocca
mani che lanciano baci.
Mani intrecciate
a forma di cuore,
mani che scavano fosse.

Tante mani nella notte di Kiev.
Vorrebbero raccogliere stelle
e farne corone di speranza.
Ma dal cielo spargono briciole di morte
e le mani fuggono abbracciate.

Ci sono tante mani nella notte di Kiev
e fuori nel mondo
tante mani che lavano mani.