26.3.22

Recensione silloge "Come grano che biondeggia al sole" di Liliana Camarda


Se un ipotetico abitante di Marte si fermasse nella nostra Monopoli e volesse iscrivere la sua prole ad una scuola elementare, potrebbe capitare proprio nel plesso dove Liliana Camarda esercita magnificamente il suo ruolo di Dirigente. All’uscita esternerebbe ai suoi piccoli le sue impressioni: “Però, una vera professionista, colta, disponibile, aperta. Una donna tutta d’un pezzo!”
E sull’ultima impressione s’ingannerebbe. Liliana non è un monolite. Liliana è tanti pezzi brulicanti, effervescenti, roteanti in una bulimica, incontenibile spiaggia di magma. Liliana ha la febbre del vulcano mai spento sul quale ha appoggiato il macigno del “Gentle(wo)men’s agreement”, nascondendo il termometro dietro pirandelliane maschere di circostanza. È quello che fanno gli spiriti mai domi, assuefatti all’uso dell’estintore dei propri spasmi di passione, e - soprattutto - coloro che hanno incontrato eventi molto negativi nella propria esistenza, non soccombendone, anzi, elaborando il dolore e codificando una Bibbia della forza interiore. Senza mai farsi spegnere. Senza mai stravolgere se stessi. Senza cessare di amare. Chi o cosa non importa. Amare per amare.
Questa raccolta di poesie dice poche cose semplici, ma in modo sublime.
Quando, ad esempio, “Svegliarsi” è solo annullare le distanze “in un posto qualunque”.
Liliana soffre questo dualismo nel vivere una realtà asfissiante, rigida, oberata di liturgie, stilemi e rituali, contrapposta ad un pensiero costantemente in volo, selvaggio, giocoso, ferito. Se potesse “graffierebbe il cielo fino a farlo sanguinare”.
“Il cuore - infine- trabocca” è la lirica nella quale Liliana pare ancora sdoppiarsi e parlare all’altra sé che teme possa arrendersi all’apatia.
E “come novella Penelope”, ella si vede in un mood dove disfa e ritesse le sue passioni.
Ancora, in “Se potessi”, il trasporto raggiunge passaggi epici quando vorrebbe donare la sua “luce che brilla dentro” ad un insensibile destinatario e contemporaneamente gli è grata della sua semplice esistenza. Stupenda.
Cupa espressione di leopardiano pessimismo è “Muoio” che ricorda il “lentamente muore” di Martha Medeiros.
Ma a far lievitare la speranza viene in soccorso la Fede in “Come un profeta” che ha dato grande forza e coraggio nelle varie traversie che l’Autrice ha affrontato.
La rabbia fa capolino in “Guardale”, un anatema vibrante che chi di noi non ha scagliato verso un calpestatore di sogni?
Infine dopo aver citato i camei destinati ai figli (bellissima “Ti aspetterò”), mi è impossibile non terminare con i picchi toccati dalle tre liriche “É ancora caldo”, “T’amo” e “Ladri d’amore”.
Se esiste un modo possibile di descrivere quella meravigliosa tenzone che ha come teatro i nostri sensi, allacciati e lividi di passione, ebbri e succubi, sudati e spossati, Liliana lo ha raggiunto. In questi versi cade il dualismo e la poetessa scala il paradiso. Si protende e dispiega le ali nel cielo della libertà, la libertà di amare senza limiti e senza tabù.
Spazzati via tutti i gravosi infingimenti, ella si ritrova finalmente come spiga dorata a biondeggiare felice al sole della vita.
Una silloge imperdibile per chi persevera a contemplare i bei sogni nella vita di ogni giorno.

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