I miei giorni
erano un flusso diseguale,
ma senza ruvidi spigoli,
nè tracimati argini,
piatti, profumati di carta.
Li sfogliavo disattento
sotto una mansarda di stelle,
luminose solo al tatto
che si spegnevano nei volti.
Quando bussasti alla vetrina
non conoscevo ancora gli uragani,
i libri si nascosero dietro le copertine
non credendo alle proprie fantasie.
Mi stappasti come uno champagne
sbattesti il tappeto della vita,
le mie ordinate ossessioni
“ma butta via tutto!”
E facemmo cose,
rubammo mele,
suonammo citofoni,
ci urtammo sull’autoscontro,
e ballammo, ballammo tanto,
fino al giaciglio del sole.
Non mi ero accorto
che avessi la forza di tenere
la clessidra orizzontale
e noi fermi in mezzo
a dondolarci nei sogni
al ritmo di un violinista pazzo.
“È materiale emotivo”, dicesti
“È un ossimoro”, risposi.
Ma ci avrei giocato per sempre.
rubammo mele,
suonammo citofoni,
ci urtammo sull’autoscontro,
e ballammo, ballammo tanto,
fino al giaciglio del sole.
Non mi ero accorto
che avessi la forza di tenere
la clessidra orizzontale
e noi fermi in mezzo
a dondolarci nei sogni
al ritmo di un violinista pazzo.
“È materiale emotivo”, dicesti
“È un ossimoro”, risposi.
Ma ci avrei giocato per sempre.
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