31.8.21

Nuvole




Mi piace pensare
di essere dissolvenza
empatica trasparenza
ombreggiante leggerezza
e abbandonarmi al vento.

Verrei a passeggiare
nel tuo cielo sconosciuto
a piangere come pioggia
volando con le rondini
schiumoso d’azzurro.

Verrei a salutare
le tue indifferenze
a inscenare altri miraggi
costruendo su palafitte
le tue inesistenze.

Verrei a depositare
corolle di sole
cerchi d’infinito
vibrazione di sensi
ampolle di magia.

aspettando di sfarinare
in balugini di cenere.

Assenzio


Sei come assenzio
tracanno la tua nudità
incendiandomi l’anima
oblio indicibile di sogni
fantasia di labbra
mi spalmo sul tuo godere
aggrappato all’infinito.

Incontri

 

Te ne sei andata come l’estate
lasciandoci la curva gentile
dei tuoi sorrisi delicati
la tua forza insospettabile
capace di sollevare l’alba
e di carezzare le onde del mare
anche se foriere di tempesta.

Ci hai salutato come l’estate
sgattaiolando come stella cadente
così - semplicemente -
intingendo la tua penna di sole
in un tramonto innamorato,
bussando alla porta del ricordo
che non si è sottratto alla malinconia.

Ti sei allontanata come l’estate
in un ghirigoro di pastelli
una breccia fra le nuvole
dove hai danzato con sussiego
sulla punta dei piedi dell’anima
regalandoci un venticello di rose
che porteremo serbato nel cuore.

25.8.21

Il mio libro


Presso la libreria Minopolis e in tutte le più importanti piattaforme on line.

Il poeta contadino


Ogni mattina quando l’alba
si riappropria della terra
afferro i miei pensieri
d’orzo e pane duro,

mi carico sulle spalle
sementi di ricordi
e calpesto il mio presente
di roccia e salsedine
brullo di sogni mai sfangati.

Sono un poeta contadino
ho una falce per l’ortica
desideri sparpagliati
d’arrotolare col forcone
fango sotto le suole
che frena il mio delirio.

Un poeta contadino
che ara il suo pezzo di rabbia
e dispensa concime di stelle
con gli occhi imbevuti di cielo
e i chiodi nello stomaco.

In lungo e in largo
mi perdo spesso
ubriaco di zolle velenose
ma in alto mi libro leggero
grato d’ali mai domate.

Un poeta contadino
che brucia le stoppie del dolore
rastrella residui di rimorso
e attende l’inverno
con tenacia imbizzarrita.

M’insegue il corvo renitente
ride di bava sanguinante
ma io spargo vita sminuzzata
con l’arco delle braccia tese
i miei versi dinoccolati
s’acquetano fra le crepe.

Sono un poeta contadino
ascolto la voce degli alberi
traduco il canto del pettirosso
sono fatto di corteccia umida
curo le mie piaghe
con resina d’amore.

Pensieri notturni

 


La sera sul comodino
accatasto i miei pensieri
libri dalla consunta copertina
orecchie su pagine ingiallite
a declinare le pause
e mi alzo nella notte chiara
dei desideri e dei miracoli.

Viaggio fra le guglie dell’ignoto
o del noto ricamato a oro
mentre ritorno alle canzoni urlate
sotto incolpevoli finestre
le pazze corse in moto
baci scagliati e adrenalina.

E tu che ti affacciavi al tramonto
per guardare le mie scenate
e ridere di una stagione assurda
dove chiudemmo il mondo fuori
e scalammo le cime della luna.

Cento nomi ti avevo dato
ognuno un pezzo del tuo corpo
ognuno uno spicchio della tua anima
li scrivevo sull’asfalto
perché tu leggessi da lontano.

E quelle mani che correvano
sui tornanti inesplorati
negli anfratti della mente
dove regna la frenesia del mistero
e si raccoglie l’ambrosia dalle bocche.

Chissà se sia mai stato sveglio
se sia mai caduto il cielo
a tenermi la mano
se abbia mai volato
sul tuo sorriso
se abbia mai acceso
il firmamento con i tuoi occhi.

Lasciatemi rintanato nell’alba
a fissare un soffitto di stelle
lasciatemi accoccolato di sospiri
nella placenta di una favola
lasciatemi fradicio di sogni
fino all’ultimo capitolo.

Il cielo capovolto (Fuga dall'Afghanistan)


Camminiamo sulle nostre miserie
esaltando parole storpie
incapaci di tornare umani.

Abbiamo svenduto i cuori
alle aste dei trafficanti di armi
lustrati di putrescente denaro.

Ci mascheriamo di falsa mestizia
perché la coscienza vuole un cencio
umido di sangue di poco conto.

Alle spalle una discarica
di ferite inferte alla Natura
con le lame del Progresso becero.

Va in onda la nostra agonia
di perfetti occidentali
senza macchia e senza senso.

Ci crogioliamo d’inganni
di tridimensionale crudeltà
e sfila il nostro ego imbalsamato.

Qui da questa parte del mondo
vediamo il cielo capovolto.

La ballerina stanca


La danza si è fermata
sul giaciglio della memoria
a due soffi dalla meta.

Sul ponte dove sospira l’anima
rabbocco la coperta dei sogni
lì dove ci sarai sempre
raggomitolata in un tramonto
ormeggiata al mio cuore
per sempre.

Ad una sconosciuta

Hai un mistero
nascosto sotto le palpebre
che si rivela solo
a chi oltrepassa
quella barriera di verde corallo
che incanta e seduce.

Il tuo viso
scolpito di luce
assorbe atomi di candore
e parla di ricami d’oltremare
ghirlande di sogni gemmati
che conducono nel regno delle Fate.

Infinito fascino dell’inarrivabile
sciàmi come sirena
sinuosamente all’apice
dei desideri mortali

- ma come sirena - 
hai tessuto divino
e il tuo cedersi all’amore
sarà privilegio
di un Principe Stellare.

12.8.21

Recensione al romanzo "Ora più che mai" di Rosi Brescia

 

Mi sono accostato alla lettura di questo romanzo con la circospezione generata dai pochi brani ascoltati alla presentazione. Questi frammenti mi avevano dato l’impressione (fallace) di una scrittura un po’ incolore, più descrittiva che pregnante, più introspettiva che ridondante. In effetti i primi sette capitoli hanno un tono lento e ritmato. L’autrice mantiene volutamente sullo sfondo la tragedia della pandemia, che imperversava su tutti i mezzi di comunicazione rivelandoci fino alla noia tutti i particolari scientifici, e anche orribilmente spettacolari di quello che accadeva. La vicenda è incombente, sfiora i protagonisti, ma la calma bucolica della terra di Puglia smorza un po’ tutto, riduce all’essenziale, fa emergere la quotidianità del lavoro, la semplicità dei valori, il verbo della solidità dei vincoli ancestrali. Esemplare la capacità dell’Autrice in questa parte del romanzo, di interagire tra luoghi e caratteri, tra abitudini secolari e nuove necessità, tra un passato incontaminato e un presente da costruire. Il Verismo e una malinconia di stampo pavesiano sono ingredienti certamente presenti in queste pagine.
Poi la svolta.
Dall’ottavo capitolo in poi irrompe l’emozione, sfondando le porte dello status quo, scompaginando le lente scansioni della primavera pugliese e portando alla luce i sentimenti di tristezza, di rabbia, di sconforto, ma anche di atavica forza di coesione, centralità della famiglia e infine di salvifica passione. Le vite dei personaggi si torcono, si avvitano, bucano le pagine e ci sequestrano per trasportarci in cima alle escursioni dell’anima. Ho paragonato questo passaggio come ad una pista di decollo dove i primi capitoli sono serviti al pilota per conoscere, saggiare ed ambientarsi alla strumentazione di un velivolo, il quale poi si innalza nel cielo del sentimento, senza più toccar terra fino alla fine.
E resta in volo l’aereo - divenuto aliante - di Rosi, incuneandosi nei nembi della passione, nei cumuli dell’amore paterno, fra i cirri della nostalgia del vissuto, in altri luoghi e in altri tempi. E alla fine rincorre ed afferra la curva colorata di un arcobaleno di speranza.
Ora più che mai.
“Crederci” è il segreto del volo.
Nel retrocopertina si parla di “favola moderna”.
Mi piace pensare che se una favola potesse trasformarsi in realtà, avrebbe più probabilità di accadere fra i trulli della nostra splendida terra dove l’amore ci può sorprendere dietro i tronchi silenziosi degli ulivi centenari o fra le onde argentine del mare più bello del mondo.

Recensione al racconto "Tre Donne" di Annagrazia Larato

Questo racconto di Annagrazia Larato è evidentemente strutturato al femminile e un lettore maschio - attento - ha la feconda possibilità di essere illuminato da un modo di pensare e provare sensazioni che probabilmente poco conosce e, ancor meno, elabora. Le tre donne di cui si parla sono uno spaccato generazionale insieme univoco per i comuni moti dell’animo - tanto che si potrebbe parlare dello stesso soggetto femminile in età diverse - ma anche variegato in quanto sottoposto a vicende diverse che hanno in comune l’approssimarsi di un cambiamento importante nelle loro vite. L’autrice ci guida in una introspezione speculare nelle tre protagoniste, descrivendo con delicata attenzione i flussi dei loro pensieri, le sofferenze e i desideri repressi, le speranze e i timori verso un futuro impalpabile e - altro fattor comune - da affrontare in solitudine. L’unica differenza tra le tre è quella che Chiara, la ragazzina, possiede l’esuberanza dell’età che le consente di sorvolare come un aeroplano tutti i dubbi e gettarsi a capofitto nella nuova avventura che l’attende. Laura e Agnese sono anime depresse che devono ritrovare motivazioni per riprendersi la gioia di vivere (Laura) e serenità per l’ultimo tempo che le resta (Agnese). L’epilogo di questa bella e commovente storia è il comune passaggio illuminante rappresentato da un oggetto inanimato: una panchina di un parco. Una metafora di un luogo di raccoglimento, ma soprattutto di riscoperta di sè e della felicità di esserci, sempre e comunque, con la propria personalità, capace di cogliere nella vita che scorre intorno, le motivazioni per andare avanti, ciascuna con il proprio sogno nel cuore.
Un bel prodotto letterario, ambientato, e non è elemento certo trascurabile, nella nostra terra in quel di Trani, paese d’origine della scrittrice, bellamente descritto nei suoi luoghi simbolici e identitari. Lettura che consiglio vivamente.

11.8.21

Uno sfogo

Noi.
Che ci dicono sempre “pensa a te” “sei tu la prima persona da amare” “pensa a fare le cose che ti fanno stare bene”.
Questi psicologi che pretendono di sapere tutto, di aver già classificato tutto il genere umano, di avere la formula buona per tutti i casi.
E questa schiera di persone che si nutrono di internet per tutte le patologie, compresa la depressione.
Che ne sanno che un cuore malato è più grande delle sue pareti fisiche.
Che ne sanno che i ventricoli pulsano nel firmamento
che nelle arterie scorrono e tracimano fiumi di fragilità che non trovano più argini.
Che ne sanno di noi.
Che d’improvviso dovremmo diventare egoisti, opportunisti, godere dei nostri miseri successi materiali, quando la nostra natura ci urla di smetterla, di restare gentili, di donarci, di toccare altri cuori o di tenerci stretti i nostri dolori perché un tempo ci hanno dato quello che ci bastava:
“solamente amore ed unità per noi.” - cit.
Che ne sanno di queste contraddizioni che si frangono nella nostra anima, questi dubbi che confliggono, questo coraggio alimentato di benzina impura.
Che ne sanno di noi? Che rincorriamo sempre le gazzelle con in groppa i nostri sogni, che siamo navigatori solitari dell’ultimo orizzonte romantico del mondo, che siamo astronauti dell’altra dimensione, Star Trek di ogni notte stellata.
Che ne sanno di noi?
Lasciateci ululare alla luna, tirare le pietre e farle rimbalzare sulle onde, lasciateci giocare a rimpiattino con la morte, che se ci troverà sarà con il sorriso sulle labbra.

L'esploratore


Ogni mattina
con la mia sahariana
il cappellaccio di paglia
il mio arco tirato di tenacia
con le frecce intinte nel sogno
esco alla ricerca di tesori.

Non l’Arca, non il Sacro Graal,
ma cuori che barcollano in ginocchio
celati dietro pareti di sconfitte
col sorriso chiuso nel ventre
col dolore in tasca
e le dita strette sul presente.

Sono esploratore di anime
vago nei percorsi sfiduciati
fra cascate di lacrime
e canyons dove rotolano
ciottoli di speranze vilipese.

Cammino sui desideri spenti
sui vulcani estinti
sugli oceani prosciugati
mi piace raccogliere pepite
dai giacimenti dei rimpianti
e portarle alla luce dei miracoli.

Sono esploratore di perdenti
cammino sui miei sbagli
scavo trincee di poesia
attendo una nuova primavera
di rose, gabbiani e labbra unite.

Immagini


La tua prorompenza
alba di verde laguna
trionfo di curve generose
sorgi come Venere tropicale
in uno spazio tra follia e desiderio.

Sei verace come nettare di mele
sapida e afrodisiaca
appoggi la tua vellutata presenza
nel mondo fantastico delle Ninfe
il tuo sorriso spalancato di sole.

Nella feroce arida canicola
separi il senno dal delirio
disegnando costellazioni
nel firmamento della voluttà.