8 settembre 2008

C'è un punto

C’è un punto oltre il quale
non riusciamo ad arrivare.
C’è un punto oltre il quale
vorremmo guardare.
C’è un punto oltre il quale
il tempo è ieri
e restiamo aggrappati.

C’è un punto oltre il quale
un amico ci manca.
C’è un punto oltre il quale
un amore si perde.
C’è un punto oltre il quale
un viso ci rincorre
e restiamo delusi.

C’è un punto oltre il quale
abbiamo paura.
C’è un punto oltre il quale
il vento si placa.
C’è un punto oltre il quale
una voce nel nulla
e restiamo impotenti.

C’è un punto,
un confine,
un orizzonte,
uno sfocato lapillo
che ci canzona le notti
di questo arido settembre.

12 agosto 2008

Una Monopoli che scompare (*)

“Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude...”. L’”animus poetandi” è pervaso dal trasporto verso i “suoi” luoghi e non rimpiange esserci un “caro” ostacolo che cela spaccati d’infinito allo splendido paesaggio. Malinconiche lanugini di simile “pathos” colgono forse il monopolitano che volge “il guardo” verso quell’area desolata, un tempo fieramente occupata dallo stabilimento “Ceramica delle Puglie”. Allo scorrere del crepuscolo, baluginano ora le luci della ferrovia e delle case rurali, puntelli argentei disseminati nella campagna. Su questo ed altro riflettevo mentre, leopardianamente, cercavo di afferrare l’“oltre”, stranito, in quella piana sconvolta. Riflettevo non tanto sulla pochezza e sulla temporalità delle vicende umane, ma sulla velocità che ad esse il piglio cinico e nodoso della Storia può imprimervi. E mi pareva di rivedere la tenacia di mio padre che, insieme ad altri benpensanti, gioiva e soffriva dei provvisori successi e dei subitanei rallentamenti che, allora, nel pieno di quegli anni ’60 straordinari e controversi, il progetto Ceramica subiva, figlio dei miraggi e dei compromessi che hanno fatto la storia del Meridione d’Italia. Il mitico Pieropan, che talvolta faceva capolino a casa mia, era forse un omone alto e pelato (ma io avevo solo 4 o 5 anni, potrei confondere le proporzioni), e le sue visite erano sempre foriere di buone nuove: si capiva dall’umore di papà che volgeva al meglio. Una volta mi portò dal ricco settentrione le costruzioni Lego: da allora non le abbandonai più e per me divenne una specie di eroe (il suo nome riecheggiava Peter Pan). Papà in quel periodo si recava spesso a Roma e quando ci andava: “era per la Ceramica”. Un brutto giorno pensò che tutto dovesse saltare “per colpa del gas”: era annichilito. Poi tutto fu superato e la pietra, con annesse centinaia di provvide speranze, venne calata. Chissà sotto quale monticello di macerie giace ora, inerte testimone, cinta ancora di quelle speranze, prima fattesi realtà e poi rantolate fra i detriti. Se, d’incanto, avesse lingua e favella quella pietra! Epicamente rievocherebbe lacrime e dolore, fatica e sudore, giovani braccia tumide, abrase, di smalto imperlate, di fumo intrise, infine invecchiate, abbarbicate al vero senso che l’esistenza e la dignità dell’uomo reclama: il lavoro. Il lavoro mortificato, deluso, derubato, bruciato, in questi tempi bui dove l’uomo-merce è immolato sull’altare del profitto. C’è una simbiosi innegabile che lega l’opera dell’uomo alle mura dove si compie; e questo vincolo va al di là e sorpassa la relazione effimera che ci può essere tra esse e l’imprenditore, il quale ne ha facile premura per ragioni patrimoniali: la storia della Ceramica negli anni ci parla anche di questo. Le associazioni ideali trascinano il flusso dei miei pensieri verso quello che fu l’Istituto S.Giuseppe: anche lì un pugno, violento, nel petto di chi in quelle aule ha acciuffato barbagli di sapere e di chi teneva saldi nella memoria echi della propria missione educativa, ancora vaganti fra le volte scrostate. Odiavo il “solfeggio” e quella suora che mi relegava sempre dietro la lavagna con il libro aperto sulla testa! Quanta emozione per le recite delle mascherine nel commovente teatrino. Che sapore strano e diverso aveva l’uovo fritto della “refezione”. E che sballo il tirocinio, quando sgambettavano le ragazze del magistrale! La scuola è un grande mattone della nostra personalità, e nessuna ruspa riuscirà a scalfirlo. Poi un giorno, penso, verrà giù la Cementeria: l’ecomostro. Niente paura, come dice Ligabue, riusciranno alla fine a costruirne un altro un pò più in là. Non so se quella, pur auspicabile, bonifica, lascerà solidali o semplicemente indifferenti chi ci ha respirato per anni polveri e sabbia, chi ci ha perso un padre od un nonno, chi ci ha contratto l’asbestosi o la silicosi. E i nostri balconi invasi da lenzuola grondanti cenere, ma benedetta perché “dava lavoro”. Le mura, quelle mura, le “fabbriche”, sono un’altra grande parte della vita, di una vita orgogliosa, granitica, pettoruta: una vita da operaio. Migliore senza dubbio di quella da vivere oggi, nel segno della non-appartenenza, uguale nel disuguale, a caccia di identità travolte dal precariato (dal latino prex quindi ottenuto per preghiera, e di breve (???) durata). Finalmente “torneremo a riveder il mare” (ma fino a quando? Non ho dimestichezza e quindi temo le capriole impazzite del PUG e dei suoi esegeti, e le percentuali che ci quantizzano gli spazi). Ho sentito tante voci glorificare il mare: le stesse che poi nulla fanno per invertire la spiacevole tendenza a recintarlo e nasconderlo, “bunkerizzandolo”. Lentamente scompare una Monopoli orgogliosa e garbata, umile e generosa, ottimista e sapida: ricordo le sirene che squarciavano l’aria scandendo i turni lavorativi e noi, liceali goliardi, che aspettavamo al varco il “lento” di turno che, tardando a introitare un concetto, poi, all’improvviso, lo afferrava con una esclamazione - AHHAAAAA! - e subito lo canzonavamo: “Ecco che escono gli operai della Ceramica/Cementeria!” Una Monopoli nella quale si agitavano spiriti liberi, intelletti raffinati, autodidatti tenaci e spregiudicati, un paese dove i circoli letterari e politici erano da Rodolfo, da Peppino Di Bello o da Ciro Genualdo o, semplicemente, nei crocicchi al borgo. Una Monopoli che amava sé stessa, onorava la bandiera, di qualsivoglia colore, parlava un idioma comprensibile e rispettava l’avversario. E perciò ci stringe il cuore vedere quella landa rasa e brulla e ci pare udire le voci levarsi da quelle macerie che vorrebbero tornare a vivere in comunione con gli uomini, con il lavoro manuale, di chi “sapeva fare” ed ora non sa più, non c’è più. Incombe l’Ipermercato. E’ ancora la Storia che pigia, sperticata, sul pedale. La prevalenza (e talvolta la prevaricazione) del terziario. Niente più amore, passione, arte e dolore nelle cose “create” (non “prodotte”). Nulla dura più nel tempo, solo orpelli da competizione. Velocità e consumo. Precarietà e fragilità. Sul ciglio della strada, idealmente agitiamo il bianco bastone del non vedente, trattenendo il respiro: oltre il margine il vuoto ci fa soli.
(*) Pubblicato su L'Eco Del Sud-Est del 8/8/2008

3 giugno 2008

Quando ti bacio


Quando ti bacio
sbreccio l’uscio del tempo
graffio l’alveo celeste
è frusta la carne
è lava il mio sangue.

Quando ti bacio
è intrigante naufragio
è picchiata fra i venti
è folgore e tuono
è crepa nella roccia.

Quando ti bacio
è Nirvana suadente
è Caronte che giacula
non mi fermerei
fino al sole ti bacerei.

Quando ti bacio
sorridono le fate
danzano gli elfi
ho il mondo nella mano
ho la mano sul mondo.

Quando ti bacio
hai la mia vita nella mano
hai la mano sulla mia vita
sei sola nello spazio
sei unica nell’universo.

12 maggio 2008

La fine delle parole

Quando accade una tragedia scatenata apparentemente da cause naturali ciò che sconvolge non è la distanza fisica che ci separa da quelle vittime innocenti, ma la distanza spirituale: la nostra vita di occidentali imbevuti di falsa opulenza, di egoismi bipartisan, di complessi di vergognosa sazietà, scorre sempre uguale, in un universo che si è disconnesso dalla morale, in un melmoso panta rei fatto di pensiero flaccido, di pentitismi d'occasione, di barricate in torri d'avorio protette da una informazione drogata e pilotata ad arte. Se poi azzardiamo un approccio a chi fa della fede una missione di vita cercando delle risposte, anche irrazionali, ma che siano risposte, ci sentiamo presentare il "disegno imperscrutabile del divino". Non ci basta più. La fede come la politica sono ormai strumenti inservibili. Dobbiamo solo accogliere nel nostro cuore questo immenso dolore, fare in modo che tracimi, che sommerga altri cuori, altre sensibilità, coscienti che solo l'uomo può guarire sè stesso, può perforare la sua corazza di indifferenza, altrimenti sarà la fine dei tempi e delle parole.

4 maggio 2008

Qual è il problema?

La dimostrazione che il nostro è davvero un paese strano è il polverone che si sta alzando in questi giorni per la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi. In un paese normale ciò che farebbe scandalo sarebbero i disagi di coloro che le dichiarazioni dei redditi non le possono fare, di chi un lavoro, una casa, una pensione non ce l'hanno, di chi lavora tuti i giorni in condizioni di sicurezza precarie e non sa se riuscirà a tornare a casa sano e salvo, di chi sopravvive tra stenti e sopraffazioni, tra angherie e emarginazione, tra oblio e vergogna. Chi onestamente porta a casa la pagnotta non ha niente da temere e che i sequestratori si portino allegramente via tutti i falsi, i bugiardi, gli evasori e gli sfruttatori di questo mondo!

30 aprile 2008

Ballerino di legno (Carillon)

Il tempo esploso
in un buio rattrappito
la vita percettibile
defluiva nell’attesa

cercavo affabulanti
passi di speranza
in questo universo
quadrato senza stelle.

Poi hai aperto
la scatola della mia vita
schiacciata
sul senso dell’inutile,

reso plasticità
alle mie depresse forme
e slancio finalmente.

Inebriata abbacinata
di luce folgorata
la musica incalza

carica la corda
dell’anima tesa

fremono lamelle
guizzano palpitano

e infine ballo per te
piroette sinuose

il mio dono per te
finchè lo vorrai

ballo per te
finchè terrai
dischiuso il mio cielo

fino alla fine
del tempo sfilante
sui denti del tamburo

ballo, m’avvito
m’inchino e m’inarco

solo per te
vibrante, il mio ballo

ritmati ghirigori
alte le braccia
fendono l’aria:

mentre osservi
divertita sirena

aggancio il tuo sorriso
scalo le tue guance
mi tuffo nell’iride

....e non mi fermo più!

14 aprile 2008

Tramonto


Il tramonto è lo scoccare di un tempo in cui declina l'illusione di avere il potere di dominare gli eventi con la forza delle idee, con la certezza di essere nel giusto, sulla metà buona del mondo; ma l'aggressione delle tenebre insinua il dubbio che nello sforzo di tenere la barra del timone perennemente in bilico tra opportunità e coerenza, tra autoreferenzialità e sacralità della piazza, la diritta via sia stata smarrita e sfuggito il polso e il battito della realtà. Noi siamo e saremo quelli che vogliono cambiare il mondo: dobbiamo ritornare a saperlo spiegare. Dobbiamo sapere usare con dimestichezza e velocità il canocchiale dello stratega e il microscopio dell'analista, perchè le speranze del futuro non ci nascondano le povertà del presente. Siamo zero, oggi, ripartiamo, strisciamo ventre a terra, la notte sarà lunga, ma più vi ci addentreremo più sentiremo, pungente, il profumo dell'alba.

6 marzo 2008

Un'idea: Monopoli a Sinistra!

Mutuando un noto motto dei monaci benedettini “memento mori” – ricordati che devi morire – sono abituato, ormai da tempo, a ripetermi quotidianamente “ricordati che sei comunista!”. Questo perchè, galleggiare in questa palude in cui imperversano mercato ad oltranza, guerre giuste, oppressione legalizzata, razzismo strisciante, mortificazioni dell’ecosistema, accantonamento ed indifferenza verso il lavoro che uccide, è diventato difficile. Soprattutto è diventato più difficile da quando qualcuno ha cominciato a pensare che questi sono spiacevoli incidenti di percorso, ineluttabili effetti collaterali, dazi da pagare alla crescita, acme adolescenziale del neo-riformismo del terzo millennio. E’ divenuto difficile perchè ti senti un pò fuori posto su questo rutilante pianeta che ti ospita, perchè sei perennemente off-line su una chat ultra-veloce, perchè vedi le stesse facce che vent’anni fa dicevano di essere il nuovo ed oggi invece pure, perchè ti senti visitato con curiosità come al museo e ti senti deriso con perfidia come allo zoo. Perchè non vedi neanche più i quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, perchè non c’è più il bar ed il mondo sta bene così, chissenefrega. Ma poi ti accorgi che dentro di te c’è ancora la luce: è fioca e asfittica ma c’è, ed è rossa come piace a noi. E ti ritorna prepotente la speranza, perchè essere comunista oggi è come camminare sul lago di Tiberiade: se ci credi ce la fai. Perciò alitiamo ancora su questo sacro fuoco che ci scoppietta dentro. Mi piace questa speranza che si chiama Cecilia Matera. Mi piace il suo coraggio, la sua dedizione, la sua testardaggine. Mi piace la sua vicenda politica che parte dal basso e affianca i nostri compagni ed il nostro più alto riferimento: gli operai e i bisognosi. E’ perciò nello spirito di assoluta e disinteressata volontà di collaborazione che mi permetto di sintetizzare qualche riga di contributo (non risparmiando qualche critica alla corrente gestione della cosa pubblica cittadina), a quello che sicuramente è un progetto politico di largo respiro che Cecilia ha approntato per amministrare la nostra città.

LAVORO: Sul tema del lavoro credo che, anche in relazione alle ultime vicende, vada intensificata l’attività di sorveglianza, per ciò che compete, ovviamente al Comune, sul rispetto delle norme della sicurezza nei cantieri e nelle realtà produttive. A questo proposito, credo che potenziando le attività di consulenza dello Sportello delle imprese e snellendo ulteriormente la burocrazia, il Comune possa dare impulso alla progressiva messa a norma delle attività. Nel contempo andrebbe a mio parere individuato e sviluppato l’avviamento di attività socialmente utili con le quali offrire servizi ora carenti alla cittadinanza ed un reddito di sostegno a giovani in attesa di occupazione ed anziani volenterosi. Un volano importante forse trascurato a mio giudizio potrebbe essere il rilancio dell’artigianato. Agevolazioni e facilitazioni sui permessi e le licenze potrebbero anche in questo caso dare un impulso importante al settore.

PORTO: Capitolo a parte merita l’argomento della riqualificazione e valorizzazione del porto nei suoi tre aspetti: commerciale, peschereccio e turistico. Va definito una volta per tutte che cosa si vuol fare, se vale la pena puntare su tutti e tre gli obiettivi, (cosa che finora ha paralizzato tutte le scelte) o se constatato che non si ha la forza per farlo, rinunciare all’aspetto turistico per rivitalizzare quelli che per vocazione e tradizione sono stati i settori chiave del nostro porto.

AMBIENTE: Una priorità indifferibile è diventata la questione delle antenne all’Impalata. E’ uno scandalo che si sia consentita quella che definirei una “agopuntura micidiale” del dono più impareggiabile che ha fatto la natura alla città di Monopoli. E’ una vergogna che tutto ciò sia avvenuto nell’indifferenza generale di tutte le amministrazioni precedenti ed in presenza di una legge Galasso che dal 1985 considera la collina come la spiaggia del mare! Un governo della città degno di questo nome deve avere nella sua agenda lo spostamento delle antenne in altro sito senza “se” e senza “ma”. Fondamentale è a mio giudizio anche la istituzione del parco marino a Nord di Monopoli con una ispezione e divieto (con denunce per i violatori) degli scarichi chimici a mare. Necessaria anche una forte opera di sostegno alla realizzazione del parco della Lama Belvedere, rimasto colpevolmente in sospeso. Infine è da mantenere alta e costante la vigilanza sulla applicazione delle direttive regionali sugli accessi liberi alle spiagge. Su questo tema e sul turismo in particolare va detto che la sinistra deve farsi carico a mio parere della presentazione di un vero e proprio progetto alternativo di promozione e sviluppo. Va definitivamente chiarito che l’improvvisazione e l’aggressione selvaggia del litorale ai fini di uno sfruttamento incontrollato delle risorse naturali non va bene, non è civile e non è neanche utile. E’ necessario studiare un piano di sviluppo compatibile con la realtà geo-morfologica del nostro territorio che contemperi il rispetto dell’ecosistema, la valorizzazione del turismo e la libertà di accesso al mare senza nessun vincolo.

EDILIZIA: Sotto questo capitolo dovrei parlare del PUG, ma non lo faccio per un motivo: non sono tra quelli che hanno fatto del PUG un totem. Sono convinto che un moderno progetto di sviluppo edilizio corredato di normative all’avanguardia sia uno strumento utile e forse fondamentale per il futuro di una città. Ma la definizione sufficiente è: strumento. Come se ad un contadino avessero improvvisamente sostituito l’aratro con il trattore. Avrà un grande risparmio di tempo ed energia nel suo lavoro, ma è sempre la sua mano che indirizzerà le sementi, sceglierà le stagioni ed i periodi giusti per la raccolta, la potatura ecc.ecc. I problemi principali da affrontare riguardano la garanzia di assicurare un tetto a tutte le famiglie. Il mercato immobiliare in Italia e non solo, come dimostrano le vicende d’oltreoceano, è un mercato fortemente drogato che rende difficile l’acquisto o costringe a contrarre mutui onerosi e a lunghissima scadenza che tagliano considerevolmente i redditi dei lavoratori. Nella nostra città da decenni il mercato è bloccato da un oligopolio di imprese abituate a corsie preferenziali nei corridoi di Palazzo S. Francesco alle quali non si riesce ad affiancare una vera concorrenza perchè le piccole imprese edili sono strozzate dagli oneri fiscali e contributivi e non possono assumere lavori di grossa mole. Per inciso, assistiamo esterrefatti all’occupazione che sarà messa in atto sul litorale con il progetto SICIE: anche Monopoli avrà il suo ecomostro che per l’occasione potremmo denominare “Punta Laganà” ad imperitura deferenza del suo principale sponsor politico. Sento dire che il nuovo strumento urbanistico consentirà alle cooperative di incrementare e velocizzare le concessioni a loro destinate. Spero che ciò sia verosimile. Ad integrazione io credo che sarebbe possibile, porre in atto un progetto di profonda riqualificazione delle nostre stupende contrade, dotandole di servizi, illuminandole, portando acqua, gas metano e trasporti pubblici, di modo che esse possano ripopolarsi per tutti e dodici mesi l’anno, supplendo in parte alla carenza di aree abitative nel centro urbano. Quello che mi preme evidenziare però è soprattutto un’altra cosa. Nei dibattiti che ho ascoltato, negli articoli che ho letto, nelle opinioni che ho scambiato, c’è un grande assente: il sottosuolo. Possibile che nessuno abbia riflettuto che prima di progettare la Monopoli dei prossimi 30 anni, dovremmo concentrarci su quello che succede o potrebbe succedere sotto di noi? Non sarebbe il caso di fare uno studio serio ed approfondito che affronti il rischio idro-geologico del nostro territorio? Me lo chiedo da profano visti gli sconquassi che il maltempo provoca sempre più frequentemente e la tendenza nel futuro al cambiamento del clima e della piovosità.

LAVORI PUBBLICI: Insufficiente e confusionario, dal mio punto di vista, il bilancio della amministrazione in carica. Sembra che il gran desiderio di disegnare una iperbole nel suo percorso abbia distratto da esigenze primarie della cittadinanza e capovolto priorità che sono sotto gli occhi di tutti. Non si riesce a capire perchè si è dovuti arrivare alla fine della legislatura per vedere strade riasfaltate e solo nel centro città. Non si capisce perchè tutti i lavori pubblici vengano effettuati senza rispetto e attenzione per i disagi dei cittadini che sono costretti a circumnavigazioni assurde e senza indicazioni corrette. Non si capisce perchè sia imprescindibile rifare Piazza Vittorio Emanuele e perchè non costituisca urgenza un progetto di un grande parcheggio sotterraneo o ubicato in silos. Non si capisce perchè non si incentivi l’utilizzo di mezzi alternativi alle vetture per arrivare in centro come minibus elettrici e parcheggi riservati e custoditi per cicli e motocicli. Da stigmatizzare la povertà di piste ciclabili e servizi deambulativi per disabili su tutto il territorio. Su questo comparto c’è da lavorare molto ed in maniera totalmente diversa dal passato.

SPORT: Altro punto dolens. Orribile è l’aggettivo meno pesante che si può usare per definire il servilismo e la subalternità nei confronti della dirigenza della squadra di calcio. L’assessorato allo sport ha stabilito la sua sede nei locali della ditta Ladisa che ha catalizzato tutte le risorse logistiche e finanziarie di cui avesse avuto bisogno in tutte le forme occulte o palesi che fossero, mentre la città, i nostri ragazzi, i tanti praticanti le attività sportive minori e giovanili continuavano ad utilizzare impianti insufficienti, pericolosi se non inesistenti e costretti ad emigrare. Ricordiamoci che educare allo sport significa arricchire una grande parte della personalità e, personalmente credo che incentivare la pratica di attività più popolari e meno milionari come l’atletica o il rugby mediante impiantistica adeguata possa aumentare il livello generale di civiltà di un paese.

CULTURA: Un plauso va fatto al grande lavoro fatto sotto l’egida di Michele Suma. Bisogna continuare su questa linea individuando quei grandi e piccoli “contenitori” che mancano a questa città per fruire di tutte le opzioni a disposizione: penso oltre al teatro, alla musica lirica, al cinema all’aperto, e per i nostri ragazzi costretti a fare pericoloso pendolarismo notturno, anche a spazi di raccolta urbani per ballare, ascoltare musica dal vivo ecc. Un primo passo urgente credo che l’amministrazione debba fare per evitare la chiusura del Visconti e mediare possibilmente tra le parti in lite. Un progetto di riqualificazione dell’Estate Monopolitana, già in parte avviato con la Ghironda sarebbe un bel fiore all’occhiello.

BILANCIO: So che molto è stato fatto sul piano della ristrutturazione del debito, però bisogna fare molto anche su quello della ristrutturazione delle entrate e intendo il censimento dei beni comunali la cernita degli affitti, l’evasione delle tasse comunali ecc. Credo che molto ancora vada fatto sul controllo della qualità della spesa. A questo proposito vorrei che si rilanciasse l’idea del “finanziamento mirato” che sta alla base del funzionamento dei B.O.C. (Buoni Ordinari Comunali) con i quali si propone ai cittadini di investire una somma che viene remunerata a tassi “politici” più convenienti per l’Ente di quelli dei mutui, con l’impegno preciso e formalizzato di utilizzare tali depositi per il finanziamento di opere o servizi di pubblica utilità ben individuati e circostanziati. Tali risorse sarebbero una boccata salutare di ossigeno in fasi di recessione e stretta monetaria come l’attuale.

In conclusione voglio dire che al di là di quello che sarà possibile o augurabile realizzare resta fermo il proposito che dobbiamo dimostrare che la sinistra è capace di governare e di farlo bene: Nichi Vendola ha fatto da battistrada. Non abbiamo bisogno di mèntori o di cocchieri presi a prestito, siamo capaci ed orgogliosi di andare da soli. Comunque meglio soli, visto che qualcuno ha scelto di accompagnarsi a rappresentanti di confindustria e generali a quattro stellette: peccato che sia sfuggito Luciano Moggi, ma per candidare Camillo Ruini per fortuna, c’è ancora tempo. I sorrisini ed i commenti aciduli di chi ci chiama “conservatori di sinistra” ci lasciano da una parte indifferenti e dall’altra orgogliosi. Orgogliosi di avere conservato dentro di noi quella fiammella che alimenta un sogno. Un sogno che a Monopoli si chiama Cecilia Matera, una donna fra le tante, perchè noi non abbiamo bisogno di stabilire quote rosa con improbabili e faticose proporzioni da calcolare. Noi comunisti abbiamo da tempo imparato a batterci perchè la Storia risarcisca totalmente il suo debito secolare nei confronti delle donne, come nei confronti degli oppressi e degli umili ad ogni latitudine del mondo. Grazie Cecilia ed in bocca al lupo!

23 febbraio 2008

Il Campo Dei Merli


Mi sembra opportuno pubblicare una poesia scritta in occasione dei bombardamenti della NATO sulla ex Jugoslavia (marzo 1999), tornata, purtroppo, prepotentemente d'attualità. Il 28 giugno 1389 si combatte la battaglia del "Kosovo Polje" (Campo dei Merli) tra il regno dei Serbi, guidati dal principe Lazzaro Hrebeljanovič, e i turchi al comando del sultano Murad I, che muore in battaglia. I Turchi infliggono ai Serbi una dura sconfitta, che ha per conseguenza la dissoluzione del loro regno. Il cosiddetto "spirito del 1389" è centrale nella comprensione che i serbi, specie a livello popolare, hanno della questione del Kosovo anche ai giorni nostri. Questo spirito è inteso come la resistenza serba all'annientamento, secondo categorie non tanto storiche quanto mistiche. Si tratta di salvare il popolo serbo quale "popolo celeste", in forza della sua fede e della sua tragica storia di martirio. La tradizione popolare vuole che il re Lazar, prima di trovare la morte nella "Piana dei Merli", abbia avuto una visione della "Gerusalemme celeste" e, posto innanzi all'interrogativo su quale regno scegliere, il terreno o il divino, abbia scelto il regno celeste, ottenendo così insieme al suo esercito il martirio e la vittoria eterna. Questa scelta di Lazar è stata considerata dalla Chiesa ortodossa come il momento decisivo della storia serba. Questo accostamento, ovviamente, prescinde dalle responsabilità sul genocidio dei bosniaci perpetrato dal macellaio Milosevic, ma vuole solo raccontare il martirio dei civili, vittime come sempre incolpevoli delle follie della guerra. (*)



Angeli d'argento
sibilano nella notte,
nuovi soli precipitano,
lingue profane
nella terra
di Cirillo e Metodio,
bestemmiano sterminio

quaggiù nel Campo dei Merli
dove i merli non fischiano più.

Lo sguardo teso
mamma Jugovic
percorre la pianura
scialle nero sulle spalle fiere
cuore di madre martellante.

Dove sei Zoran
dalla bionda criniera?
Dove sei Zoran?
Agile puledro
sfidavi la folgore.
Dove sei,
umile e buono?
Dove sei Zoran?
Il mio dolce bambino,
il tuo capo da cullare

quaggiù nel Campo dei Merli
dove i merli non fischiano più

Dove sei Zoran?
Di sicuro
giocheremo ancora
quando il sole sguscerà
nell'estate dei Balcani
fra Antivari e Cattaro.

Aiutami Signore,
in questa notte del peccato,
diaspora delle coscienze,
nella chiesa di San Sava
imploro il tuo perdono.

Dammi Signore
gli occhi del falco
perché possa scrutare
questo orizzonte
spazzato dal vento
disciolto nel dubbio.

Dammi Signore
le ali del sogno
perché possa librarmi
senza ostacoli,
annegare nel futuro.

Libera
questo cielo sanguigno
che vomita fuoco
e morte

quaggiù nel Campo dei Merli
dove i merli non fischiano più.

Dove sei Zoran?
Di sicuro
andremo ancora
a passeggiare
fra i mercanti di Raska.

Deferenti
vedremo ancora sfilare
il nobile Marko
col suo costume di zaffiro.
Ci vanteremo ancora
nei vicoli di Pristina
delle gesta eroiche
di aiduchi ed uscocchi
al seguito di re Lazzaro.

Dove sei Zoran?
Uniti sino in fondo
non avremo paura
del Turco blasfemo,
che spezza il mondo intero
ma non piega le nostre vite

quaggiù nel Campo dei Merli
dove i merli non fischiano più.

Dove sei Zoran?
Le mani sul mio cuore
cavalchi un'altra storia:
un grido sul tuo viso
LIBERTA'!

laggiù nel Campo dei Merli
dove i merli fischiano in eterno.

(*) Pubblicata sul periodico Portanuova n. 50 giugno 1999

27 gennaio 2008

Vorrei


Vorrei cercare
tizzoni di sole
da snocciolare
e scaldarmi dentro
vorrei trovare
i tuoi grappoli sinuosi
da centellinare
e bruciarmi dentro

vorrei cercare
marosi dirompenti
da sfidare
e farmi trascinare
vorrei trovare
i tuoi coralli adamantini
carezzare da lungi
e farmi dilaniare

vorrei cercare
inesausti sciroccali
da invocare
e spazzarmi l’ombre
vorrei trovare
i tuoi fianchi anelanti
comodi anfratti
a porgermi rifugio

vorrei cercare
nettari tropicali
da mescere
e nutrirmi delirando
vorrei trovare
le tue labbra sanguigne
e schiuderne il segreto

vorrei cercare
note altisonanti
da urlare
e vincere la rabbia
vorrei trovare
la tua voce musicale
per cullare il silenzio

vorrei cercare
i perfidi rintocchi
da soffocare
e lanciarmi nell’azzurro
vorrei trovare
i tuoi laghi profondi
e perdere la strada

vorrei cercare
le complici tenebre
da ghermire
e nascondere il volto
vorrei trovare
le tue mani protese
in fondo alla prigione

vorrei cercare
una corda disperata
e legare
quel momento infinito
vorrei trovare
il tuo sguardo luminoso
che mi sciolga le catene

vorrei cercare
un cenacolo di saggi
e seguire
il ritorno in superficie
vorrei trovare
la tua canzone d’amore
che rincorra la mia vita.