5 dicembre 2012

Scuola "G. Modugno": una scelta sbagliata




Alla fine del 1983 Remigio Ferretti era un cittadino come tanti, impegnato, d'altronde, da sempre, nella cultura e nell'amore per la sua città. Il suo mestiere era girare per il paesello e guardarsi intorno: accarezzare con lo sguardo le piccole e le grandi cose, dal particolare al macrocosmo, con la lente e il cannocchiale. Se coglieva un alcunchè di sgarbato o offensivo per la sua visione di Monopoli (che indossava come un vestito sartoriale) reagiva con l'arma più sottile che la natura gli aveva elargito in dono: la penna. Mi piace quindi ricordare uno scambio epistolare con l'allora Sindaco Walter Laganà che, al di là dei toni rivelatori di un forte scontro di personalità (che però maschererà sempre un grande affetto reciproco), ci aiuta a capire che certi eventi affondano le radici in tempi lontani, e gli errori commessi ritornano con pazienza a ricordarci la loro improvvida esistenza.


LE OPERE PUBBLICHE DI LAGANÀ


Il sottoscritto, avv. prof. Remigio Ferretti, già sindaco della città di Monopoli, espone quanto appresso: è appena iniziata, nel centro abitato di Monopoli (zona Portavecchia), la costruzione di una Scuola Materna che si affaccia, ad ovest, su via Procaccia, è contigua, a nord con le Scuole elementari “G. Modugno”, mentre, ad est è vicinissima al mare.
La ubicazione del nuovo complesso è quanto mai infelice; infatti la zona scelta è battuta tutto l'anno da venti violenti ed è anche assai umida per essere a pochi metri dal mare, quindi inadatta e dannosa per la salute di bambini di così tenera età.
Nel lontano 1958 fu operata altra scelta errata, destinando la stessa zona alle erigende Scuole Elementari “G. Modugno", già citate. Allora, unica scusante poté considerarsi la scarsa sensibilità della pubblica opinione (e della classe dirigente) ai problemi dell'habitat e in particolare dell'urbanistica, ma oggi, a 25 anni di distanza, la cosa è addirittura assurda. Si cominciò allora a creare una massiccia barriera contro il mare, privando abitanti e cittadini dell'affaccio alla costa ed ora, imperterriti, senza soluzione di continuità, si prolunga tale barriera quando, fuori dell'abitato, è vietato costruire a meno di m. 300 dalla battigia!
Il posto è inidoneo anche per il traffico, già caotico, che ingorgherebbe ancora di piú l'unica strada di disimpegno, la via Procaccia; situazione tanto piú pesante, dato che il progetto non prevede il prolungamento di una delle più belle vie della città, via Europa Libera.
Per di più, il suolo in parola di proprietà degli eredi Russo ed altri, (contro cui è in corso procedura di esproprio) presenta natura carsica, geologicamente singolare, con grotte assai profonde, circostanza emersa in occasione della costruzione della ricordata Scuola elementare, che avrebbe dovuto sconsigliare un insediamento pubblico per il considerevole incremento di spese che l'opera certamente comporterà.
Va opportunamente ricordato che il vecchio Piano Regolatore (Capitanio), mentre aveva recepito il progetto di sistemazione della zona; approvato in occasione della costruzione delle Scuole elementari “G. Modugno”, che prevedeva il prolungamento di via Europa Libera, con sbocco a mare e attraversamento di un Lungomare che collegasse le Mura antiche e Cala Portavecchia con Porto Bianco e Porto Rosso, inopinatamente prevedeva anche, a sud della strada ad aprirsi, una zona residenziale a villette.
Col nuovo Piano Regolatore (Piccinato) in regime di salvaguardia, fu impedito a privati di costruire in detto suolo, anzi furono revocate le licenze già concesse, il ché non poteva significare altro che la opportuna non costruibilità del suolo Stesso.
Invece, con designazione contraddittoria certo censurabile, l'infausto Piano Piccinato prevedeva su detto terreno, il sorgere di…un'altra Scuola! Ciò che insomma non era lecito a semplici cittadini, era invece lecito alla Pubblica Ammínistrazione! Bell'esempio di logica, di coerenza e di…lungimiranza urbanistica!
Per le ragioni innanzi esposte, il sottoscritto chiede: in via principale, il trasferimento in altra zona della Scuola materna; in via subordinata, il riesame e la ristrutturazione del relativo progetto, sì da assicurare il prolungamento di via Europa Libera sino alla costa e la creazione dell'indicato Lungomare. Tale seconda soluzione è oltremodo facile e praticabile, dato che il suolo disponibile è ben mq. 7.000 e la superficie coperta solo mq. 700.
La prima soluzione è certo ottimale, dal punto di vista urbanistico, igienico-sanitario, socio-economico, geologico e panoramico, la seconda rappresenta il minimo che un paese civile e chi lo amministra deve fare, se si vuol conservare almeno l'ombra di quelle doti di intelligenza e buon senso, doti antiche e peculiari della nostra gente.

Monopoli, 16.12.1983



REMIGIO FERRETTI


In riferimento al Suo esposto, concernente l’edificio della Scuola Materna in località Portavecchia, mi premuro rimetterLe copia della relazione dell’Ufficio Tecnico Comunale in proposito, da cui può evincersi facilmente che l’eventuale accoglimento delle Sue argomentazioni ritarderebbe enormemente la realizzazione dell’opera pubblica in questione, con possibile notevole aggravio di spese e con sicuro danno della collettività locale, che vedrebbe ancora una volta frustrate le proprie legittime aspettative.

Con l’occasione Le porgo i più cordiali saluti.

Il Sindaco


WALTER LAGANA’


In riferimento alla sua risposta relativa al mio esposto, tendente ad ottenere lo spostamento della Scuola materna in costruzione in Monopoli, zona Portavecchia, o almeno, una ristrutturazione del progetto, sì da consentire lo sbocco a mare della Via Europa Libera, mi premuro precisare quanto segue: L'eventuale e comunque non eccessivo aumento di spesa e il lieve ritardo nella realizzazione dell'opera pubblica non possono in alcun modo giustificare il gravissimo scempio perpetrato ai danni di un'intera cittadinanza, che vedrebbe chiuso uno sbocco a mare di grande rilevanza urbanista, panoramica ed igienica, e distrutto uno dei pochi polmoni della costa urbana. In ciò, sig. Sindaco, consiste “la legittima e davvero frustrata aspettativa della collettività locale".
Né a tale infausta decisione fa da supporto la infelice e scarna relazione del suo Ufficio tecnico. La tipizzazione della zona secondo il P.R.G., quanto mai errata, non poteva impedire, all'atto della redazione ed approvazione del progetto, la ricerca e la scelta di una soluzione (il minor male) che almeno salvasse lo sbocco a mare di via Europa libera e il disimpegno viario della zona. Né può importare la intervenuta approvazione o l'appalto già espletato. Il rimedio è semplice, universalmente praticato: una semplice “Variante in corso d'opera”! Quindi, niente revoca del progetto (!) e dell'aggiudicazione dei lavori (!). Tanto, ovviamente almeno ai fini dell'accoglimento della “subordinata" da me prospettata. Nella tesi del suo Ufficio tecnico mi pare affiori, tra le righe, una visione preconcettualmente ostile ad ogni e qualsiasi possibilità di soluzione diversa, anche se migliorativa. Si tratta, ancora una volta di una visione feticistica e cieca del Piano Piccinato!
Nella vana speranza di un miracoloso suo ripensamento che, al di là del suo “efficientismo", colga con intelligenza e sensibilità, la vera essenza del problema che mi son premurato di sottoporle, spinto da nessun altro interesse, se non il bene della nostra Monopoli, le invio ossequi.


REMIGIO FERRETTI


Pubblicata su “Meridiano Sud” del 15/1/1984.

4 dicembre 2012

ILVA: Una proposta indecente


Quello che pesa soprattutto nel modo di fare politica in questo tempo immorale è il fiato corto, lo sguardo miope, il vezzo di volare sempre bassi e rasentare la sudditanza e l'acquiescenza. Si è smarrita la tensione verso traguardi non dettati dal mero utilitarismo edonistico, ma dalla parte alta del torace, dalla forza che muove gli astri, dal desiderio di uguaglianza e di giustizia per tutti. Il caso dell'ILVA macera solo le coscienze di chi non ha mai avuto voce, di chi sa ancora inforcare il binocolo e guardare lontano e, come gli operai con quello materiale, sopravvive al proprio sfruttamento intellettuale. Tommaso Moro nel 1516 immagina un modello di società ideale che denomina Utopia. Non avrebbe mai immaginato però che questo modello, seduto accademicamente sul futuribile, sarebbe stato sconfitto e sbeffeggiato proprio da quel tempo futuro nel quale avrebbe avuto più possibilità di avvicinare la sua realizzazione. Noi inguaribili sognatori, sosteniamo ancora la volontà di mantenere accesa la candela della speranza al di fuori dell'accampamento dove padre Balducci collocava gli esclusi e gli sconfitti. E vengo alla proposta: il gruppo RIVA ha incamerato negli anni miliardi di euro indifferente alla morte che aleggiava intorno alle sue fabbriche. Ma fermiamoci ai 3,5 miliardi che occorrono alla bonifica. La produzione si deve fermare. Anche un altro solo tarantino che si ammali, un altro bambino che nasca con problemi genetici, una sola vita che ancora venga immolata sull'altare della produzione globale è un dazio insostenibile. Allora 3 miliardi e mezzo di euro bastano per garantire uno stipendio medio di 1300 euro per più di tre anni a 50.000 dipendenti. Nel frattempo il gruppo RIVA deve essere obbligato a risanare e quanto meno tempo ci impiegherà a farlo meno reddito di solidarietà dovrà erogare. Utopia? Forse. Ma ne abbiamo tanto bisogno.

29 maggio 2012

Il gioco del calcio


1968. Un anno che di solito viene citato solo con le ultime due cifre, perché non può confondersi con nessun altro secolo. Avevo da qualche tempo iniziato a seguire il calcio. Come fanno tutti i bambini: i colori del gagliardetto, gli amichetti, le figurine, le belle giocate. Non era lo sport che praticavo ma, prima o poi ti ci trovi immerso e coinvolto. Coltivavo la mia passione da solo in casa, contro tutti, in ossequio al mio carattere ribelle, un papà interista e democristiano (che sfiga!) e mamma e fratello juventini: che brutta compagnia! Il calcio era la Radio. Quella a transistor, portatile, che stressava le pile e gracchiava le voci. Oppure il Radiogrammofono gigante, a valvole, che impiegava dieci minuti per accendersi e, dovevi calcolare bene, altrimenti ti perdevi l’inizio di “Tutto il calcio, minuto per minuto”. La Tv aveva due canali e due colori e faceva stare in linea, perchè dovevi percorrere tanti metri al giorno per commutare. La tivvù dei ragazzi e poi, all’interno del Telegiornale (quello col mappamondo), notizie di sport, ma solo quali partite si sarebbero giocate e la classifica. Niente commenti, gossip, telecamere nei bagni dello stadio e quant’altro. La Domenica era il clou. Partita in differita alle 19. Poi la Sportiva alle 21, che dribblava anche il Carosello, per noi destinati inderogabilmente al letto. Gianni Rivera il mio mito. L’abatino di Brera, quello che sembrava stesse su un parquet con la stecca da biliardo ai piedi. Quello che parlava alla palla come ad un essere vivente, indicandogli la strada giusta. Quello che nessun difensore osava toccare perché temevano di essere colpiti da una stregoneria. Quello che apriva la strada a Pierino PratiLaPeste, e il pallone di cuoio cucito a mano, non una sfera perfetta, andava dove andava, dove doveva andare. Il Milan di Nereo Rocco, il “paron”, ogni intervista a rintracciare l’Italiano smarrito, in mezzo ad un gergo misto dialetto-calcese. Era frequente per tutti snocciolare la formazione preferita a memoria come fosse San Martino di Carducci. Gli altri giocatori? Semisconosciuti, se non fosse per le figurine Panini. Iniziai a giocare una schedina del Totocalcio. Due colonne costavano 50 lire quanto un cono gelato con (poca) panna, di quelli che ti si squagliavano tra le mani e poi lo finivi leccandoti le dita. Una volta, avevo undici sulla scheda e aspettavo il risultato di Milan-Fiorentina che si doveva vedere alla TV, in differita. Il mitico Enrico Ameri (che poesia!) non diceva il risultato finale alla fine della trasmissione radiofonica per lasciare il brivido della suspence. Ovviamente avevo l’1, manco a dirlo. Il Milan vinse 2-0 e feci dodici. Vinsi 35.000 lire e le misi nel salvadanaio, quello blu della Banca dell’Agricoltura, con maniglia e chiave su cassetto a ribalta. Come Pulcinella, non ricordo più cosa ne feci. Il Gioco era gioco. Nudo e crudo, puro e azzimo, come il pane che ti nutre e non ti gonfia, zolloso e non ampolloso come il campo degli stadi del 1968, dove garretti e terreno erano tutt’uno, dove si prendeva a calci la palla e non la vita.

21 maggio 2012

Ex Italcementi: rifacciamo Villa De Martino!


Nelle tiepide serate d’agosto dopo che gli ultimi filamenti di sole rossastro avevano disegnato l’aria si preparavano i tavolini e gli scranni dell’orchestrina. Fra poco sarebbe stata musica e folla, fra poco le coppie avrebbero danzato sulle note dei più famosi “chansonnier”, fra poco l’atmosfera sarebbe stata intrisa di festa e di magia. I nostri padri, le nostre zie, gli amici di famiglia, i notabili e i borghesi più semplici, tutti avrebbero provato l’inebriante volteggiare nel verde, immersi tra palme e pineti, tra bouganville e ciclamino. Sarebbero sbocciati amori, ne sarebbero tramontati altri, si sarebbe discusso di progresso e civiltà, di ideali e di sogni di grandezza, si sarebbero gustate le tele e i colori dei pittori di Puglia. Questa era Villa De Martino negli anni ’50. Un’oasi di verde e seduzione. Poi il cemento sovrano e cieco, ebbe il sopravvento. E Villa De Martino sopravvive nei ricordi, e in un triste giardinetto soffocato sotto via Barnaba.
La Villa De Martino con annesso palazzo signorile fu realizzata da Carlo De Martino, armatore monopolitano, su suggerimento della moglie di origini torinesi, Bice Gazzo. L’area verde di oltre un ettaro, con affaccio sul porto, era impreziosita da una statua di Diana cacciatrice e offriva spazio a serate danzanti e varie manifestazioni. Dopo il trasferimento di proprietà ai Giannulo, all’inizio degli anni ’60, venne quasi completamente distrutta per fare posto ad un gruppo di fabbricati. Nel sottosuolo vi è una cripta con alcuni affreschi. Casualmente anche a Posillipo esisteva una “Villa De Martino” che, nel 1962, venne distrutta per far posto ad un palazzo di cinque piani, dando impulso anche ad una interrogazione parlamentare.
Leggo del progetto di “riqualificazione urbana” (sotto questo attributo può nascondersi di tutto), dell’area Italcementi. Leggo di cubature e volumetrie. Leggo di cemento ancora sovrano e cieco. Abbiamo un’occasione per chiedere perdono alla Storia: restituiamo Villa De Martino ai monopolitani. In quei luoghi quasi confinanti alla sua posizione originaria. Restituiamo alla città un polmone sul mare, un balcone verde sull’azzurro. Ritroviamo il gusto della convivialità sobria e civile in un contesto unico e imperdibile. Ce ne sarebbero grate le generazioni a venire.

13 marzo 2012

Ciao Lucio


Ciao Lucio
ci hai lasciato
in un soffio di primavera.

Eravamo tutti in Piazza Grande
avevamo ancora bisogno
di carezze e di sogni
di lenzuola bianche e di briganti

eravamo tutti lì
c’era Tazio, Ayrton,
l’Avvocato e Bonetti
c’erano Anna e Marco
che si tenevano per mano
c’era tua figlia Futura
e il Ballerino stanco
c’era tua mamma geniale
ti chiamò Signore
Gesù fra i pescatori.

Due ragazzi nascosti
innamorati in un rottame
per loro ci sarà sempre
una sera dei miracoli
per loro sfreccerà
il motore del 2000
invecchiato senza età
perché non è riuscito
a disegnare
il cuore del ragazzo.

Ti parleremo ancora
telefonando tra vent’anni
raccontandoti la vita
il sole
la stella di mare
le tue isole vergini
l’ultima luna
il suo parco
e l’anno che verrà.

Ciao Lucio
guarderemo ancora in alto
dove le rondini
si fermano
sul naso dei vecchi
dove leggono nel cuore
da dove arriva
questo strano dolore
e cosa sarà
che fa crescere gli alberi
e la felicità
che ti porta a cercare giustizia
dove giustizia non c’è.

Ancora più in alto
dove canta Caruso
dove ballano gli angeli
due dita sopra il cielo.