26 novembre 2019

In paese tra sogno e realtà

                                                 La città nel sec. XI con la posizione del Castello


In questo articolo pubblicato qualche settimana dopo la sua morte, Remigio Ferretti ci invita ad una passeggiata che unisce utile e dilettevole nel centro storico, mai immaginando che quest'atmosfera di pace idilliaca si sarebbe, di lì a pochi anni,  persa nel turbinio della "movida". Mie le note in calce. 

Monopoli, anni 30: il caffè Napoli, fondato nella seconda metà dell'’800 da una famiglia di pasticceri partenopei (il che spiega la bontà dei suoi famosi babà e spumoni), era sin d'allora un angolino grazioso e privilegiato, a riparo dal sole estivo e dai venti del nord. 
Inserito nel prospetto della casa comunale (un tempo convento francescano[1]) ancor oggi è nobilitato verso ovest, dalla superstite parete cinquecentesca della Chiesa, appunto dedicata al Santo d'Assisi. 
Al suo interno, a mattino inoltrato, si faceva la “politica”, la sera, al discreto riverbero degli “abat-jours” multicolori (che avevano avuto il loro momento di gloria e di splendore qualche anno prima, sullo “chalet” della pro-Monopoli), le signore imbellettate, di antico e recente censo, sfoderavano cappelli a larghe tese, sorrisi e gioielli. 
Monopoli, anni 30: è bello riandare alle notturne escursioni estive nel centro storico o, come si dice con espressione più “nostra”, nel “paese vecchio”, magari al chiarore della luna, tra “case palazzate” e antiche chiesette abbandonate, per vie strette ed afose, ora, ahimè, profanate dall'asfalto. 
Qui l'aria è immobile, come di vetro (meno che nella unica e sola “stretta del vento”, lungo il fianco di Palazzo Palmieri, l'imponente edificio settecentesco, di sapore vanvitelliano). 
Era tempo di serenate (chitarra, magari una di quelle di Garganese[2], famose nel mondo, mandolino e una voce calda e innamorata), tra persiane socchiuse e improvvisi squarci di cielo e di mare. 
Ma la passeggiata classica era quella lungo via Barbacana-via Comes, già via del Castello, che ancor oggi collega la Cattedrale, centro della vita spirituale della Comunità, con la fortezza di Carlo V, simbolo del potere civile e militare spagnolo e borbonico. 
Può dirsi, scimmiottando Marotta[3], che essa sia una specie di “Spaccamonopoli”, una lunga ferita nel ventre della città, gravido di antichi umori e suggestive sensazioni. 
La parola “Barbacana”, è certo un toponimo, ma non riguarda alcuna famiglia patrizia dei secoli passati. “Barbacana” è parola che ha facile sito nei vocabolari di lingua italiana e significa, in particolare, qualsiasi costruzione che faccia da supporto ad antiche mura o porte di città[4]
Ora la palla passa ai nostri lettori archeologi perchè precisino gli eventuali rapporti tra il nome “Barbacana”, le prime mura della Monopoli del 1000 e un antico Castello (http://altairquattro.blogspot.com/2013/04/1414-monopoli-si-ribella.html) che sorgeva nel punto più alto della città vecchia (dove ora trovasi il Palazzo Vescovile), incendiato e distrutto a furor di popolo nel XV secolo e la relativa porta chiamata, appunto “Porta Castri”[5]
Monopoli, anni 30: realtà e sogno, memoria e disinganno, l'eterna altalena dell'uomo, che dà senso doloroso e pregnante alla sua vita e al suo destino. 

“Dilectus” del 15/6/1991. 

[1] La costruzione originaria della Chiesa di S. Francesco d’Assisi ed annesso Convento avvenne nel 1275 come risulta da un documento dell’Archivio di Stato di Napoli citato dall’Olivieri (“I Vescovi di Monopoli”). La sua posizione era poco fuori le mura a nord-ovest dominante la zona delle Fontanelle-Porto Aspero. L’odierno complesso è stato edificato nel 1531 su disposizioni di Carlo V che, dopo le vicende belliche degli anni precedenti con i veneziani, aveva dato disposizione affinchè tutti i “monasteri, casini e torri” venissero riportati entro le mura, per ragioni di sicurezza. Una importante ristrutturazione avvenne nel 1740 sotto la direzione dell’architetto Michele Colangiuli di Acquaviva. Nel 1825 il primo piano del Palazzo Rendella venne adibito a sede dell’Amministrazione Comunale; dal 1841 iniziò una coabitazione con la sede del Teatro Rendella che si prolungò fino al 1885 quando fu ristrutturato il convento di S. Francesco su progetto dell.ing. Alvise Collavitti, che ospitò il nuovo Municipio. 

[2] Rinomata famiglia di artigiani di fine ‘800, Vitantonio Vito e Antonio, specializzati nella creazione di “terzine”, cioè chitarre accordate una terza minore sopra, il che vuol dire avere una tessitura più acuta e squillante che diventa complementare per esempio con un'altra chitarra in duo, o nell'ambito della musica da camera, o ancora in quello di un'orchestra, dove risalta con un suono brillante, ironico, pungente. (Paolo Pugliese). 

[3] Giuseppe Marotta (1902-1963), scrittore napoletano esponente del neo-realismo, Si trasferì a Milano nel 1925, dove si dedicò al giornalismo. E’ noto per i suoi racconti, specie d’ambiente napoletano, intessuti di umorismo, di fine osservazione dei fatti e dei caratteri, di un'abbondante ma non corriva vena sentimentale. Collaborò a diversi giornali (tra i quali il “Corriere della Sera”), compose varie sceneggiature, soggetti cinematografici e testi teatrali. “L'oro di Napoli” a cui si fa riferimento nel testo, è stato pubblicato per la prima volta nel 1947, e costituì l’ispirazione per l'omonimo film di Vittorio De Sica. Una serie di racconti, intitolati “Spaccanapoli”, è stata pubblicata sempre nel 1947 dallo scrittore Domenico Rea (1921-1995). 
[4] Il barbacane (o barbacana) è una struttura difensiva medioevale che serviva come sostegno al muro di cinta. Tale fortificazione era spesso solo un terrapieno addossato alle mura in vicinanza delle zone più vulnerabili di un castello o di una casa forte. Fr. barbacane; prov. e sp. barbacana; port. barbacào: dall'ang. Sass. BARGE-KENNING che ha identico significato e trova spiegazione nel m.a.ted. BERGEN coprire, porre al sicuro (ond'anche l'a. nord franco BERG-FRID torre di guardia) e KENNING vista da KEN scorgere, vedere (ted. KENNEN conoscere): propr. luogo difeso con vedette. Il Devic però accenna all'arab. BARBAKH chiavica, ed anche galleria che serve di bastione a una porta, a un valico, che abbinato col pers. KHANEH casa (quando, come ritiene lo stesso Devic il secondo elemento, CANE., non sia mera desinenza) avrebbe dato la voce Barbacane. Il Wedgwood finalmente propone il pers. BALA-KHANECH (onde si trae anche la voce Balcone) cioè stanza sull'alto della casa a scopo di guardia. In origine col nome di Barbacane si designarono certe piccole aperture verticali nei muri di un castello e di una fortezza per potere tirare al coperto sul nemico (Littré); indi il Parapetto o Contrafforte con le dette aperture o feritoie, che nei tempi passati si costruiva per difesa avanti alle porte o al muro principale di una fortezza: (come attesta il Du Cange): rna negli antichi scrittori di cose militari è usato ad indicare anche diverse altre opere di fortificazione. Generalmente è quel rinforzo che si fa in forma di scarpa nella parte inferiore di un muro per maggior sicurezza o per sostegno. 
[5] Anche qui la denominazione della porta, accanto al castello, richiama la presenza di avamposti militari.

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