28.4.23

8 dicembre



“Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai”.
F. De Gregori 

Come quando girato l’angolo del bar
vidi le ali dietro una schiena
disciolte bionde stelle filanti
pupille assedianti l’anima
e mi rapisti alzandoti in volo.

Come quando ci raccontammo
vite distorte su strade impervie
ventricoli bagnati di terra
e ci regalammo la chiave
dei nostri blindati forzieri.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando ti mancai
ci mancammo e ci inseguimmo
correndo sul ciglio del dolore
per le storie su foto sbiadite.

Come quando eravamo tutto
e ovunque e sottosopra
e le canzoni passavano su di noi
cicatrici marcate a fuoco.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando eri stanca
ma viva nel travaglio delle cose
ed io a perenne rimorchio
fermo nel travaglio delle cose.

Come quando trovai un biglietto
scritto con l’inchiostro del rancore
un biglietto di sola andata
verso un buco nero nel futuro
dove si perse la mia gioia.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando di sorpresa
le tue mani sui miei occhi
mi diranno sono sempre stata qui
mi troverai senza più cercarmi.

27.4.23

L’equilibrio dei poeti



L’equilibrio dei poeti
proditoriamente instabile,
inebriato di mondi:
ognuno ha il suo ginepraio
dove perdersi
tra balugini e rancori,
defenestrate ubbie,
ottenebrati amori,
profumo di silenzi,
cenere di arcobaleni.

23.4.23

Batuffoli



In tasca
batuffoli di te
piccole ghirlande
affezionate
alle mie dita
che avevano sfiorato
i tuoi spazi di seta
occhieggianti
tra le meraviglie
del tuo corpo.

20.4.23

Amore retrò



Desueto è
il mio modo d’amare.
La percezione di te
unica e sola
si fa rosa e carne.
Dissemino palpiti
al tuo voluttuoso incedere
nei miei pensieri nudi
e spalmo folli desideri
su una fetta di luna.

19.4.23

L’eterna primavera



Ti sboccio dentro
fiore dirompente
invado la terra umida
centellino i tocchi
assorbo i tepori
suggo gli umori
ti faccio vertigine
lava infuocata
nella gola smaniosa
per poi fermarci
inseminati e felici
nell’eterna primavera.

9.4.23

Pasqua 2023: Dov’è la Pace



Pace imbruttita
o imbellettata
pace sconfessata
o rea confessa
pace intubata
o in coma farmacologico
pace degli Alleati
o dei disallineati
pace fuori dal tavolo
o nelle tavolate
pace marciata
o marcita
pace esportata
e chi se ne importa
pace comprata
o svenduta
pace sul mercato
sotto prezzo, a saldo.

C’era una collina
dove c’erano tre croci
la pace sulla croce
la pace sotto la croce
risorga la Pace
nelle vene del mondo.

4.4.23

Omaggio a Francesco De Gregori 4 aprile 1951



“Scusa Francesco”

“E qualcosa rimane
tra le pagine chiare
e le pagine scure”

Scusa Francesco
ho una storia da raccontare
un varco da rintracciare
un senso da concepire.

“E Lillì Marlen,
bella più che mai sorride
e non ti dice la sua età”

Il nostro incontro
astrali rendez-vous
cosmici capricci
là dove l’uomo
spillava il nettare
dalle olive secolari,
fertili zolle macerate
spianavano un destino
ostico e brullo.

“C’era una donna
l’unica che ho avuto”

Una “signora aquilone”
appiccicata al cielo
inseguita d’azzurro
teso lo spago
scrocchi di vento
fughe indocili e ribelli
mia culla e mio tormento.

“E due zingari stavano
appoggiati alla notte
forse mano nella mano
e si tenevano negli occhi”

Sotto le guglie del Castello
recitando Shakespeare
onde impertinenti
e gabbiani giocolieri
anime abbracciate
cingevamo le pupille
e volavano baci
innervati di sale
in punta di labbra.

“E non importa
se la gente del caffè
non capirà la loro anima”

Le mani intrecciate
sotto i tavolini
un cornetto in due
due sguardi in uno
proiettati nell’iperspazio
indifferenti e sorridenti
ai commenti degli astanti.

“E tu scrivimi, scrivimi
se ti viene la voglia
e raccontami quello che fai”

Se una nota può volare
le nostre canzoni
planavano rullando
oltre lo schermo
sulle piste rutilanti
di vene sanguinanti.

“Sempre e per sempre”

Ci siamo promessi
quando il nostro nido
sublime terrazza
sulla cima del mondo
scatenava fulmini
e tempeste di lacrime.

“Ero così distratto amore mio
quando ti ho morso il cuore”

Al Capitolo
dietro le ville assolate
bocconi trafelati
solo un’ora da bruciare
solo un’ora per giocare.

“E Cesare perduto nella pioggia
sta aspettando da sei ore
il suo amore ballerina”

Ospite fisso
attendevo alla finestra
spiando il tuo viso
insinuato fra le tende
coi miei “amici cassonetti”
aulente compagnia.

Il paese è la nostra mappa
seguivamo i nostri odori
con la bussola pulsante
ed ora questi luoghi
ci sussurrano di noi
graffiano due vite
intagliando nel profondo.

“Bellamore bellamore
non mi lasciare
bellamore bellamore
non mi dimenticare”

Grazie Francesco
avevo una storia da raccontare
alcune piaghe da lenire
tanti sogni da riscaldare.

3.4.23

Quell’aprile



Quell’aprile
m’insegue
come una frotta
di cani randagi
sottratti dell’osso.

La purpurea tazza di luce
reclina uno sberleffo di sole
e aggredisce la gola
con canti di mestizia.

Svanisti in una bolla
d’insipido vaniloquio
in un corpo di ghiaccio
per l’ultimo cocktail.

Ahi! Dolce aprile
tripudio dei sognanti
principe degli effluvi
vorrei ignorare
le tue provocazioni.

Il chiodo è conficcato
nell’alveo del sorriso
mai più per me sarà
aprile dei mille fiori.

28.3.23

Non vi innamorate di un poeta



Per carità non bestemmiate se vi state innamorando di un poeta!
Anche perché dovete chiedervi se è di lui che vi state innamorando o delle sue parole?
Lui è bravo ad inventare paradisi o inferni, prende in giro continuamente la vita e la morte.
Lui sparge tocchi di luna su di un mare buio e vi illude di poterci navigare a vista.

Se vi state innamorando delle sue parole non avete capito niente, perché lui ha personalità multiple, vi ingannerà senza volerlo, metterà in mostra nuovi trucchi per restare a galla nei sogni.

Se vi state innamorando di un poeta vi spazientirete perché lui sembra assente.
In realtà lui non “sembra” ma è assente.
Anche se abitate all’ultimo piano lui se ne costruisce sopra un altro e talvolta si trasferisce lì, dove ha una pista di decollo, gioca con le rondini, fa la doccia con la pioggia e ha un cannocchiale puntato su Venere.

Se vi state innamorando di un poeta storcerete il naso alle sue palesi contraddizioni.
Ma lui è contraddetto continuamente da sè stesso perché descrive un mondo che non comprende, ci orbita intorno e ne assorbe le sofferenze, lo coccola, lo rigetta e ne viene rigettato, lui è un onda che rimbalza sui frangiflutti del tempo.

Se vi state innamorando di un poeta vi metterà a disagio.
Lui sciorinerà le sue profondità senza pudore e vi spaventerà perché nessuno ha tanto coraggio. Lui vi condurrà nelle sue stanze segrete dove il disordine regna incontrastato, dove lui stesso è il Disordine primordiale, quello della Natura prima dell’Uomo Sapiente.

Se vi state innamorando di un poeta vi farà cadere le braccia.
Lui si metterà sempre in ultima fila, insieme a quelli che si perdono per strada, con gli sconfitti, con gli umili, con gli straccioni, andrà a braccetto con i rifiutati, gli esclusi, i violentati. Lui preferirà la solitudine al successo e interpreterà sempre il suo lavoro come dono e riconoscenza e non come ambizione.

Se, nonostante tutte queste controindicazioni, la vostra cocciutaggine vi farà persistere nell’insano proposito di innamorarvi di un poeta, allora vi accadrà un piccolo miracolo.
Lui vi amerà in modi che non avreste mai immaginato potessero esistere.
Lui vi tirerà fuori le follie più sconsiderate che nascondevate.
Vi porterà nei luoghi più fantastici dell’Universo, ma sarete voi alla guida e lui solo il Navigatore.
Lui dipingerà il vostro ritratto sulle pareti del cielo perché resti eterno.
Insieme fermerete il tempo in una sfera e ci giocherete a pallone.
E poi riderete e piangerete, riderete e piangerete tanto, fino all’ultimo dei giorni e anche dopo, perché danzerete tra le dimensioni, sarete materia ed antimateria e tornerete, tornerete ancora e ancora…

Se siete proprio certi di innamorarvi di un poeta - attenti - rischiate di essere felici.
Siete pronti?

Dove vanno a finire le lacrime



Un dubbio mi assale
su quale sia il luogo
ove si raccolgano le lacrime.
Forse scoiattoli o delfini,
o anche denigrate lucertole
hanno uno scopo precipuo:
corrieri premurosi
le conservano
in contenitori di nuvole
con tappi di rugiada.

Ciascuno ha un’etichetta:
“Guerra”, “Malattia”,
“Dittatura”, “Povertà”.
Una liquida torre
di torciture.
Alla base però
regge tutto
un barattolo di tramonti
con la scritta “Amori dispersi.”

Basterebbe un soffio di bimbi,
la spinta di una colomba,
un sisma di tenerezza
ad evaporare il dolore.

21.3.23

La pianista ed il pittore



La Musica per Lei era la Porta.

Quando i suoi polpastrelli calavano come farfalle su quel prato bianco e nero lei aveva accesso ad un paesaggio astratto mai narrato in nessun sogno dove piacere e dolore erano sbuffi di nuvole che poteva soffiar via o aspirare e immergersi. Lei pigiava sui tasti senza l’enfasi della memoria, senza la concentrazione dell’impegno. Le dita prendevano vita a sè, promanazioni di un corpo astrale. Solo quando suonava per Lui si riallacciava al mondo con un cordone pulsante. Il suo pezzo dedicato era Sogno d’Amore di Liszt. Lei sentiva il respiro di Lui crescere su ogni nota, sentiva il suo battito colmare le chiuse, scalare gli apici, sprofondare negli abissi. Lei era il suo dono costante, appagante, esplodente.

Dipingere per Lui era il tocco Divino.

Il suo era un pianeta ovattato sul quale ogni sussurro poteva essere fragore ma aveva un colore, una prospettiva, un collocarsi nel disordine cromatico, confine del suo universo. La Natura era il giaciglio in cui si accomodava per dare una voce al silenzio, un senso al rincorrersi delle stagioni, al ciclo della vita. Tutto cambiava quando ritraeva Lei, il suo Amore e la sua Musa. I pennelli danzavano sulla tavolozza come in un rito tribale. La sua mano tracciava costellazioni in un peregrinare folle sulla tela, dove il viso di Lei diveniva icona di luce e bellezza infinita. Cori angelici celebravano questi sfiori a volte teneri e delicati, a volte vibranti e profondi. Lei era la voce di una divinità carnale a cui aveva inventato le fattezze dell’eternità.

Lei era non vedente e lui non udente, ma le loro anime non avevano bisogno di nulla per toccarsi ed amarsi.

18.3.23

Versi appallottolati



I versi appallottolati
non sono scarti
è vibratile cellulosa
dolorosa amputazione
di pensieri scomposti.

Accartocci il tuo profondo
che vuole restar tale:
se provi a trascinarlo
ne esci scorticato
roso, masticato.

La scala per la luce
ha gradini d’argento
e un bastone con le ali:
solo tu sei il muratore
zoppo di poesia.

7.3.23

All’incontrario



Mi ritrovai
sulla riva di un mare capovolto
i delfini a decollare
i gabbiani a stile libero
ed io a cercare la mia gioia
persa tra foreste di coralli.

In questo universo inverso
ebbi un’ispirazione
che mi piovve sui piedi
coperti di nuvole.

Io, specializzato in barzellette,
scrissi qualcosa di poetico
per una sirena che rideva di me
scomparendo nel futuro.

Una bottiglia
accolse il messaggio
insieme al mio fantasma,
shekerai il tutto e lo scagliai
in un cielo agitato.

Non so cosa accadrà
a chi leggerà quel messaggio:
forse mi raggiungerà
volando a ritroso
per ripetere con me
la vita all’incontrario.

4.3.23

Il tratturo



Lasciare la strada maestra per addentrarsi su percorsi poco battuti, dove non si percepisca un facile epilogo, è prerogativa degli spiriti curiosi, che colgono gli eventi come opportunità di arricchimento interiore, qualunque sia l’esito finale. In campagna si aprono ai nostri sensi delle striature sul corpo della terra che chiamano alla scoperta con cenni silenziosi, come si deve al rispetto verso la natura circostante. Per qualche secondo sostiamo, attendendo il dialogo spontaneo tra cuore e cervello, ragione e poesia - dove in noi non c’è contesa - e poi governiamo il passo, lento, nel corridoio misterioso. Le suole scricchiolano, proiettano zollette, rilasciando le pregresse molecole di freddo bitume, adeguandosi all’immersione nella vivente umidità. Ci accarezza l’idea di avanzare scalzi per interagire ad armi pari con la verginità del suolo. Il tratturo ha la stessa radice del verbo “trarre” cioè assorbire la bellezza, la pace, ma anche la memoria e la malinconia di un tempo violentato, derubricato, sconnesso. Assaporiamo l’incanto di giocarci attimi di vita da deglutire ai margini, sui cigli, sotto le pietre secolari, defilati agli eventi che torcono le viscere, eventi che sono rimasti indietro, mescolati all’asfalto, postati nelle reti iperveloci. Camminiamo e non sappiamo se abbiamo voglia di ritornare. Vorremmo passare parola ai nostri affetti più cari perché possano avviarsi con noi o senza di noi, ogni tanto, nei tratturi che la strada ci presenta, per andare avanti e contemporaneamente tornare indietro, fra le cose grezze, antiche, immobili, dove ritroviamo pezzi di noi stessi che abbiamo dimenticato.

25.2.23

Mi manchi poesia



Mi manchi, poesia.
Sintagma essenziale
di un illogico costrutto
compagna ed amante
fucina e voragine
riportami con te
a farfugliare sogni.

17.2.23

L’ordine dei sogni



Mi piace l’ordine.
Prima di alzarmi
ripongo i sogni
in ordine di fattibilità.
Prima il caffè
e l’orizzonte
che m’investe
alla finestra.
Non ricordo il resto
tranne che
pace e socialismo
mi scappano
sempre di mano
e rotolano in fondo.

E poi ci sei tu
inclassificabile
che mi tieni
per le tempie,
i baffi di caffè,
la tua danza
sulla soglia
il pigiama in terra
e il gioco del sole
sulla tua schiena.

12.2.23

La virgola



È freddo
il mio periodare,
l’accumulo di righe,
sovrapporsi e confondersi
di PensieriAzioni,
ma il muro di una virgola
erge il Tuo
pensiero invalicabile,
un vento contrario
che sbatte sul petto
disordina e dislessica,
si trasforma in punto
per fermarmi ad amarti.

7.2.23

Turchia



Si siede il silenzio.
Prende possesso.
Regna.
Occupa lo spazio
dove concitava la vita
dove abitavano altalene.

La terra si riprende
usurpate velleità,
cristalli di cielo sfarinato.

Imperterriti
con lame di cemento
e stolida vaniloquenza
infieriamo sul corpo
di una madre spossata.

6.2.23

Opere necessarie



Prometto
di limare i miei chiodi,
arrotondare i complessi,
levigare le fisse,
oliare le ruggini,
e - soprattutto -
scartavetrare il passato.

Scusa amore
la mia faccia sporca,
ma ora sono pronto
ad abitarti dentro.

Spifferi



La subdola capacità del vento
d’insinuarsi nelle fessure,
crepitando e gemendo,
come lupi gaudenti
alla luna cadente.

Interstizi dell’anima
corridoi come serpenti,
renitenti grumi
s’aggrappano agli angoli.

Trattengo per me
uno spazio angusto
dove tu, seduta
su di una sponda di neve,
hai un fiocco di sorrisi
sparsi in un tempo vuoto.

28.1.23

Rondine sbandata



Chi sei tu?
Non mi fido.
Hai occhi di noce
come quelli che m’ingannarono.
Leggi le mie poesie,
ma non gli spazi,
non le pause e le cancellature.

Lo sai?
Io sono nascosto lì
sdraiato tra parentesi,
curvo sotto il tondo
degli interrogativi.
E gli esclamativi - ahia! -
quelli sono perduti,
come gli amori e le rivoluzioni.

Non mi fido.
Sai tenere un aquilone?
Sai fare una barchetta
e spingerla nel mare del tempo?

Io lo so fare
e allora seguimi,
lancia la mia paura
al di là del perimetro
che circonda il falso,
volami dentro
rondine sbandata
medicherò la tua anima
con garze di sogno.

I passi del silenzio



Il silenzio
ha un suo scandire:
la resa esanime
del tuo vestito
appallottolato;
il tuo richiamo laccato
imbevuto di rosso;
la capricciosa fragranza
delle tue anche chiare;
e infine il prodigio
che ci sfianca
e c’invola.

27.1.23

L’assedio alla memoria



Oggi indossiamo
stivali di consapevolezza
protetti da schizzi
di fango mascherato.

Marciamo con i vessilli
di anime gigantesche
mentre sui troni
imperversano pagliacci
travestiti da statisti.

Perennemente concentrati
in campi di sterminio
di verità e giustizia
in una mano una bandiera
nell’altra una tagliola.

E le guerre scorrono lente
con i sempiterni sconfitti
carne da macello
dei padroni del mondo.

22.1.23

Quello che ci raccontammo



Nelle ampolle dei miei ricordi 
chiaroscuri s’intrecciano
discorsi rannicchiati nel buio
chiusi a chiave
buttati sotto il letto.

Quello che ci raccontammo
era una luna piena
incollata a muri stonacati
fra sedili e sudori
e vetri infranti di follia.

Noi eravamo ciò
che non volevano fossimo:
ribelli, curiosi,
con le nuvole stese fra le teste
guardando i nostri corpi
camminare senza meta.

I tuoi pennelli di libertà
le mie poesie di rabbia
i tuoi discorsi sulle pietre
madri stremate sorridenti
tu ustionata di rimproveri
l’ultima è sempre la peggiore.

Quello che ci raccontammo
io, un pò Gulliver un pò Sandokan
fra trenini e pirati
volevo fare il manovale
e conquistare Marianna
la mia Perla fra i sassi.

Tu, pecora nera
parlavi alle allodole
a cavalcioni di un parete
un pò maschio un pò falena
fuori posto in tutti i posti.

Quello che ci raccontammo
ci semplificò in frazioni
minimi comuni denominatori
numeri primi in sequenza
assolati, contigui, incastrati.

Noi lacrime morte negli occhi
amammo i nostri peccati
ci penetrammo le anime
senza ritegno con dovizia
monadi in fusione criptica.

Quello che ci raccontammo
scavava ruggine dai petti
concimava deserti
raggelava prigioni
ci lasciava nudi
con le spade fra le vertebre.

Quello che ci raccontammo
sarà terra o cenere
sarà materia oscura
non verrà mai più raccontato
crogiolerà per sempre
nelle nostre gole ardenti.

21.1.23

Feste virtuali



Se non si sta attenti
si potrebbe inciampare
in abbracci,
profughi fuoriusciti
da assembramenti virtuali,
circonferenze di vuoto.

Cosa festeggiamo oggi?
Illusioni da tastiera
candeggina dell’anima
sazietà
in vibrazioni di ciglia.

Un tempo scendevamo
su stradine acciottolate
attraversando il paesello
braccia conserte sui sorrisi
in serbo doni di pezza
molliche di gentilezza.

Erano abbracci di sole
posati su spalle esauste
che ci avevano costruito
parapetti di bontà
dove appoggiare la vita.

Sognarsi



Sognarsi
gomitoli intrecciati
puri e sconci
evasi dalla notte
argilla grezza
amalgamati
debordanti.

E poi svegliarsi
con le unghie
impolverate di stelle.

16.1.23

Fuori posto



Oggi ti ho lavata
stesa
asciugata
stirata
piegata
e ti ho rinchiusa nel cassetto.

Ma poi sono venuto a riprenderti.
Non era il tuo posto.
Ora sei seduta con me.
Mi indichi un punto sul petto.
Si, è lì che vuoi stare.
Sei la mia solitudine.

Il caffè amaro



Ogni mattina
nel gorgoglio del caffè
s’agitano increspature
che rigano la stanza.

Sei tu che vibri
sulla sponda dello Stige
e mi strappi inclemente
dal provvido aggrappo
a cui s’affida il giorno.

Un poeta che corre



La corsa
inanella percorsi
a guida entropica
suggella traguardi
a enfasi aulica

il poeta dentro di me
si fa strumento
eco didascalica
i miei passi densi
bosco di sensi
amori sparsi.

Fatti sognare



Fatti sognare forte
talmente forte
da rimboccarti di baci
e tenerti negli occhi
finché la notte
ormai nuda
farà l’amore con l’alba.

Rifornimento



Chiedo il permesso
di fissarti in silenzio
rifornirmi di te
tracimarmi dentro
per la tua assenza
la mia riserva d’amore.

10.1.23

Solstizio



Il sole sta scalando
gradini di luce
sulla scala tribale
di stagioni fuorviate.

Lascio che corra:
nel mio arco di cielo
lo zenith del tuo viso
scompiglia il moto degli astri.

7.1.23

Poesia a matita



Ti scriverò
una poesia a matita
un pò pazzerella, un pò spuntata
con parole sbucciate,
saltando le righe,
andandomi a scontrare
con le barre dei margini,
capovolto e in diagonale,
al rovescio e di sghimbescio.

Forse non capirai nulla
ma sull’ultima riga
(ricordi quella macchiolina
di cacao sfuggito
alle tue labbra?)
ci sarà in maiuscolo:

AFFILAMI IL CUORE

3.1.23

Genesi poetica



La poesia per me
è quella fastidiosa gravità
che tira giù una lacrima
aggrappata allo zigomo

il brivido che gratta
i basolati sconnessi
di vicoli poco battuti
sulla schiena dell’anima

il ticchettio dell’orologio
sulla mensola impolverata
dove s’àncorano i ricordi
in chiassose adunate

la foto in bianco e nero
spiegazzata sulla ferita
ancora aperta
ancora maledettamente aperta

questo cuore ergastolano
nelle conturbanti galere
dove strombazziamo
vite smerigliate
e turbamenti rococò.

31.12.22

Andare a capo



Vorrei mi portassi 
in quel punto preciso
dove mi sono accorto di vivere.

Prima ero in un capitolo
di un libro di favole.

Mi piacerebbe
andare a capo con te.

La faccia nascosta



La luna 
come una donna speciale
mostra solo una parte.

L’arte seduttiva
del vedo/non vedo
ci condanna
ad una bellezza parziale
e il nostro sguardo
vorrebbe gingillarla
svelarla, percorrerla.

Ma lei non è per tutti.
Quando deciderà di girarsi
sarà per chi
ha letto le sue profondità
e può resisterne il contatto.

La panchina e la luna



Mi manca
quella panchina di versi
dove eravamo seduti
io te e la luna.

Una sera
te la sei messa sottobraccio
“Non è per te” - hai detto.

I miei passi nella notte
e la tua voce
con la luna a bocca aperta.

30.12.22

Il Re del pallone


Negli anni 60 quando il calcio era Ameri, Ciotti, Enzo Tortora e nulla più, per noi ragazzini figli di Carosello, sentire parlare di Pelè era come sfogliare i nostri giornalini preferiti. Nembo Kid o Diabolik, Lanterna Verde o Flash, il funambolo carioca era assimilato ad un supereroe. Forse non esisteva davvero, oppure esisteva certamente come gli altri protagonisti dei fumetti che, prima o poi speravamo di veder compiere le loro imprese sotto casa. Dovemmo aspettare il 1970 per constatare che quel giocatore straordinario era di carne e ossa non una creatura di fantasia. In Messico c’erano i Mondiali e l’Italia partecipava, in veste un pò dimessa, come è accaduto spesso, salvo poi scompaginare i pronostici. Fu una cavalcata straordinaria, come sappiamo. Fino all’ultimo atto dove incontrammo il fumetto. Si perché in quella finale capimmo che, sarà stato pure umano, ma di sicuro aveva i superpoteri. E Pelè divenne il mito che conoscevamo anche con tutti i suoi nomi: Edson Arantes Do Nascimento. E in campo scendevano tutti e quattro: troppo forte. Fu naturale per noi, ragazzini con il pallone dappertutto, eleggerlo ad esempio da imitare. Noi con le ginocchia perennemente sbucciate, con le scarpe aperte a coccodrillo, noi laceri, coi maglioni sudati e i giubbotti a fare da palo. Noi in cerca di terreni e piazze da calpestare correndo dietro a quel SuperTele, SuperSantos (la sua squadra) o i più fortunati, lo Yashin. Noi che ci facevamo anche la radiocronaca e chi dribblava tutti era sempre lui: Pelè. Noi presenti in un tempo lindo e genuino dove non ci fregava nulla di quanto guadagnasse un calciatore. Noi che pensavamo in grande. Noi che da grandi volevamo essere fumetti.

Come Pelè.

25.12.22

Natale 2022


Amare non è solo
una cassetta della posta
con un nome e un indirizzo.
Non è solo lo sfrigolio
di affamate endorfine,
il logorio quotidiano
tra meccaniche celesti
e sublimi banalità.

Amare è ascolto,
respiro, visione,
profondità.

Amare è prescindere,
sollevarsi da sè,
lasciare in stand by
la propria aura
per esplorare i contorni.

Si scoprirà che
la tua presunta opacità
è splendore
nel buio del mondo,
sofferente e solo.

Sei ricco
a tua drammatica insaputa.

Tanto ricco
da poter spendere
immense fortune
nel rivolgere
sguardo e condivisione
a chi vive ai margini
di un Natale bombardato.



24.12.22

Cuore sbagliato

 


Chissà come batte
un cuore sordo,
barricato, pantofolaio
che procede bolso
raspando grumi d’avidità.

Chissà come pulsa
un cuore sotterraneo
tra cavità d’ego morbose
calcificazioni viscerali
e smodate indifferenze.

Ma di che si nutre
un cuore pedestre
tra banchetti di noia
meeting e summit
briefing e conference.

A volte vorrei trapiantarmi
un cuore ignaro a sè
per riposare il mio
evaso dal sistema
nudo alle intemperie
carico residuale.


Ho imparato a disegnare il cielo


Da bambino guardavo il cielo
e il cielo guardava me
ma non lo sapevo disegnare.

Irrisolti restavano
quei sentieri
che cadevano nel buio.

Che confusione
quei fiammiferi negli occhi
quando a bocca aperta
sui sedili anteriori della notte
appannavo i vetri di dubbi.

Ho poi dimenticato
per troppo tempo
il colore e la voce delle stelle
e mio padre mi chiamava
cercandomi invano
fra divani e sconfitte.

Ma poi un giorno
mi regalò un giocattolo
potente come un cannocchiale
che spalancò le volte
e finalmente
tracciai le linee giuste
a formare la mia costellazione.

Ero risolto ma non durò molto:
mi cadde quella lente prodigiosa.

Ora so disegnare il cielo
anche se non lo vedo
perché ogni giorno
ne invento uno nuovo.

La notte delle falene


L’amore si fa carne e sale
unghie torride di vento
brace di sudori
pane e culla primordiali
solo e soltanto
quando le anime
si cantano poesie
nell’eterna notte delle falene.

Il cappotto


Un uomo cammina col suo cappotto.
Un uomo e il suo cappotto camminano.
Un uomo è il suo cappotto.
Un uomo è solo col suo cappotto.
Il cappotto e l’uomo sono soli
e camminano tenendosi addosso
fino alla morte della strada.

12.12.22

L’adagio della sera


Nel desistere dei cobalti
la notte si farà luna
ed io sarò in te
con il murmure
del fiume che si fa mare.

Frammenti statuari


Raccoglierò ogni tuo pezzo
per scolpirti di sogno
ti farò statua
anima frantumata
di carne furente
il mio nulla e il tuo niente
qualcosa più di tutto
essenza di stelle.

Alzare il capo


Il tuo sguardo reclinato
ha mani a coppa
per raccogliere amore
ma celi il tuo profilo
dietro angoli senzienti:
non brillerai mai più
nei cieli di chi guarda in basso.

Anima invischiata


Anima invischiata,
impaludata, inaridita
sarò il vento salvifico
insinuantesi scrupoloso
carezzevole e prodigo
tra fessure anelanti
tra parole prigioniere
stura di catarsi.

Socchiudi le ante
impolverate di gelo
al mio bussare:
porterò con me il sole
usciremo insieme
a rotolarci nel mattino.

Abbandono


Riposa.
Rughe di legno offeso
stimmate di un amplesso
di venti e acque ingrati.

Ferma e solenne
con la traccia
di un polso millenario
cascante dai bordi
labbra riconoscenti
del tuo ultimo amante.

Dicembre


Resta blindato nella vertigine
dei vascelli naufragati,
tempesta della memoria,
canti stonati,
lettere vergate di mestizia,
barcollanti vuoti di senso,
stragi di speranze,
assenze,
piaghe,
argini di silenzio,
bimbi in braccio al mare,
e qualcosa di tenero
che mi urla dentro
e mi dice di uscire
e respirare sorrisi.

Rinascite


Un giorno ti sei alzata
per scrollarti di dosso
parole acuminate
che rigavano la schiena
ecchimosi non suturabili
respiri di muffa
fuliggine di dolore.

Fragile manichino
ti sei afferrata nei gorghi
a una roccia aguzza
nel crudo fiume
del cimitero delle ali
obitorio dei sogni.

Poi la brezza sulle mani
ha disegnato vita
su carta e corde
era la te raggomitolata
gonfia d’amore e sole
onda felice di schiuma.

Ora non cerchi più appigli
vai dolce sirena
vai a ridestare sensi
a tinteggiare crepuscoli
lasciami guardarti incantato
pendere dalle tue labbra di sogno.