22.6.23

Balzo di poesia



Ti vidi stanca
su una panca di silenzi
alzavi le braccia
pensai volessi aiuto
ma mi sbagliavo:
cercavi la tua arpa
lei era già
su uno spartito di cielo
la raggiungesti
in un balzo di poesia.

16.6.23

Se deciderai d’essere fiume



Se deciderai
d’essere fiume
io sarò levigato
tappeto di ciottoli
ti carezzerò al passaggio
porterai con te
bisbìgli dorati
bianca crema d’altura
cinguettii d’ali
pian piano
gonfiando le tue gote
di schiuma impaziente
pronta a darti senza limiti
al mare che attende grondante
nel suo nudo letto di onde.

12.6.23

Non ho la patente



Mi si è contestato
di non avere la patente,
l’abilitazione, l’idoneità
per la carreggiata planetaria
dove circolano beatamente
terre emerse e sommerse,
civiltà vere o presunte,
dei macabri, santi inventati,
navigatori prezzolati,
invasori ed invasati,
scribacchìni e leccaculi.

Serve quella di tipo Z(ero)
io mi sono fermato
a quella di tipo U(manità).

Sbando con dissenso,
sgommo con diniego,
inverto più volte a U,
non ho traffico,
prediligo mete
in posti inesistenti.

Il navigatore dominante
mi vuol condurre
sullo svincolo unico
e io peggio: l’ho spento.

Scarrozzo le curve pericolose
i tornanti dove l’anima si storce,
i pendii dove ruzzola, geme,
prende rincorsa e s’invola.

Alla perenne ricerca
della mappa perfetta
dove si svuoti l’enfasi
dei benefici del mercato,
s’incrocino arcobaleni,
e l’uomo faccia il pieno
all’area di servizio
della Bellezza.

9.6.23

Abito nel tuo dolore



Ti amo da quando
abitai nel tuo dolore
come una grande casa.

Visitai le stanze
impregnando i vestiti
di muffa e cenere
il pianto nello stomaco
ti amai nel freddo.

Completai me stesso
di quei pezzi tranciati
messi fuori posto
incollati a caso
ti amai nel fondo.

Mi trascinai sul tetto
lo riconobbi dal sole
in braccio il tuo zero
che mancava all’infinito
ti amai nel risveglio.

7.6.23

Libro aperto



Per te
sarò libro aperto
leggimi, rileggimi,
sottolineami, recitami
sfogliami e annusami
portami con te
al mare, nei sogni
gioca con le mie pagine
riponimi nel disordine delle idee
tienimi tra il seno e il cuscino
quando la notte si fa tenera
e diventa corpo di baci.

4.6.23

Il pozzo della poesia



Ci sono giorni
che tracimano di nonsenso
e ti chiedi
dove ha trovato nascondiglio
l’equilibrio del passo
giorni di crepe e domande
dove è facile
la distorsione dell’arto
la dispersione del senso.

Ci sono giorni
che affondi e annaspi
e ti chiedi
cosa ti tiene su?
se la sfortuna
di essere fortunato
e terzo incomodo
di una contesa
banalizzante
tra il male seduto tra noi
e tutto - quel che poco -
resta fuori.

Ci sono giorni
che vanno a piedi
scalzi e rotti
con le ali stanche
e non hai più parole
da tirar su
dal pozzo della poesia.

31.5.23

Solchi



L’alba è più dolce
se i raggi
di un sole delicato
tracciano solchi
di desiderio
e mi chiamano
a percorrerli
fino al parossire…

Il tuo corpo



Il tuo corpo è oceano 
io barchino curioso
galleggio sui misteri
assaggiando d’ogni ansa
sabbie dorate e candidi ciottoli
ribolli così
forgiando la tempesta
che mi scaglierà nel sole.

Oscurità



Bruma di sensi
grezzi sciacquii d’albe
tu ombra mordace
plumbea e torrida
tormento di cera
nebbia nella gola
come vorrei
salire al tuo seno
e scorticare la luce.

30.5.23

La stagione dei tramonti



È arrivata la stagione dei tramonti
amore mio
quella in cui
anche il tempo fa silenzio
e annoda la cravatta al sole

quella in cui
i tuoi occhi - amore mio -
sono pezzi di cielo
che precipitano su di me.

È la stagione delle poesie
che vengono a trovarci
mentre il bacio delle stelle
promette che niente finirà
anche se sembrerà finito.

È il tempo della tenerezza
delle lucciole innamorate
del valzer dei pettirossi
che si tengono per l’ala.

È la narrazione del mare
parole come onde
che ci sfiorano lente
e conchiglie che ridono
ai nostri baci rubati.

È arrivata la stagione dei tramonti
amore mio
quello strano impasto
di sogno e malinconia
di sussurri del vento
che pettina gli sguardi.

È la canzone del miraggio
che s’alza da terre lontane
sulla schiena di cerbiatti felici
che saltano sui raggi morenti.

È il viaggio dei sognatori
migranti dell’indomani
fanciulli per sempre
astronauti dall’altalena.

È arrivata la stagione dei tramonti
amore mio
il sole si fa calice
perché io possa brindare
al tuo eterno ritornare.

26.5.23

Mi avevi risolto



Mi avevi risolto
con formule sfrontate
chiavi illogiche
percorsi immaginifici
sul mio corpo
e incisioni tatuate
sull’anima.

Mi avevi risolto:
ora ho perduto i fogli
accartocciati
tra le cose inutili
che mi salvarono la vita.

18.5.23

Notte candida



Ha un che di pulito la notte.
Rastrella le gomitate del giorno,
tampona le falle,
ùbica gli smarrimenti.

Mi passa un cencio sul viso la notte,
cala la febbre
di una perduta felicità.


15.5.23

Caviglie



Le tue caviglie
vertiginosi ponti
tra misteriose penisole
ed eburnee libagioni
in attesa delle mie labbra.

La rincorsa



Non fuggo più il dolore.
Anzi lo rincorro.

Ha con sè una sporta di parole
alfabeti inarticolati
sogni penzolanti
dalle tasche sdrucite
di un poeta malandato.

30.4.23

La Donna Cannone e L’Uomo Razzo

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo non avevano un appuntamento.
Entrambi sparati nel firmamento,
nuotavano nel Vento Solare
ignari della loro sorte.

La Donna Cannone fu scelta come proiettile
per sua inutilità come modella,
ingombrante per i media,
consumava troppo photoshop
e aveva annoiato i bulli.

L’Uomo Razzo fu sorteggiato
in una Cerchia di folli
mai adattati
a nessun ciclo produttivo
ed era dotato
di propellente autonomo:
“poesia” era il suo strano appellativo.

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo
non si erano mai visti,
ma si conoscevano da sempre,
senza saperlo.
Fu inconsueto
per gli androidi stupiti sulla Terra
vederli volare abbracciati.

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo
cavalcavano le comete,
accarezzavano gli Astronauti
che si perdevano nei dubbi,
coprivano il Sole
con la loro Eclissi d’Amore
e riscrivevano la Storia del mondo
con le loro penne colorate di stelle.


Ispirata da:
“La Donna Cannone” - Francesco De Gregori
“Rocket Man” - Elton John

28.4.23

8 dicembre



“Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai”.
F. De Gregori 

Come quando girato l’angolo del bar
vidi le ali dietro una schiena
disciolte bionde stelle filanti
pupille assedianti l’anima
e mi rapisti alzandoti in volo.

Come quando ci raccontammo
vite distorte su strade impervie
ventricoli bagnati di terra
e ci regalammo la chiave
dei nostri blindati forzieri.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando ti mancai
ci mancammo e ci inseguimmo
correndo sul ciglio del dolore
per le storie su foto sbiadite.

Come quando eravamo tutto
e ovunque e sottosopra
e le canzoni passavano su di noi
cicatrici marcate a fuoco.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando eri stanca
ma viva nel travaglio delle cose
ed io a perenne rimorchio
fermo nel travaglio delle cose.

Come quando trovai un biglietto
scritto con l’inchiostro del rancore
un biglietto di sola andata
verso un buco nero nel futuro
dove si perse la mia gioia.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando di sorpresa
le tue mani sui miei occhi
mi diranno sono sempre stata qui
mi troverai senza più cercarmi.

27.4.23

L’equilibrio dei poeti



L’equilibrio dei poeti
proditoriamente instabile,
inebriato di mondi:
ognuno ha il suo ginepraio
dove perdersi
tra balugini e rancori,
defenestrate ubbie,
ottenebrati amori,
profumo di silenzi,
cenere di arcobaleni.

23.4.23

Batuffoli



In tasca
batuffoli di te
piccole ghirlande
affezionate
alle mie dita
che avevano sfiorato
i tuoi spazi di seta
occhieggianti
tra le meraviglie
del tuo corpo.

20.4.23

Amore retrò



Desueto è
il mio modo d’amare.
La percezione di te
unica e sola
si fa rosa e carne.
Dissemino palpiti
al tuo voluttuoso incedere
nei miei pensieri nudi
e spalmo folli desideri
su una fetta di luna.

19.4.23

L’eterna primavera



Ti sboccio dentro
fiore dirompente
invado la terra umida
centellino i tocchi
assorbo i tepori
suggo gli umori
ti faccio vertigine
lava infuocata
nella gola smaniosa
per poi fermarci
inseminati e felici
nell’eterna primavera.

9.4.23

Pasqua 2023: Dov’è la Pace



Pace imbruttita
o imbellettata
pace sconfessata
o rea confessa
pace intubata
o in coma farmacologico
pace degli Alleati
o dei disallineati
pace fuori dal tavolo
o nelle tavolate
pace marciata
o marcita
pace esportata
e chi se ne importa
pace comprata
o svenduta
pace sul mercato
sotto prezzo, a saldo.

C’era una collina
dove c’erano tre croci
la pace sulla croce
la pace sotto la croce
risorga la Pace
nelle vene del mondo.

4.4.23

Omaggio a Francesco De Gregori 4 aprile 1951



“Scusa Francesco”

“E qualcosa rimane
tra le pagine chiare
e le pagine scure”

Scusa Francesco
ho una storia da raccontare
un varco da rintracciare
un senso da concepire.

“E Lillì Marlen,
bella più che mai sorride
e non ti dice la sua età”

Il nostro incontro
astrali rendez-vous
cosmici capricci
là dove l’uomo
spillava il nettare
dalle olive secolari,
fertili zolle macerate
spianavano un destino
ostico e brullo.

“C’era una donna
l’unica che ho avuto”

Una “signora aquilone”
appiccicata al cielo
inseguita d’azzurro
teso lo spago
scrocchi di vento
fughe indocili e ribelli
mia culla e mio tormento.

“E due zingari stavano
appoggiati alla notte
forse mano nella mano
e si tenevano negli occhi”

Sotto le guglie del Castello
recitando Shakespeare
onde impertinenti
e gabbiani giocolieri
anime abbracciate
cingevamo le pupille
e volavano baci
innervati di sale
in punta di labbra.

“E non importa
se la gente del caffè
non capirà la loro anima”

Le mani intrecciate
sotto i tavolini
un cornetto in due
due sguardi in uno
proiettati nell’iperspazio
indifferenti e sorridenti
ai commenti degli astanti.

“E tu scrivimi, scrivimi
se ti viene la voglia
e raccontami quello che fai”

Se una nota può volare
le nostre canzoni
planavano rullando
oltre lo schermo
sulle piste rutilanti
di vene sanguinanti.

“Sempre e per sempre”

Ci siamo promessi
quando il nostro nido
sublime terrazza
sulla cima del mondo
scatenava fulmini
e tempeste di lacrime.

“Ero così distratto amore mio
quando ti ho morso il cuore”

Al Capitolo
dietro le ville assolate
bocconi trafelati
solo un’ora da bruciare
solo un’ora per giocare.

“E Cesare perduto nella pioggia
sta aspettando da sei ore
il suo amore ballerina”

Ospite fisso
attendevo alla finestra
spiando il tuo viso
insinuato fra le tende
coi miei “amici cassonetti”
aulente compagnia.

Il paese è la nostra mappa
seguivamo i nostri odori
con la bussola pulsante
ed ora questi luoghi
ci sussurrano di noi
graffiano due vite
intagliando nel profondo.

“Bellamore bellamore
non mi lasciare
bellamore bellamore
non mi dimenticare”

Grazie Francesco
avevo una storia da raccontare
alcune piaghe da lenire
tanti sogni da riscaldare.

3.4.23

Quell’aprile



Quell’aprile
m’insegue
come una frotta
di cani randagi
sottratti dell’osso.

La purpurea tazza di luce
reclina uno sberleffo di sole
e aggredisce la gola
con canti di mestizia.

Svanisti in una bolla
d’insipido vaniloquio
in un corpo di ghiaccio
per l’ultimo cocktail.

Ahi! Dolce aprile
tripudio dei sognanti
principe degli effluvi
vorrei ignorare
le tue provocazioni.

Il chiodo è conficcato
nell’alveo del sorriso
mai più per me sarà
aprile dei mille fiori.

28.3.23

Non vi innamorate di un poeta



Per carità non bestemmiate se vi state innamorando di un poeta!
Anche perché dovete chiedervi se è di lui che vi state innamorando o delle sue parole?
Lui è bravo ad inventare paradisi o inferni, prende in giro continuamente la vita e la morte.
Lui sparge tocchi di luna su di un mare buio e vi illude di poterci navigare a vista.

Se vi state innamorando delle sue parole non avete capito niente, perché lui ha personalità multiple, vi ingannerà senza volerlo, metterà in mostra nuovi trucchi per restare a galla nei sogni.

Se vi state innamorando di un poeta vi spazientirete perché lui sembra assente.
In realtà lui non “sembra” ma è assente.
Anche se abitate all’ultimo piano lui se ne costruisce sopra un altro e talvolta si trasferisce lì, dove ha una pista di decollo, gioca con le rondini, fa la doccia con la pioggia e ha un cannocchiale puntato su Venere.

Se vi state innamorando di un poeta storcerete il naso alle sue palesi contraddizioni.
Ma lui è contraddetto continuamente da sè stesso perché descrive un mondo che non comprende, ci orbita intorno e ne assorbe le sofferenze, lo coccola, lo rigetta e ne viene rigettato, lui è un onda che rimbalza sui frangiflutti del tempo.

Se vi state innamorando di un poeta vi metterà a disagio.
Lui sciorinerà le sue profondità senza pudore e vi spaventerà perché nessuno ha tanto coraggio. Lui vi condurrà nelle sue stanze segrete dove il disordine regna incontrastato, dove lui stesso è il Disordine primordiale, quello della Natura prima dell’Uomo Sapiente.

Se vi state innamorando di un poeta vi farà cadere le braccia.
Lui si metterà sempre in ultima fila, insieme a quelli che si perdono per strada, con gli sconfitti, con gli umili, con gli straccioni, andrà a braccetto con i rifiutati, gli esclusi, i violentati. Lui preferirà la solitudine al successo e interpreterà sempre il suo lavoro come dono e riconoscenza e non come ambizione.

Se, nonostante tutte queste controindicazioni, la vostra cocciutaggine vi farà persistere nell’insano proposito di innamorarvi di un poeta, allora vi accadrà un piccolo miracolo.
Lui vi amerà in modi che non avreste mai immaginato potessero esistere.
Lui vi tirerà fuori le follie più sconsiderate che nascondevate.
Vi porterà nei luoghi più fantastici dell’Universo, ma sarete voi alla guida e lui solo il Navigatore.
Lui dipingerà il vostro ritratto sulle pareti del cielo perché resti eterno.
Insieme fermerete il tempo in una sfera e ci giocherete a pallone.
E poi riderete e piangerete, riderete e piangerete tanto, fino all’ultimo dei giorni e anche dopo, perché danzerete tra le dimensioni, sarete materia ed antimateria e tornerete, tornerete ancora e ancora…

Se siete proprio certi di innamorarvi di un poeta - attenti - rischiate di essere felici.
Siete pronti?

Dove vanno a finire le lacrime



Un dubbio mi assale
su quale sia il luogo
ove si raccolgano le lacrime.
Forse scoiattoli o delfini,
o anche denigrate lucertole
hanno uno scopo precipuo:
corrieri premurosi
le conservano
in contenitori di nuvole
con tappi di rugiada.

Ciascuno ha un’etichetta:
“Guerra”, “Malattia”,
“Dittatura”, “Povertà”.
Una liquida torre
di torciture.
Alla base però
regge tutto
un barattolo di tramonti
con la scritta “Amori dispersi.”

Basterebbe un soffio di bimbi,
la spinta di una colomba,
un sisma di tenerezza
ad evaporare il dolore.

21.3.23

La pianista ed il pittore



La Musica per Lei era la Porta.

Quando i suoi polpastrelli calavano come farfalle su quel prato bianco e nero lei aveva accesso ad un paesaggio astratto mai narrato in nessun sogno dove piacere e dolore erano sbuffi di nuvole che poteva soffiar via o aspirare e immergersi. Lei pigiava sui tasti senza l’enfasi della memoria, senza la concentrazione dell’impegno. Le dita prendevano vita a sè, promanazioni di un corpo astrale. Solo quando suonava per Lui si riallacciava al mondo con un cordone pulsante. Il suo pezzo dedicato era Sogno d’Amore di Liszt. Lei sentiva il respiro di Lui crescere su ogni nota, sentiva il suo battito colmare le chiuse, scalare gli apici, sprofondare negli abissi. Lei era il suo dono costante, appagante, esplodente.

Dipingere per Lui era il tocco Divino.

Il suo era un pianeta ovattato sul quale ogni sussurro poteva essere fragore ma aveva un colore, una prospettiva, un collocarsi nel disordine cromatico, confine del suo universo. La Natura era il giaciglio in cui si accomodava per dare una voce al silenzio, un senso al rincorrersi delle stagioni, al ciclo della vita. Tutto cambiava quando ritraeva Lei, il suo Amore e la sua Musa. I pennelli danzavano sulla tavolozza come in un rito tribale. La sua mano tracciava costellazioni in un peregrinare folle sulla tela, dove il viso di Lei diveniva icona di luce e bellezza infinita. Cori angelici celebravano questi sfiori a volte teneri e delicati, a volte vibranti e profondi. Lei era la voce di una divinità carnale a cui aveva inventato le fattezze dell’eternità.

Lei era non vedente e lui non udente, ma le loro anime non avevano bisogno di nulla per toccarsi ed amarsi.

18.3.23

Versi appallottolati



I versi appallottolati
non sono scarti
è vibratile cellulosa
dolorosa amputazione
di pensieri scomposti.

Accartocci il tuo profondo
che vuole restar tale:
se provi a trascinarlo
ne esci scorticato
roso, masticato.

La scala per la luce
ha gradini d’argento
e un bastone con le ali:
solo tu sei il muratore
zoppo di poesia.

7.3.23

All’incontrario



Mi ritrovai
sulla riva di un mare capovolto
i delfini a decollare
i gabbiani a stile libero
ed io a cercare la mia gioia
persa tra foreste di coralli.

In questo universo inverso
ebbi un’ispirazione
che mi piovve sui piedi
coperti di nuvole.

Io, specializzato in barzellette,
scrissi qualcosa di poetico
per una sirena che rideva di me
scomparendo nel futuro.

Una bottiglia
accolse il messaggio
insieme al mio fantasma,
shekerai il tutto e lo scagliai
in un cielo agitato.

Non so cosa accadrà
a chi leggerà quel messaggio:
forse mi raggiungerà
volando a ritroso
per ripetere con me
la vita all’incontrario.

4.3.23

Il tratturo



Lasciare la strada maestra per addentrarsi su percorsi poco battuti, dove non si percepisca un facile epilogo, è prerogativa degli spiriti curiosi, che colgono gli eventi come opportunità di arricchimento interiore, qualunque sia l’esito finale. In campagna si aprono ai nostri sensi delle striature sul corpo della terra che chiamano alla scoperta con cenni silenziosi, come si deve al rispetto verso la natura circostante. Per qualche secondo sostiamo, attendendo il dialogo spontaneo tra cuore e cervello, ragione e poesia - dove in noi non c’è contesa - e poi governiamo il passo, lento, nel corridoio misterioso. Le suole scricchiolano, proiettano zollette, rilasciando le pregresse molecole di freddo bitume, adeguandosi all’immersione nella vivente umidità. Ci accarezza l’idea di avanzare scalzi per interagire ad armi pari con la verginità del suolo. Il tratturo ha la stessa radice del verbo “trarre” cioè assorbire la bellezza, la pace, ma anche la memoria e la malinconia di un tempo violentato, derubricato, sconnesso. Assaporiamo l’incanto di giocarci attimi di vita da deglutire ai margini, sui cigli, sotto le pietre secolari, defilati agli eventi che torcono le viscere, eventi che sono rimasti indietro, mescolati all’asfalto, postati nelle reti iperveloci. Camminiamo e non sappiamo se abbiamo voglia di ritornare. Vorremmo passare parola ai nostri affetti più cari perché possano avviarsi con noi o senza di noi, ogni tanto, nei tratturi che la strada ci presenta, per andare avanti e contemporaneamente tornare indietro, fra le cose grezze, antiche, immobili, dove ritroviamo pezzi di noi stessi che abbiamo dimenticato.

25.2.23

Mi manchi poesia



Mi manchi, poesia.
Sintagma essenziale
di un illogico costrutto
compagna ed amante
fucina e voragine
riportami con te
a farfugliare sogni.

17.2.23

L’ordine dei sogni



Mi piace l’ordine.
Prima di alzarmi
ripongo i sogni
in ordine di fattibilità.
Prima il caffè
e l’orizzonte
che m’investe
alla finestra.
Non ricordo il resto
tranne che
pace e socialismo
mi scappano
sempre di mano
e rotolano in fondo.

E poi ci sei tu
inclassificabile
che mi tieni
per le tempie,
i baffi di caffè,
la tua danza
sulla soglia
il pigiama in terra
e il gioco del sole
sulla tua schiena.

12.2.23

La virgola



È freddo
il mio periodare,
l’accumulo di righe,
sovrapporsi e confondersi
di PensieriAzioni,
ma il muro di una virgola
erge il Tuo
pensiero invalicabile,
un vento contrario
che sbatte sul petto
disordina e dislessica,
si trasforma in punto
per fermarmi ad amarti.

7.2.23

Turchia



Si siede il silenzio.
Prende possesso.
Regna.
Occupa lo spazio
dove concitava la vita
dove abitavano altalene.

La terra si riprende
usurpate velleità,
cristalli di cielo sfarinato.

Imperterriti
con lame di cemento
e stolida vaniloquenza
infieriamo sul corpo
di una madre spossata.

6.2.23

Opere necessarie



Prometto
di limare i miei chiodi,
arrotondare i complessi,
levigare le fisse,
oliare le ruggini,
e - soprattutto -
scartavetrare il passato.

Scusa amore
la mia faccia sporca,
ma ora sono pronto
ad abitarti dentro.

Spifferi



La subdola capacità del vento
d’insinuarsi nelle fessure,
crepitando e gemendo,
come lupi gaudenti
alla luna cadente.

Interstizi dell’anima
corridoi come serpenti,
renitenti grumi
s’aggrappano agli angoli.

Trattengo per me
uno spazio angusto
dove tu, seduta
su di una sponda di neve,
hai un fiocco di sorrisi
sparsi in un tempo vuoto.

28.1.23

Rondine sbandata



Chi sei tu?
Non mi fido.
Hai occhi di noce
come quelli che m’ingannarono.
Leggi le mie poesie,
ma non gli spazi,
non le pause e le cancellature.

Lo sai?
Io sono nascosto lì
sdraiato tra parentesi,
curvo sotto il tondo
degli interrogativi.
E gli esclamativi - ahia! -
quelli sono perduti,
come gli amori e le rivoluzioni.

Non mi fido.
Sai tenere un aquilone?
Sai fare una barchetta
e spingerla nel mare del tempo?

Io lo so fare
e allora seguimi,
lancia la mia paura
al di là del perimetro
che circonda il falso,
volami dentro
rondine sbandata
medicherò la tua anima
con garze di sogno.

I passi del silenzio



Il silenzio
ha un suo scandire:
la resa esanime
del tuo vestito
appallottolato;
il tuo richiamo laccato
imbevuto di rosso;
la capricciosa fragranza
delle tue anche chiare;
e infine il prodigio
che ci sfianca
e c’invola.

27.1.23

L’assedio alla memoria



Oggi indossiamo
stivali di consapevolezza
protetti da schizzi
di fango mascherato.

Marciamo con i vessilli
di anime gigantesche
mentre sui troni
imperversano pagliacci
travestiti da statisti.

Perennemente concentrati
in campi di sterminio
di verità e giustizia
in una mano una bandiera
nell’altra una tagliola.

E le guerre scorrono lente
con i sempiterni sconfitti
carne da macello
dei padroni del mondo.

22.1.23

Quello che ci raccontammo



Nelle ampolle dei miei ricordi 
chiaroscuri s’intrecciano
discorsi rannicchiati nel buio
chiusi a chiave
buttati sotto il letto.

Quello che ci raccontammo
era una luna piena
incollata a muri stonacati
fra sedili e sudori
e vetri infranti di follia.

Noi eravamo ciò
che non volevano fossimo:
ribelli, curiosi,
con le nuvole stese fra le teste
guardando i nostri corpi
camminare senza meta.

I tuoi pennelli di libertà
le mie poesie di rabbia
i tuoi discorsi sulle pietre
madri stremate sorridenti
tu ustionata di rimproveri
l’ultima è sempre la peggiore.

Quello che ci raccontammo
io, un pò Gulliver un pò Sandokan
fra trenini e pirati
volevo fare il manovale
e conquistare Marianna
la mia Perla fra i sassi.

Tu, pecora nera
parlavi alle allodole
a cavalcioni di un parete
un pò maschio un pò falena
fuori posto in tutti i posti.

Quello che ci raccontammo
ci semplificò in frazioni
minimi comuni denominatori
numeri primi in sequenza
assolati, contigui, incastrati.

Noi lacrime morte negli occhi
amammo i nostri peccati
ci penetrammo le anime
senza ritegno con dovizia
monadi in fusione criptica.

Quello che ci raccontammo
scavava ruggine dai petti
concimava deserti
raggelava prigioni
ci lasciava nudi
con le spade fra le vertebre.

Quello che ci raccontammo
sarà terra o cenere
sarà materia oscura
non verrà mai più raccontato
crogiolerà per sempre
nelle nostre gole ardenti.

21.1.23

Feste virtuali



Se non si sta attenti
si potrebbe inciampare
in abbracci,
profughi fuoriusciti
da assembramenti virtuali,
circonferenze di vuoto.

Cosa festeggiamo oggi?
Illusioni da tastiera
candeggina dell’anima
sazietà
in vibrazioni di ciglia.

Un tempo scendevamo
su stradine acciottolate
attraversando il paesello
braccia conserte sui sorrisi
in serbo doni di pezza
molliche di gentilezza.

Erano abbracci di sole
posati su spalle esauste
che ci avevano costruito
parapetti di bontà
dove appoggiare la vita.

Sognarsi



Sognarsi
gomitoli intrecciati
puri e sconci
evasi dalla notte
argilla grezza
amalgamati
debordanti.

E poi svegliarsi
con le unghie
impolverate di stelle.

16.1.23

Fuori posto



Oggi ti ho lavata
stesa
asciugata
stirata
piegata
e ti ho rinchiusa nel cassetto.

Ma poi sono venuto a riprenderti.
Non era il tuo posto.
Ora sei seduta con me.
Mi indichi un punto sul petto.
Si, è lì che vuoi stare.
Sei la mia solitudine.

Il caffè amaro



Ogni mattina
nel gorgoglio del caffè
s’agitano increspature
che rigano la stanza.

Sei tu che vibri
sulla sponda dello Stige
e mi strappi inclemente
dal provvido aggrappo
a cui s’affida il giorno.

Un poeta che corre



La corsa
inanella percorsi
a guida entropica
suggella traguardi
a enfasi aulica

il poeta dentro di me
si fa strumento
eco didascalica
i miei passi densi
bosco di sensi
amori sparsi.

Fatti sognare



Fatti sognare forte
talmente forte
da rimboccarti di baci
e tenerti negli occhi
finché la notte
ormai nuda
farà l’amore con l’alba.

Rifornimento



Chiedo il permesso
di fissarti in silenzio
rifornirmi di te
tracimarmi dentro
per la tua assenza
la mia riserva d’amore.

10.1.23

Solstizio



Il sole sta scalando
gradini di luce
sulla scala tribale
di stagioni fuorviate.

Lascio che corra:
nel mio arco di cielo
lo zenith del tuo viso
scompiglia il moto degli astri.

7.1.23

Poesia a matita



Ti scriverò
una poesia a matita
un pò pazzerella, un pò spuntata
con parole sbucciate,
saltando le righe,
andandomi a scontrare
con le barre dei margini,
capovolto e in diagonale,
al rovescio e di sghimbescio.

Forse non capirai nulla
ma sull’ultima riga
(ricordi quella macchiolina
di cacao sfuggito
alle tue labbra?)
ci sarà in maiuscolo:

AFFILAMI IL CUORE

3.1.23

Genesi poetica



La poesia per me
è quella fastidiosa gravità
che tira giù una lacrima
aggrappata allo zigomo

il brivido che gratta
i basolati sconnessi
di vicoli poco battuti
sulla schiena dell’anima

il ticchettio dell’orologio
sulla mensola impolverata
dove s’àncorano i ricordi
in chiassose adunate

la foto in bianco e nero
spiegazzata sulla ferita
ancora aperta
ancora maledettamente aperta

questo cuore ergastolano
nelle conturbanti galere
dove strombazziamo
vite smerigliate
e turbamenti rococò.