28.3.23

Non vi innamorate di un poeta



Per carità non bestemmiate se vi state innamorando di un poeta!
Anche perché dovete chiedervi se è di lui che vi state innamorando o delle sue parole?
Lui è bravo ad inventare paradisi o inferni, prende in giro continuamente la vita e la morte.
Lui sparge tocchi di luna su di un mare buio e vi illude di poterci navigare a vista.

Se vi state innamorando delle sue parole non avete capito niente, perché lui ha personalità multiple, vi ingannerà senza volerlo, metterà in mostra nuovi trucchi per restare a galla nei sogni.

Se vi state innamorando di un poeta vi spazientirete perché lui sembra assente.
In realtà lui non “sembra” ma è assente.
Anche se abitate all’ultimo piano lui se ne costruisce sopra un altro e talvolta si trasferisce lì, dove ha una pista di decollo, gioca con le rondini, fa la doccia con la pioggia e ha un cannocchiale puntato su Venere.

Se vi state innamorando di un poeta storcerete il naso alle sue palesi contraddizioni.
Ma lui è contraddetto continuamente da sè stesso perché descrive un mondo che non comprende, ci orbita intorno e ne assorbe le sofferenze, lo coccola, lo rigetta e ne viene rigettato, lui è un onda che rimbalza sui frangiflutti del tempo.

Se vi state innamorando di un poeta vi metterà a disagio.
Lui sciorinerà le sue profondità senza pudore e vi spaventerà perché nessuno ha tanto coraggio. Lui vi condurrà nelle sue stanze segrete dove il disordine regna incontrastato, dove lui stesso è il Disordine primordiale, quello della Natura prima dell’Uomo Sapiente.

Se vi state innamorando di un poeta vi farà cadere le braccia.
Lui si metterà sempre in ultima fila, insieme a quelli che si perdono per strada, con gli sconfitti, con gli umili, con gli straccioni, andrà a braccetto con i rifiutati, gli esclusi, i violentati. Lui preferirà la solitudine al successo e interpreterà sempre il suo lavoro come dono e riconoscenza e non come ambizione.

Se, nonostante tutte queste controindicazioni, la vostra cocciutaggine vi farà persistere nell’insano proposito di innamorarvi di un poeta, allora vi accadrà un piccolo miracolo.
Lui vi amerà in modi che non avreste mai immaginato potessero esistere.
Lui vi tirerà fuori le follie più sconsiderate che nascondevate.
Vi porterà nei luoghi più fantastici dell’Universo, ma sarete voi alla guida e lui solo il Navigatore.
Lui dipingerà il vostro ritratto sulle pareti del cielo perché resti eterno.
Insieme fermerete il tempo in una sfera e ci giocherete a pallone.
E poi riderete e piangerete, riderete e piangerete tanto, fino all’ultimo dei giorni e anche dopo, perché danzerete tra le dimensioni, sarete materia ed antimateria e tornerete, tornerete ancora e ancora…

Se siete proprio certi di innamorarvi di un poeta - attenti - rischiate di essere felici.
Siete pronti?

Dove vanno a finire le lacrime



Un dubbio mi assale
su quale sia il luogo
ove si raccolgano le lacrime.
Forse scoiattoli o delfini,
o anche denigrate lucertole
hanno uno scopo precipuo:
corrieri premurosi
le conservano
in contenitori di nuvole
con tappi di rugiada.

Ciascuno ha un’etichetta:
“Guerra”, “Malattia”,
“Dittatura”, “Povertà”.
Una liquida torre
di torciture.
Alla base però
regge tutto
un barattolo di tramonti
con la scritta “Amori dispersi.”

Basterebbe un soffio di bimbi,
la spinta di una colomba,
un sisma di tenerezza
ad evaporare il dolore.

21.3.23

La pianista ed il pittore



La Musica per Lei era la Porta.

Quando i suoi polpastrelli calavano come farfalle su quel prato bianco e nero lei aveva accesso ad un paesaggio astratto mai narrato in nessun sogno dove piacere e dolore erano sbuffi di nuvole che poteva soffiar via o aspirare e immergersi. Lei pigiava sui tasti senza l’enfasi della memoria, senza la concentrazione dell’impegno. Le dita prendevano vita a sè, promanazioni di un corpo astrale. Solo quando suonava per Lui si riallacciava al mondo con un cordone pulsante. Il suo pezzo dedicato era Sogno d’Amore di Liszt. Lei sentiva il respiro di Lui crescere su ogni nota, sentiva il suo battito colmare le chiuse, scalare gli apici, sprofondare negli abissi. Lei era il suo dono costante, appagante, esplodente.

Dipingere per Lui era il tocco Divino.

Il suo era un pianeta ovattato sul quale ogni sussurro poteva essere fragore ma aveva un colore, una prospettiva, un collocarsi nel disordine cromatico, confine del suo universo. La Natura era il giaciglio in cui si accomodava per dare una voce al silenzio, un senso al rincorrersi delle stagioni, al ciclo della vita. Tutto cambiava quando ritraeva Lei, il suo Amore e la sua Musa. I pennelli danzavano sulla tavolozza come in un rito tribale. La sua mano tracciava costellazioni in un peregrinare folle sulla tela, dove il viso di Lei diveniva icona di luce e bellezza infinita. Cori angelici celebravano questi sfiori a volte teneri e delicati, a volte vibranti e profondi. Lei era la voce di una divinità carnale a cui aveva inventato le fattezze dell’eternità.

Lei era non vedente e lui non udente, ma le loro anime non avevano bisogno di nulla per toccarsi ed amarsi.

18.3.23

Versi appallottolati



I versi appallottolati
non sono scarti
è vibratile cellulosa
dolorosa amputazione
di pensieri scomposti.

Accartocci il tuo profondo
che vuole restar tale:
se provi a trascinarlo
ne esci scorticato
roso, masticato.

La scala per la luce
ha gradini d’argento
e un bastone con le ali:
solo tu sei il muratore
zoppo di poesia.

7.3.23

All’incontrario



Mi ritrovai
sulla riva di un mare capovolto
i delfini a decollare
i gabbiani a stile libero
ed io a cercare la mia gioia
persa tra foreste di coralli.

In questo universo inverso
ebbi un’ispirazione
che mi piovve sui piedi
coperti di nuvole.

Io, specializzato in barzellette,
scrissi qualcosa di poetico
per una sirena che rideva di me
scomparendo nel futuro.

Una bottiglia
accolse il messaggio
insieme al mio fantasma,
shekerai il tutto e lo scagliai
in un cielo agitato.

Non so cosa accadrà
a chi leggerà quel messaggio:
forse mi raggiungerà
volando a ritroso
per ripetere con me
la vita all’incontrario.

4.3.23

Il tratturo



Lasciare la strada maestra per addentrarsi su percorsi poco battuti, dove non si percepisca un facile epilogo, è prerogativa degli spiriti curiosi, che colgono gli eventi come opportunità di arricchimento interiore, qualunque sia l’esito finale. In campagna si aprono ai nostri sensi delle striature sul corpo della terra che chiamano alla scoperta con cenni silenziosi, come si deve al rispetto verso la natura circostante. Per qualche secondo sostiamo, attendendo il dialogo spontaneo tra cuore e cervello, ragione e poesia - dove in noi non c’è contesa - e poi governiamo il passo, lento, nel corridoio misterioso. Le suole scricchiolano, proiettano zollette, rilasciando le pregresse molecole di freddo bitume, adeguandosi all’immersione nella vivente umidità. Ci accarezza l’idea di avanzare scalzi per interagire ad armi pari con la verginità del suolo. Il tratturo ha la stessa radice del verbo “trarre” cioè assorbire la bellezza, la pace, ma anche la memoria e la malinconia di un tempo violentato, derubricato, sconnesso. Assaporiamo l’incanto di giocarci attimi di vita da deglutire ai margini, sui cigli, sotto le pietre secolari, defilati agli eventi che torcono le viscere, eventi che sono rimasti indietro, mescolati all’asfalto, postati nelle reti iperveloci. Camminiamo e non sappiamo se abbiamo voglia di ritornare. Vorremmo passare parola ai nostri affetti più cari perché possano avviarsi con noi o senza di noi, ogni tanto, nei tratturi che la strada ci presenta, per andare avanti e contemporaneamente tornare indietro, fra le cose grezze, antiche, immobili, dove ritroviamo pezzi di noi stessi che abbiamo dimenticato.

25.2.23

Mi manchi poesia



Mi manchi, poesia.
Sintagma essenziale
di un illogico costrutto
compagna ed amante
fucina e voragine
riportami con te
a farfugliare sogni.

17.2.23

L’ordine dei sogni



Mi piace l’ordine.
Prima di alzarmi
ripongo i sogni
in ordine di fattibilità.
Prima il caffè
e l’orizzonte
che m’investe
alla finestra.
Non ricordo il resto
tranne che
pace e socialismo
mi scappano
sempre di mano
e rotolano in fondo.

E poi ci sei tu
inclassificabile
che mi tieni
per le tempie,
i baffi di caffè,
la tua danza
sulla soglia
il pigiama in terra
e il gioco del sole
sulla tua schiena.

12.2.23

La virgola



È freddo
il mio periodare,
l’accumulo di righe,
sovrapporsi e confondersi
di PensieriAzioni,
ma il muro di una virgola
erge il Tuo
pensiero invalicabile,
un vento contrario
che sbatte sul petto
disordina e dislessica,
si trasforma in punto
per fermarmi ad amarti.

7.2.23

Turchia



Si siede il silenzio.
Prende possesso.
Regna.
Occupa lo spazio
dove concitava la vita
dove abitavano altalene.

La terra si riprende
usurpate velleità,
cristalli di cielo sfarinato.

Imperterriti
con lame di cemento
e stolida vaniloquenza
infieriamo sul corpo
di una madre spossata.

6.2.23

Opere necessarie



Prometto
di limare i miei chiodi,
arrotondare i complessi,
levigare le fisse,
oliare le ruggini,
e - soprattutto -
scartavetrare il passato.

Scusa amore
la mia faccia sporca,
ma ora sono pronto
ad abitarti dentro.

Spifferi



La subdola capacità del vento
d’insinuarsi nelle fessure,
crepitando e gemendo,
come lupi gaudenti
alla luna cadente.

Interstizi dell’anima
corridoi come serpenti,
renitenti grumi
s’aggrappano agli angoli.

Trattengo per me
uno spazio angusto
dove tu, seduta
su di una sponda di neve,
hai un fiocco di sorrisi
sparsi in un tempo vuoto.

28.1.23

Rondine sbandata



Chi sei tu?
Non mi fido.
Hai occhi di noce
come quelli che m’ingannarono.
Leggi le mie poesie,
ma non gli spazi,
non le pause e le cancellature.

Lo sai?
Io sono nascosto lì
sdraiato tra parentesi,
curvo sotto il tondo
degli interrogativi.
E gli esclamativi - ahia! -
quelli sono perduti,
come gli amori e le rivoluzioni.

Non mi fido.
Sai tenere un aquilone?
Sai fare una barchetta
e spingerla nel mare del tempo?

Io lo so fare
e allora seguimi,
lancia la mia paura
al di là del perimetro
che circonda il falso,
volami dentro
rondine sbandata
medicherò la tua anima
con garze di sogno.

I passi del silenzio



Il silenzio
ha un suo scandire:
la resa esanime
del tuo vestito
appallottolato;
il tuo richiamo laccato
imbevuto di rosso;
la capricciosa fragranza
delle tue anche chiare;
e infine il prodigio
che ci sfianca
e c’invola.

27.1.23

L’assedio alla memoria



Oggi indossiamo
stivali di consapevolezza
protetti da schizzi
di fango mascherato.

Marciamo con i vessilli
di anime gigantesche
mentre sui troni
imperversano pagliacci
travestiti da statisti.

Perennemente concentrati
in campi di sterminio
di verità e giustizia
in una mano una bandiera
nell’altra una tagliola.

E le guerre scorrono lente
con i sempiterni sconfitti
carne da macello
dei padroni del mondo.

22.1.23

Quello che ci raccontammo



Nelle ampolle dei miei ricordi 
chiaroscuri s’intrecciano
discorsi rannicchiati nel buio
chiusi a chiave
buttati sotto il letto.

Quello che ci raccontammo
era una luna piena
incollata a muri stonacati
fra sedili e sudori
e vetri infranti di follia.

Noi eravamo ciò
che non volevano fossimo:
ribelli, curiosi,
con le nuvole stese fra le teste
guardando i nostri corpi
camminare senza meta.

I tuoi pennelli di libertà
le mie poesie di rabbia
i tuoi discorsi sulle pietre
madri stremate sorridenti
tu ustionata di rimproveri
l’ultima è sempre la peggiore.

Quello che ci raccontammo
io, un pò Gulliver un pò Sandokan
fra trenini e pirati
volevo fare il manovale
e conquistare Marianna
la mia Perla fra i sassi.

Tu, pecora nera
parlavi alle allodole
a cavalcioni di un parete
un pò maschio un pò falena
fuori posto in tutti i posti.

Quello che ci raccontammo
ci semplificò in frazioni
minimi comuni denominatori
numeri primi in sequenza
assolati, contigui, incastrati.

Noi lacrime morte negli occhi
amammo i nostri peccati
ci penetrammo le anime
senza ritegno con dovizia
monadi in fusione criptica.

Quello che ci raccontammo
scavava ruggine dai petti
concimava deserti
raggelava prigioni
ci lasciava nudi
con le spade fra le vertebre.

Quello che ci raccontammo
sarà terra o cenere
sarà materia oscura
non verrà mai più raccontato
crogiolerà per sempre
nelle nostre gole ardenti.

21.1.23

Feste virtuali



Se non si sta attenti
si potrebbe inciampare
in abbracci,
profughi fuoriusciti
da assembramenti virtuali,
circonferenze di vuoto.

Cosa festeggiamo oggi?
Illusioni da tastiera
candeggina dell’anima
sazietà
in vibrazioni di ciglia.

Un tempo scendevamo
su stradine acciottolate
attraversando il paesello
braccia conserte sui sorrisi
in serbo doni di pezza
molliche di gentilezza.

Erano abbracci di sole
posati su spalle esauste
che ci avevano costruito
parapetti di bontà
dove appoggiare la vita.

Sognarsi



Sognarsi
gomitoli intrecciati
puri e sconci
evasi dalla notte
argilla grezza
amalgamati
debordanti.

E poi svegliarsi
con le unghie
impolverate di stelle.

16.1.23

Fuori posto



Oggi ti ho lavata
stesa
asciugata
stirata
piegata
e ti ho rinchiusa nel cassetto.

Ma poi sono venuto a riprenderti.
Non era il tuo posto.
Ora sei seduta con me.
Mi indichi un punto sul petto.
Si, è lì che vuoi stare.
Sei la mia solitudine.

Il caffè amaro



Ogni mattina
nel gorgoglio del caffè
s’agitano increspature
che rigano la stanza.

Sei tu che vibri
sulla sponda dello Stige
e mi strappi inclemente
dal provvido aggrappo
a cui s’affida il giorno.