30.4.23

La Donna Cannone e L’Uomo Razzo

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo non avevano un appuntamento.
Entrambi sparati nel firmamento,
nuotavano nel Vento Solare
ignari della loro sorte.

La Donna Cannone fu scelta come proiettile
per sua inutilità come modella,
ingombrante per i media,
consumava troppo photoshop
e aveva annoiato i bulli.

L’Uomo Razzo fu sorteggiato
in una Cerchia di folli
mai adattati
a nessun ciclo produttivo
ed era dotato
di propellente autonomo:
“poesia” era il suo strano appellativo.

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo
non si erano mai visti,
ma si conoscevano da sempre,
senza saperlo.
Fu inconsueto
per gli androidi stupiti sulla Terra
vederli volare abbracciati.

La Donna Cannone e l’Uomo Razzo
cavalcavano le comete,
accarezzavano gli Astronauti
che si perdevano nei dubbi,
coprivano il Sole
con la loro Eclissi d’Amore
e riscrivevano la Storia del mondo
con le loro penne colorate di stelle.


Ispirata da:
“La Donna Cannone” - Francesco De Gregori
“Rocket Man” - Elton John

28.4.23

8 dicembre



“Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai”.
F. De Gregori 

Come quando girato l’angolo del bar
vidi le ali dietro una schiena
disciolte bionde stelle filanti
pupille assedianti l’anima
e mi rapisti alzandoti in volo.

Come quando ci raccontammo
vite distorte su strade impervie
ventricoli bagnati di terra
e ci regalammo la chiave
dei nostri blindati forzieri.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando ti mancai
ci mancammo e ci inseguimmo
correndo sul ciglio del dolore
per le storie su foto sbiadite.

Come quando eravamo tutto
e ovunque e sottosopra
e le canzoni passavano su di noi
cicatrici marcate a fuoco.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando eri stanca
ma viva nel travaglio delle cose
ed io a perenne rimorchio
fermo nel travaglio delle cose.

Come quando trovai un biglietto
scritto con l’inchiostro del rancore
un biglietto di sola andata
verso un buco nero nel futuro
dove si perse la mia gioia.

Dalla stessa parte mi troverai
come quando di sorpresa
le tue mani sui miei occhi
mi diranno sono sempre stata qui
mi troverai senza più cercarmi.

27.4.23

L’equilibrio dei poeti



L’equilibrio dei poeti
proditoriamente instabile,
inebriato di mondi:
ognuno ha il suo ginepraio
dove perdersi
tra balugini e rancori,
defenestrate ubbie,
ottenebrati amori,
profumo di silenzi,
cenere di arcobaleni.

23.4.23

Batuffoli



In tasca
batuffoli di te
piccole ghirlande
affezionate
alle mie dita
che avevano sfiorato
i tuoi spazi di seta
occhieggianti
tra le meraviglie
del tuo corpo.

20.4.23

Amore retrò



Desueto è
il mio modo d’amare.
La percezione di te
unica e sola
si fa rosa e carne.
Dissemino palpiti
al tuo voluttuoso incedere
nei miei pensieri nudi
e spalmo folli desideri
su una fetta di luna.

19.4.23

L’eterna primavera



Ti sboccio dentro
fiore dirompente
invado la terra umida
centellino i tocchi
assorbo i tepori
suggo gli umori
ti faccio vertigine
lava infuocata
nella gola smaniosa
per poi fermarci
inseminati e felici
nell’eterna primavera.

9.4.23

Pasqua 2023: Dov’è la Pace



Pace imbruttita
o imbellettata
pace sconfessata
o rea confessa
pace intubata
o in coma farmacologico
pace degli Alleati
o dei disallineati
pace fuori dal tavolo
o nelle tavolate
pace marciata
o marcita
pace esportata
e chi se ne importa
pace comprata
o svenduta
pace sul mercato
sotto prezzo, a saldo.

C’era una collina
dove c’erano tre croci
la pace sulla croce
la pace sotto la croce
risorga la Pace
nelle vene del mondo.

4.4.23

Omaggio a Francesco De Gregori 4 aprile 1951



“Scusa Francesco”

“E qualcosa rimane
tra le pagine chiare
e le pagine scure”

Scusa Francesco
ho una storia da raccontare
un varco da rintracciare
un senso da concepire.

“E Lillì Marlen,
bella più che mai sorride
e non ti dice la sua età”

Il nostro incontro
astrali rendez-vous
cosmici capricci
là dove l’uomo
spillava il nettare
dalle olive secolari,
fertili zolle macerate
spianavano un destino
ostico e brullo.

“C’era una donna
l’unica che ho avuto”

Una “signora aquilone”
appiccicata al cielo
inseguita d’azzurro
teso lo spago
scrocchi di vento
fughe indocili e ribelli
mia culla e mio tormento.

“E due zingari stavano
appoggiati alla notte
forse mano nella mano
e si tenevano negli occhi”

Sotto le guglie del Castello
recitando Shakespeare
onde impertinenti
e gabbiani giocolieri
anime abbracciate
cingevamo le pupille
e volavano baci
innervati di sale
in punta di labbra.

“E non importa
se la gente del caffè
non capirà la loro anima”

Le mani intrecciate
sotto i tavolini
un cornetto in due
due sguardi in uno
proiettati nell’iperspazio
indifferenti e sorridenti
ai commenti degli astanti.

“E tu scrivimi, scrivimi
se ti viene la voglia
e raccontami quello che fai”

Se una nota può volare
le nostre canzoni
planavano rullando
oltre lo schermo
sulle piste rutilanti
di vene sanguinanti.

“Sempre e per sempre”

Ci siamo promessi
quando il nostro nido
sublime terrazza
sulla cima del mondo
scatenava fulmini
e tempeste di lacrime.

“Ero così distratto amore mio
quando ti ho morso il cuore”

Al Capitolo
dietro le ville assolate
bocconi trafelati
solo un’ora da bruciare
solo un’ora per giocare.

“E Cesare perduto nella pioggia
sta aspettando da sei ore
il suo amore ballerina”

Ospite fisso
attendevo alla finestra
spiando il tuo viso
insinuato fra le tende
coi miei “amici cassonetti”
aulente compagnia.

Il paese è la nostra mappa
seguivamo i nostri odori
con la bussola pulsante
ed ora questi luoghi
ci sussurrano di noi
graffiano due vite
intagliando nel profondo.

“Bellamore bellamore
non mi lasciare
bellamore bellamore
non mi dimenticare”

Grazie Francesco
avevo una storia da raccontare
alcune piaghe da lenire
tanti sogni da riscaldare.

3.4.23

Quell’aprile



Quell’aprile
m’insegue
come una frotta
di cani randagi
sottratti dell’osso.

La purpurea tazza di luce
reclina uno sberleffo di sole
e aggredisce la gola
con canti di mestizia.

Svanisti in una bolla
d’insipido vaniloquio
in un corpo di ghiaccio
per l’ultimo cocktail.

Ahi! Dolce aprile
tripudio dei sognanti
principe degli effluvi
vorrei ignorare
le tue provocazioni.

Il chiodo è conficcato
nell’alveo del sorriso
mai più per me sarà
aprile dei mille fiori.

28.3.23

Non vi innamorate di un poeta



Per carità non bestemmiate se vi state innamorando di un poeta!
Anche perché dovete chiedervi se è di lui che vi state innamorando o delle sue parole?
Lui è bravo ad inventare paradisi o inferni, prende in giro continuamente la vita e la morte.
Lui sparge tocchi di luna su di un mare buio e vi illude di poterci navigare a vista.

Se vi state innamorando delle sue parole non avete capito niente, perché lui ha personalità multiple, vi ingannerà senza volerlo, metterà in mostra nuovi trucchi per restare a galla nei sogni.

Se vi state innamorando di un poeta vi spazientirete perché lui sembra assente.
In realtà lui non “sembra” ma è assente.
Anche se abitate all’ultimo piano lui se ne costruisce sopra un altro e talvolta si trasferisce lì, dove ha una pista di decollo, gioca con le rondini, fa la doccia con la pioggia e ha un cannocchiale puntato su Venere.

Se vi state innamorando di un poeta storcerete il naso alle sue palesi contraddizioni.
Ma lui è contraddetto continuamente da sè stesso perché descrive un mondo che non comprende, ci orbita intorno e ne assorbe le sofferenze, lo coccola, lo rigetta e ne viene rigettato, lui è un onda che rimbalza sui frangiflutti del tempo.

Se vi state innamorando di un poeta vi metterà a disagio.
Lui sciorinerà le sue profondità senza pudore e vi spaventerà perché nessuno ha tanto coraggio. Lui vi condurrà nelle sue stanze segrete dove il disordine regna incontrastato, dove lui stesso è il Disordine primordiale, quello della Natura prima dell’Uomo Sapiente.

Se vi state innamorando di un poeta vi farà cadere le braccia.
Lui si metterà sempre in ultima fila, insieme a quelli che si perdono per strada, con gli sconfitti, con gli umili, con gli straccioni, andrà a braccetto con i rifiutati, gli esclusi, i violentati. Lui preferirà la solitudine al successo e interpreterà sempre il suo lavoro come dono e riconoscenza e non come ambizione.

Se, nonostante tutte queste controindicazioni, la vostra cocciutaggine vi farà persistere nell’insano proposito di innamorarvi di un poeta, allora vi accadrà un piccolo miracolo.
Lui vi amerà in modi che non avreste mai immaginato potessero esistere.
Lui vi tirerà fuori le follie più sconsiderate che nascondevate.
Vi porterà nei luoghi più fantastici dell’Universo, ma sarete voi alla guida e lui solo il Navigatore.
Lui dipingerà il vostro ritratto sulle pareti del cielo perché resti eterno.
Insieme fermerete il tempo in una sfera e ci giocherete a pallone.
E poi riderete e piangerete, riderete e piangerete tanto, fino all’ultimo dei giorni e anche dopo, perché danzerete tra le dimensioni, sarete materia ed antimateria e tornerete, tornerete ancora e ancora…

Se siete proprio certi di innamorarvi di un poeta - attenti - rischiate di essere felici.
Siete pronti?

Dove vanno a finire le lacrime



Un dubbio mi assale
su quale sia il luogo
ove si raccolgano le lacrime.
Forse scoiattoli o delfini,
o anche denigrate lucertole
hanno uno scopo precipuo:
corrieri premurosi
le conservano
in contenitori di nuvole
con tappi di rugiada.

Ciascuno ha un’etichetta:
“Guerra”, “Malattia”,
“Dittatura”, “Povertà”.
Una liquida torre
di torciture.
Alla base però
regge tutto
un barattolo di tramonti
con la scritta “Amori dispersi.”

Basterebbe un soffio di bimbi,
la spinta di una colomba,
un sisma di tenerezza
ad evaporare il dolore.

21.3.23

La pianista ed il pittore



La Musica per Lei era la Porta.

Quando i suoi polpastrelli calavano come farfalle su quel prato bianco e nero lei aveva accesso ad un paesaggio astratto mai narrato in nessun sogno dove piacere e dolore erano sbuffi di nuvole che poteva soffiar via o aspirare e immergersi. Lei pigiava sui tasti senza l’enfasi della memoria, senza la concentrazione dell’impegno. Le dita prendevano vita a sè, promanazioni di un corpo astrale. Solo quando suonava per Lui si riallacciava al mondo con un cordone pulsante. Il suo pezzo dedicato era Sogno d’Amore di Liszt. Lei sentiva il respiro di Lui crescere su ogni nota, sentiva il suo battito colmare le chiuse, scalare gli apici, sprofondare negli abissi. Lei era il suo dono costante, appagante, esplodente.

Dipingere per Lui era il tocco Divino.

Il suo era un pianeta ovattato sul quale ogni sussurro poteva essere fragore ma aveva un colore, una prospettiva, un collocarsi nel disordine cromatico, confine del suo universo. La Natura era il giaciglio in cui si accomodava per dare una voce al silenzio, un senso al rincorrersi delle stagioni, al ciclo della vita. Tutto cambiava quando ritraeva Lei, il suo Amore e la sua Musa. I pennelli danzavano sulla tavolozza come in un rito tribale. La sua mano tracciava costellazioni in un peregrinare folle sulla tela, dove il viso di Lei diveniva icona di luce e bellezza infinita. Cori angelici celebravano questi sfiori a volte teneri e delicati, a volte vibranti e profondi. Lei era la voce di una divinità carnale a cui aveva inventato le fattezze dell’eternità.

Lei era non vedente e lui non udente, ma le loro anime non avevano bisogno di nulla per toccarsi ed amarsi.

18.3.23

Versi appallottolati



I versi appallottolati
non sono scarti
è vibratile cellulosa
dolorosa amputazione
di pensieri scomposti.

Accartocci il tuo profondo
che vuole restar tale:
se provi a trascinarlo
ne esci scorticato
roso, masticato.

La scala per la luce
ha gradini d’argento
e un bastone con le ali:
solo tu sei il muratore
zoppo di poesia.

7.3.23

All’incontrario



Mi ritrovai
sulla riva di un mare capovolto
i delfini a decollare
i gabbiani a stile libero
ed io a cercare la mia gioia
persa tra foreste di coralli.

In questo universo inverso
ebbi un’ispirazione
che mi piovve sui piedi
coperti di nuvole.

Io, specializzato in barzellette,
scrissi qualcosa di poetico
per una sirena che rideva di me
scomparendo nel futuro.

Una bottiglia
accolse il messaggio
insieme al mio fantasma,
shekerai il tutto e lo scagliai
in un cielo agitato.

Non so cosa accadrà
a chi leggerà quel messaggio:
forse mi raggiungerà
volando a ritroso
per ripetere con me
la vita all’incontrario.

4.3.23

Il tratturo



Lasciare la strada maestra per addentrarsi su percorsi poco battuti, dove non si percepisca un facile epilogo, è prerogativa degli spiriti curiosi, che colgono gli eventi come opportunità di arricchimento interiore, qualunque sia l’esito finale. In campagna si aprono ai nostri sensi delle striature sul corpo della terra che chiamano alla scoperta con cenni silenziosi, come si deve al rispetto verso la natura circostante. Per qualche secondo sostiamo, attendendo il dialogo spontaneo tra cuore e cervello, ragione e poesia - dove in noi non c’è contesa - e poi governiamo il passo, lento, nel corridoio misterioso. Le suole scricchiolano, proiettano zollette, rilasciando le pregresse molecole di freddo bitume, adeguandosi all’immersione nella vivente umidità. Ci accarezza l’idea di avanzare scalzi per interagire ad armi pari con la verginità del suolo. Il tratturo ha la stessa radice del verbo “trarre” cioè assorbire la bellezza, la pace, ma anche la memoria e la malinconia di un tempo violentato, derubricato, sconnesso. Assaporiamo l’incanto di giocarci attimi di vita da deglutire ai margini, sui cigli, sotto le pietre secolari, defilati agli eventi che torcono le viscere, eventi che sono rimasti indietro, mescolati all’asfalto, postati nelle reti iperveloci. Camminiamo e non sappiamo se abbiamo voglia di ritornare. Vorremmo passare parola ai nostri affetti più cari perché possano avviarsi con noi o senza di noi, ogni tanto, nei tratturi che la strada ci presenta, per andare avanti e contemporaneamente tornare indietro, fra le cose grezze, antiche, immobili, dove ritroviamo pezzi di noi stessi che abbiamo dimenticato.

25.2.23

Mi manchi poesia



Mi manchi, poesia.
Sintagma essenziale
di un illogico costrutto
compagna ed amante
fucina e voragine
riportami con te
a farfugliare sogni.

17.2.23

L’ordine dei sogni



Mi piace l’ordine.
Prima di alzarmi
ripongo i sogni
in ordine di fattibilità.
Prima il caffè
e l’orizzonte
che m’investe
alla finestra.
Non ricordo il resto
tranne che
pace e socialismo
mi scappano
sempre di mano
e rotolano in fondo.

E poi ci sei tu
inclassificabile
che mi tieni
per le tempie,
i baffi di caffè,
la tua danza
sulla soglia
il pigiama in terra
e il gioco del sole
sulla tua schiena.

12.2.23

La virgola



È freddo
il mio periodare,
l’accumulo di righe,
sovrapporsi e confondersi
di PensieriAzioni,
ma il muro di una virgola
erge il Tuo
pensiero invalicabile,
un vento contrario
che sbatte sul petto
disordina e dislessica,
si trasforma in punto
per fermarmi ad amarti.

7.2.23

Turchia



Si siede il silenzio.
Prende possesso.
Regna.
Occupa lo spazio
dove concitava la vita
dove abitavano altalene.

La terra si riprende
usurpate velleità,
cristalli di cielo sfarinato.

Imperterriti
con lame di cemento
e stolida vaniloquenza
infieriamo sul corpo
di una madre spossata.

6.2.23

Opere necessarie



Prometto
di limare i miei chiodi,
arrotondare i complessi,
levigare le fisse,
oliare le ruggini,
e - soprattutto -
scartavetrare il passato.

Scusa amore
la mia faccia sporca,
ma ora sono pronto
ad abitarti dentro.