25.12.21

La collezionista di sogni

 

La vidi la prima volta mentre correvo affrontando uno dei miei percorsi preferiti.
Quando il tempo non è eccessivamente umido mi piace battere sentieri misti dove il fuoristrada ti resetta i polmoni e i giochi di luce e ombra creano effetti stupendi. Su uno di questi sterrati si deve passare sotto un vecchio ponte in muratura che unisce gli orli di un terreno padronale. È un breve tratto di un antico torrente di acqua piovana, oramai secco, forse inghiottito dal cemento, quelli che chiamiamo “mene” in vernacolo.
Da lontano mi parve di intravedere un sacco sotto il ponte. Quando raggiunsi gli ultimi cespugli mi resi conto che si trattava di qualcos’altro.
C’era un corpo seduto avvolto da una coperta.
Mi fermai, un po’ incerto e curioso. Il corpo apparteneva ad una donna. Me ne resi conto dai lunghi capelli neri, abboccolati in un inestricabile caos riccioluto, che circondavano un viso aggrottato, appena visibile dalla coperta color marrone pallido.
Ma quello che aveva colpito in modo singolare la mia attenzione, era una seconda coperta, stesa a terra a fianco alla donna, sulla quale, ammassati, c’erano tanti libri. Mi avvicinai. Libri di poesie. Prevert, Neruda, Baudelaire, Pessoa, Merini, Garcia Lorca…
La donna, che pareva assopita, alzò il viso e mi fulminò con due opali che parvero farmi una radiografia.
“Ciao” - le dissi - “Vendi libri usati?”
“Colleziono sogni.” - rispose.
Si liberò dalla coperta e mi indicò i libri.
“Ognuno di loro ha sparpagliato sogni nell’etere e io li raccolgo e li porto con me”.
Vidi che indossava una felpa e dei pantaloni di due misure più grandi, scoloriti e sdruciti. Ai piedi aveva degli scarponi di due colori diversi, uno dei quali aperto da un lato. Ma non riuscivo a comprendere come mai non emanasse trascuratezza, ma anzi, una forza attrattiva inesplicabile.
“Anch’io scrivo poesie” - dissi.
“Lo so, ecco perché mi hai trovato” - rispose.
Doveva avere qualche rotella fuori posto, pensai. Così la salutai e mi rimisi a correre.
Da allora ogni volta che calcavo quel percorso, lei era sempre là con i suoi scarponi, i suoi capelli ricci, la sua aura indefinibile e la sua coperta di libri. Solo che essi erano sempre meno numerosi e ogni volta diversi.
Un giorno portai con me il mio libro di poesie.
Corsi fino al ponte e lei era là. Ma quella volta era in piedi e sembrava attendermi.
“Ti ho portato il mio libro.”
“Ci hai messo tanto” - mi disse - “io l’ho già letto, ma era necessario che lo avessi qui con me.”
Ma come poteva averlo già letto? Mah! Era proprio un pò svanita!
Le lasciai il libro e ripresi la corsa, ma poi mi voltai e vidi che mi salutava con il braccio alzato.
Era la vigilia di Natale quando decisi di rifare quel percorso. Arrivai nei pressi del ponte ma non c’era nessuno. Mi fermai per cercare delle tracce di una sua recente presenza. Nulla.
Poi alzai gli occhi e vidi la scritta.
Con una grafia incerta sul muro dove lei si sedeva c’era una frase:
“Papà tuo ti saluta”.
Rimasi a lungo sotto quel ponte.
Si mise a piovere sui cespugli e sulla vita intorno, ma quelle che bagnarono i miei occhi furono lacrime di gioia.

Il potere di un nome

 

Il potere di un nome
ferma il tempo
sul crinale della quiete
- quella falsa quiete -
e, indocile trivella,
buca i giorni
di splendida nullità.

E sempre
al centro del mio nulla
si narrano storie di venti
che imboccano valli incantate
dove danzano petali di sole
ordinati come prodigi
a disegnare il tuo nome.

Io amai


Io amai.
Come coniugare un miracolo,
un passato remoto
di un tempo rugginoso,
uno strofinarsi di primavere
in un letto di comete.

Io amai
È prima persona
di un verbo prostrato
ad un solo oggetto,
è regola quantistica,
assioma sinfonico
destinati all’assurdo.

Ci fu un tempo
in cui amai
e strappai
il mio cuore
facendone coriandoli
affidati al maestrale.

Ci fu un tempo,
- divino telaio -
che tessette una stoffa
d’infinita gioia
aderente ai sogni.

17.12.21

Fuoco

 

Per te
ho attizzato
lingue
sciabolanti
spire
ardenti
vampe
roteanti
per esploderti Sole
e fonderti in me.

Il potere di un nome


Il potere di un nome
ferma il tempo
sul crinale della quiete
- quella falsa quiete -
e, indocile trivella,
buca i giorni
di splendida nullità.

Solletico di sole

 

Solletico di sole
su pelle dorata
brividi di sfioro
accendono sensi,
rannicchiati ventagli
di luce prona.

In questo mix
mi lascio immergere
grato al disfarmi.

Buona usanza

 

È buona usanza
appena sveglio
rimboccare la coperta
dei sogni incompiuti,
riporre ordinate
le fantasie nel comodino,
disarmare i battenti
alla vita che preme
umida di tenerezza.

Cosa importa se piove
sul tuo ombrello di follia?

I segreti dell'inverno

 

L’inverno pudico
copre di candore
le nudità dell’autunno
e custodisce
sotto le coltri
fuochi proibiti.

La giostrina

 

E gira gira la giostrina
con addosso
un cerchio di domande
cavallucci domati
dal senso dell’inutile
fuoristrada dell’ovvio.

Gira gira la giostrina
dove sistemiamo
alla bell’è meglio
i nostri sogni bambini
abbagliati da lucine
assordati da cantilene.

Gira gira la giostrina
al ritmo arterioso
di pulsazioni sotterrate
fra reticoli di assenze:
noi gabbiani panchinari
non vorremmo mai atterrare.

Gira e rallenta la giostrina
ci abbottoniamo i cappotti
le lucine si abbassano
siamo pronti a riprendere
i nostri sogni bambini
per tenerli sempre con noi.

11.12.21

Visite


Mi chiedevo perché
accade spesso
di sentir bussare
dietro i vetri complessi
del dubbio
e della remissione.

A volte è una tortorella
a volte un grillo afono
o un micio spelacchiato.

Mi ricordano provvidi
che c’è una ruota
che gira nel mondo là fuori.

Qualcuno mi prende
per la mano del vuoto
e lo colma di parole ricche.

Così scivola il tempo
tra slanci e rottami,
silenzi e ritornelli epici,
mentre l’arco del sole
compie una sinfonia struggente:
racconta una fiaba
dove non tutti finiscono felici
ma sanno parlare
la lingua dell’oltre.

Posate di desiderio

Ho apparecchiato
la mia tavola di parole:
un cucchiaio
per raccogliere volontà,
un coltello
da affondare nel rimpianto,
una forchetta
per graffiare il fondo,
un tovagliolo
per ripulirmi la coscienza,
e un bicchiere
di follia
da bere con te.

 

Non so chi sarai

 

Non so chi sarai
che scarpe indosserai
calpestando il mio suolo,
non so cosa leggerai
fra le pagine ingiallite
testimoni inzaccherate
di un passato derubricato.

Non so quali porte schiuderai
se sceglierai quelle semplici
che non hanno saliscendi
o quelle a doppia mandata
senza averne il permesso.

Non so se avrai gli occhi
di un colore trascurato
o le mani con le piaghe
da mostrarmi in preghiera
e piangere di stupore.

Non so se nel tuo kit
avrai cerotti di circostanza
o toccasana di cashmere,
se mi toccherai nel profondo
o ti aggrapperai agli orli.

So poco o nulla di te;
per quanto mi riguarda
forse non sei mai nata
ed è per questo
che sono certo di conoscerti.

Nodi


A volte
ti svegli
con un nodo
incastrato
alla gola.

Inutile
lottare:
non si può
inghiottire
un sogno.

Domenica

 

Domenica.
Sono otto lettere e quattro sillabe
che bussano all’uscio
in quelle giornate senza sole
(tanto il sole ce l’hanno dentro)
dove il palcoscenico è degli odori,
dei sapori, di quell’aroma di sorrisi
che dimora sulle rughe,
si accoccola sulle gote,
si cerca negli sguardi
e nei bicchieri di vino.

Domenica e ti senti diverso
hai la faccia di uno
che non ha bisogno di nulla
perché senza chiedere
ti apre la porta il benvenuto.

Domenica e ti senti uguale
a quell’amico che hai lasciato
in fondo ad un arrivederci
arrotolato al suo cappotto
di ricordi e di bambini persi.

Domenica e ti senti strano
perché la vita in fondo
ti vuol bene e ti stima
anche se sembra assente
ma è solo impertinente
vuole essere inseguita
come un gioco innocente.

Domenica è sempre lei
come dicono in TV,
ma tu hai un unico Replay
in cui scorrono i tuoi errori,
ma tu sei felice
perché puoi contarli e vivere.

Se non ci fosse la domenica
dovrebbero inventare un posto
dove l’amico col cappotto,
i sorrisi di una volta,
le tue stupidate
si mischino agli odori,
ai sapori, agli sguardi,
alle rughe e ai bicchieri di vino,
per non lasciarsi mai più.

Ti cerco


Ti cerco
nell’inserzione
perfettibile
dei soli,
nel miscuglio
insondabile
di cromosomi
impazziti
di colori.

Ti cerco
in valigie
allacciate
di addii,
in rintocchi
impercettibili
di rancore,
nel caos
ingovernabile
di solitudini.

Ti cerco,
ma l’arcobaleno
mi sberleffa:
sull’ultimo metro
fugge
verso l’infinito.

Cestino di pensieri

 

Mi piace
raccogliere
pensieri
appallottolati,
gettati via
in fretta,
versi inutili,
quelli di cui
non posso più
fare a meno.

Combustibile

 

Questa sera
ho acceso un fuoco,
avevo pensieri freddi.

Ho capito tardi
che non mi occorreva legna
ma il tuo soffio
per attizzarmi il cuore.

3.12.21

L'attesa dell'alba

 

È di nuovo notte.
Mi aspetta
il tuo sogno
sotto il cuscino.

E poi sarò ancora lì
a pettinare l’alba
con raggi capricciosi
che flettono i vetri
e pensieri birbanti
a spalmarti l’anima.

Ti pregherò di stare
ancora un attimo
a farti baciare
sugli orli
delle nuvole.

Divisione cellulare

 

Raccolgo evanescenze,
corolle d’alba
in cui è dolce
l’abbandono monocromo
in un mare cellulare.

Mi rigenero in te
mia separazione nucleare
estenuante pendolo
oscillante tra i poli
d’un eterno ritorno.

Ampolle di sensazioni


Amare è conservare
ampolle di sensazioni
mutatesi in sogno,
crepe d’argento
svelanti le nostre anime,
ingranaggi perfetti
che scippavano dolcezza,
spalmavano estasi,
guadavano laghi,
scalavano rupi
e poi precipitavano
a spalancare inferni
d’insaziabile bruciare.

Mille coincidenze

 

Mille coincidenze
agganciano in volo
la tua parvenza muta,
e brandelli di pensieri
confliggono latenti
mentre atona mi sezioni
con chirurgica indifferenza,
autopsia dell’anima.

Accarezzo ombre
percorrendo le curve
della tua assenza urlata
fine persecutore
dei tuoi rifugi segreti,
incessante obbedienza
alle sensuali movenze
delle tue divine cellule.

Sfoglio petali assurdi
dai tuoi desideri fioriti
mentre danzi ninfa giocosa
nuda d’essenza di sogni,
vestale d’ineffabile sostanza
grimaldello della mia prigione.

Scivolo infine, succube,
su pendii zuccherini
dove mi assolvo impenitente,
inginocchiato al tuo fulgore,
oasi di travolgente veleno,
unica ed ultima scialuppa,
giaciglio della mia tempesta,
guscio di sole infinito.

Puro caso

 

È stato puro caso
quando hai scovato il chiodo
che teneva appese
le chiavi del ripostiglio
dove avevo dimenticato
i pezzi del mio cuore:
si sono incollati
alle tue labbra.

Correre

 

Correre è un verbo sinergico.
Viene coniugato
in feroce alchimia
tra i cunicoli più reconditi
dove s’incrociano
mente e cuore
polmoni e sangue.

Correre è credere
nello splendido miracolo
che si cela dentro di noi
soffocato e denutrito
dalle miserie della vita.

Correre è cercare sè stessi
quando ci troviamo
in fondo al pozzo
e ci strangola la luce.

Correre è come scrivere
poesie senza fine
quando arrivi e raggiungi
te stesso sfuggito al dolore
e ricominci una nuova storia
dai primi passi, dai primi versi.

Io correrò
fino alla fine del tramonto
quando l’ultima poesia
incendierà il mio passo
e scalerà le stelle.

26.11.21

Segmenti

 

Non esistono figure geometriche
con solo due lati.
Ecco perché
quando due segmenti s’incontrano
non hanno confine
e possono correre insieme
verso l’infinito.

Post-it

 

Avevo dei post-it
in un cassetto di cianfrusaglie,
ragnatele, mozziconi,
bugie e ferite d’arma d’amore.

Ho preso un biglietto,
ma ho pensato cose
che non ho scritto
e poi ho visto le mia dita
che si muovevano di versi.

Lo infilerò sotto la tua porta
dove ne muoiono a centinaia:
non fa nulla, li so a memoria
farò un riassunto
quando non avrò più dita.

Sono solo un poeta

 

Sono solo un poeta
non eseguo rituali
non ho formulari
nè tavoli tecnici
per un futuro ortogonale
nè tocchi da Re Mida.

Non ho ricettari
nè regole semantiche
o labirinti estetici
non ho poltrone
per sdraiare la coscienza
nè tornanti mistici.

Sono solo un poeta
non mi fagocita la politica
mi coinvolge la protesta
non mi seduce l’apparenza
mi sconvolge la dimenticanza
non temo la morte
ma l’appassire del pensiero.

Sono solo un poeta
che passeggia nel dubbio
raccoglie fiori caduchi
e li dipinge di sguardi,

un navigatore di emozioni
con la chiglia sbrecciata
da un corallo maledetto.

Ma la mia prua volge al sole
con il cuore gonfio di vento:
ella si riprenderà la rotta e il sogno
di baciare ad una foce di smeraldo
un fiume impazzito di dolore.

18.11.21

Placenta


La disperazione
è il liquido amniotico dei poeti.

Statua incompiuta

Mi hai scolpito
frugando negli spigoli,
grattando negli incavi,
limando le creste,
liberando dalle segrete
la mia anima nuda.

Poi hai scagliato lo scalpello
frantumandomi il futuro.

Ora non c'è alba
che non mi colga
questuante
la tua ombra
celata in deja-vu,
velata di sogno,
circonflesso di te.

 

La stanza della poesia

 

C’è una stanza
- la stanza della poesia, la chiamo -
dove una parete è nuda.

Solo un’impronta
infrange il bianco inanimato:
forse un quadro o una foto
abitava in quello spazio.

Ora stona quella macchia
di un passato
che non so più di ricordare.

Parigi

 

Parigi
sei più bella ancora
quando la sera
s’apparecchia la pioggia
e la Senna è ubriaca di luci,
i tuoi occhi di nebbia
s’aprono premurosi
sopra gli ombrelli
e il ticchettio dei passi
innamorati sotto la Torre
ti baciano il cuore.

Parigi
sei più bella ancora
quando furtiva
stiracchi i rossi crepuscoli
e porti la luna al guinzaglio
nei viali scintosi
sulle Champs-Élysées
e Baudelaire ti canta
le follie degli amanti.

Parigi
sei più bella ancora
spiata in notturna
dal balcone di Monmartre
in posa maliziosa
come ti guardò Picasso
vestita di chiffon
seducente e misteriosa.

Parigi
sei più bella ancora
quando penso di raggiungerti
sottobraccio al mio sogno
e ballare sotto la pioggia
parlandosi stretti stretti
versandoci amore
nelle pupille della notte.

14.11.21

Crepe


Tra la notte e l’alba
c’è una crepa
dove s’affaccia la tua assenza.

Discrezioni

 

Portami con te:
sarò discreto,
cucirò di silenzio
il mio amore sulle stelle.

Corazza abbandonata

 

Quando esci di casa
consegna il tuo saluto
incartato in un sorriso
passeggia con delicatezza
sui dubbi e sulle paure
che raccogli per la strada
porta sul palmo la pace
e distribuiscila senza risparmio
spogliati della tua corazza
offri il tuo cuore nudo
al mendicante e alla modella
dietro l’angolo ci sarà
un’altra corazza abbandonata
ed un altro cuore ti prenderà in braccio.

Promemoria

A volte penso
che la Luna esista
per ricordarmi
di scrivere ogni sera
una poesia d’amore.

 

Giornata della gentilezza

Come farfalla
in punta di stami
barchetta che tentenna
sulla battigia
come sorriso
su labbra di migrante
rugose mani contadine
come il sole mesto
d’un autunno accennato
come bava di stelle
e l’ultimo saluto
del viaggiatore di versi
come l’amico inaspettato
e il tuo dolore finalmente
compreso e amato

sii gentile - sempre -
e il tuo passo scalerà il cielo.

 

Refrain

 

Mi addentro
tra fogge di ricordi
infiniti slalom
e lacerati fianchi.

La luce è lì
fodera lo sguardo
sei distesa
nei miei desideri.

Lambisci le mie sponde
suggendo vita.

9.11.21

Il sole in tasca

 

Quel giorno
che ti ho incontrato
in fondo a quel vicolo buio
non mi sono accorto
che mi avevi infilato
il sole in tasca.

6.11.21

Cosa resta di me

 

Cosa resta di me
se non un verso imbellettato
raffazzonato
sul ciglio del meriggio,
un fregio monastico
inchiodato
sul portone del tramonto.

Cosa resta di me
se non un fuso alambicco
miscelato,
un crogiolo di alfabeti
capovolto
sul rovescio di luna.

Raccolgo mesto
i farfuglianti vortici
di uno sferzante pensare,
aggrappato mio malgrado
a vetuste falsità
e nuove irruzioni di Nulla.

Borchie dorate
ornano grigie transizioni
dove sfoglio le pagine
di un presente acciaccato.

La mia anima è fuori,
è oltre, è più in là:
cerco di inseguirla
rianimando la giostra
dove gioca la poesia.

Novembre

 

Vortici di foglie
frullano la terra
tra pensieri fruscianti
e fischi di vento.

L’erba risale il parete
e rami desolati d’ali
invocano preci disfatte
ad un cielo incolore.

Avverto il tuo greve passo
fuligginoso novembre,
esperto di malinconia,
umido di terra sconfitta.

Dietro la porta sbarrata
ululano brividi come lupi
concerto di silenzi,
cocktail di presagi.

Solo il cuore accende
potenti fari nel buio:
sui suoi raggi m’involo
e la notte parla d’amore.

La leggenda di Nera e Velino (La Cascata delle Marmore)

 

Dove sei mio amore?
Ora sono acqua di fonte
bambina trasparente
zampillo da candida roccia
scorro recondite fenditure
circondo cespugli di rose
attraverso valichi ondulati
esploro ogni pertugio.

Dove sei mio amore?
mi frango solinga
ruzzolo incurante
di spigoli e tagli
ti cerco fra i rovi
tra le anse celate.

T’immagino affranto
e infine precipito
schiuma di sole
schizzo di vento
t’aspetterò alla foce
terra umida di sogni
lago d’amore infinito.

Per te

 

Per te
scrivo scarabocchi di stelle
su lavagne di cielo.

25.10.21

Parti con dolore

 

Le poesie
sono partorite con dolore
cesarei tagli
al ventre dell’anima
cordoni ombelicali
che suggono sogni
rendezvous di emisferi
dove sorgono cuori
incartati d’amore.

Colazione di te

 

Seduto
all’ombra del tuo sorriso
m’accorgo divertito
delle briciole di cialda
che un tovagliolo distratto
ti ha risparmiato sulle labbra.

Tu con le gambe rannicchiate
fai colazione con la mia vita
sbocconcelli il mio cuore
a piccoli morsi impertinenti.

Mi sorprendi ogni mattina
profumata di caffè
una ciambella seducente
farcita di poesia.

Una spruzzata di cacao
ti colora la guêpière
chiudendo le mie fantasie
e la giornata plana sui colli
offrendo un senso al mio andare.

Grammatica divina


T’inseguo cocciuto
su tornanti sillabati
avvitando versi
d’amorose consecutio.

Varco trappole sdrucciole
ossimori ed antitesi
anafore e metafore
imponendo estatici accenti
su pindarici balzi.

Sei la mia grammatica divina
fertile, avida, mai sazia
per te saccheggio Babele
coniugo verbi all’infinito
invito al ballo desinenze
per viverti in volo
e cantarti per sempre.

Gabbiano di luce

 



Se qualcuno ti ha ferito
sparando ad altezza d’anima
il tuo petto di poeta
fatto di cellule di sogni
si è fatto attraversare
e ha liberato il gabbiano di luce
che ora impara nuovamente a volare.

I viaggi del poeta


Il poeta
ha il timone di un’astronave
che fa a gara con la luce
incrocia a volte il Capitano Kirk
avvista il mantello rosso di Superman
si rincorre con Peter Pan

ma a volte truci asteroidi
sorgono dall’ignoto delle galassie
oscurando i soli interstellari.

È il momento di fare rifornimento
dell’unico propellente
che accende l’Universo,
massaggia le ali,
rifocilla i sensi
e proietta lassù
dove una panchina di rose
fa accomodare gli angeli
che discutono d’amore.

9.10.21

La libraia

 

Un giorno come gli altri,
diverso e uguale agli altri
mi persi in un borgo malfamato
era buio, ruvido e secco
come un’anima incartata.

Mi trascinavo per vicoli aguzzi,
sbattendo sugli spigoli,
sbucciandomi la coscienza,
appoggiato a muri parlanti,
inseguito da ombre a cavallo.

Una lucina mi sorrise pietosa
in fondo ad una botte vuota
sconfiggendo ragnatele alacri,
e allora cercai di raggiungerla
con una mano sul petto del tempo.

Un bugigattolo con tre scalini
e cigolando la mia vita s’intrufolò
in quel ripostiglio di carta
dove m’inghiottì una calma dolce
e un calore di pace sfogliata.

Libri, tanti libri in ogni dove,
accatastati, inginocchiati,
preganti, urlanti e vincitori.
E poi ti vidi seduta sui paragrafi
un pince-nez premuto sul mio cuore.

“Ti aspettavo all’ultima pagina”,
mi dicesti e il tuo sorriso saltò fuori
rigando i fogli dell’Indice.
“Un libro è una cosa meravigliosa,
ma io ti proporrei un miracolo”.

E allora presi in petto quel dono
bevendo avidamente ogni sillaba.
Quel libro narrava di emisferi alati
di gioie vestite di vento, di rose
di Picasso, Van Gogh e Leonardo.

Quel libro parlava di note primordiali
di Beethoven, Vivaldi e Strauss
era plasma di sogni accessibili
giochi all’infinito, poesia di strada.
Quel libro partoriva ad ogni capoverso.

Non ci misi molto tempo,
forse un occhiolino di farfalla,
ma la sfera rotolava da un decennio,
la parola FINE tirò il freno a mano
e precipitai nel mondo a piedi scalzi.

Non c’era più nessuno nel vuoto:
i libri assuefatti allo sparpaglìo,
l’aroma intenso della carta nell’aria,
i tuoi pince-nez piangevano a terra
irridendo la mia inutile saggezza.

Non ho più ritrovato quella libraia
e il suo magazzino di prodigi,
ma quei fogli macchiati di sole
sono fissi sul leggìo dei miei anni
e continuo - incredulo - a sfogliarli.

Oh autunno!

 

Oh autunno
sudario delle mie passioni
diga delle mie tempeste
argine insensato
alla mia follia bulimica
ignifuga crudeltà
al fuoco dei miei vulcani
divarica, ti scongiuro,
le porte dell’inferno
affinché io possa ancora
bruciare di eterno amore!

Ispirata dal romanzo "Life" di Teodoro Fuso

 

Fu così che la vide.
Disegnava cerchi nell’aria
con le mani giunte
genuflessa ad un dio pagano.

Volteggiava nelle sue pupille
che, inerti al gioco dei sensi,
la seguivano illuminate
dalle sue movenze ritmate.

Sembrava saltare leggera
sui tasti di un pianoforte
che insinuava musica celeste
nella sua mente abbacinata.

E il suo mento dondolava
inebetito da tanta bellezza.
S’innamorò di quella sequenza
di quel fruscio bianco di vento
che gli soffiava sulle guance,
di quel profumo di vita
che gli frullava l’anima.

Spense la luce dei pensieri
e si lasciò germinare rose
da distribuire su quel corpo
affusolato di stelle
quando le avrebbe chiesto
di danzare per sempre
sul tappeto del suo cuore.

27.9.21

Remigio Ferretti 25 settembre 1921

 

Caro babbo
oggi è per te un compleanno speciale. Ma non per un numero particolare di anni. Non è certo un contatore che può regolare il ricordo di un genitore. Questo parametro può valere per la tua storia pubblica, per quello che sei stato per la città, per la scuola, per la cultura. Ma per me sei il mio babbo con il quale avevo una storia da risarcire. Paradossalmente o - forse qualcuno mi dirà che accade spesso così - da quando te ne sei andato, sei uscito dalla porta della tua vita e sei entrato dalla soglia della mia. Eravamo troppo orgogliosi, troppo convinti delle nostre idee, troppo insofferenti a ricatti affettivi per cedere ad armistizi artefatti. Tu non volevi un figlio comunista ed io non accettavo un papà democristiano. Siamo rimasti nelle nostre Chiese. E ci siamo accorti entrambi in ritardo che la politica e la poesia sono percorsi antitetici. Si la poesia. È su quel terreno che ci siamo incontrati pian piano dopo la tua partenza. Io da subito ti avevo fatto due promesse. Che avrei pubblicato postumo il tuo ultimo libro di poesie - fatto - e che mi sarei impegnato a che la città avesse un ricordo perenne del tuo nome, con una via a te dedicata - fatto. Perché di amore si tratta. La poesia è dare un linguaggio - continuamente insufficiente - all’amore in tutte le sue forme possibili. E tu lo facevi in modo epico. Così mentre la mia vita mi ha privato di quasi tutto quello che un adolescente può avere da un rapporto con il padre - e che padre - la poesia me lo sta restituendo. Ogni giorno parlo con te babbo. Ti chiedo consigli, se una cosa è moralmente corretta, se sto compiendo un’ingiustizia o un errore madornale. Sento i tuoi rimproveri, tranquillo. Ma sono preda della mia sensibilità e del mio romanticismo. Ed in parte è anche colpa tua dai, ammettilo. Ecco perché mi perdoni. Mi hai spremuto un pò di succo di DNA nella miscela della mia chimica vitale. Quando mi colpisce qualcosa del mondo con cui interagisco, entra nel profondo e mi mette la penna virtuale tra le dita. Ma ho sempre la sensazione che sia tu a scrivere. Quando rileggo il risultato non lo riconosco, penso di esserne incapace.
Ecco perché questo è un tuo compleanno speciale per me. Non per aridi numeri ma perché il caso (?) ha voluto che fosse l’anno in cui ho pubblicato il mio libro di poesie. A te dedicato, e come non poteva essere così?
Ti vedo festeggiare in qualche parte dell’universo. Con mamma, a cui devo l’altra parte del mio DNA, quello “tosto”. E i tuoi amici, quelli affezionati del Caffè Rudy, a cui stai dicendo “Lui è mio figlio!”
Grazie babbo ancora per tutto. Tanti auguri!
Cin cin!
il tuo Ferruccio.