12 febbraio 2013

Bersani come Depretis?


Per il PD il tempo delle scelte definitive e consolidate sul terreno di una consapevole costruzione di valori fondanti e non negoziabili, quello che un tempo si sarebbe chiamato “sovrastruttura”, non è più venuto, e, alla fermata di questa remota e sperduta stazione, attende invano un popolo confuso e distratto. Il rollio ed il beccheggio della nave PD ormai affliggono di mal di mare quella fetta di elettorato che non volendosi più identificare con ciò che “non si è”, fatalmente si rivolge all’oblio dell’astensione o a confortevoli sponde neocentriste, che, della “non scelta” finalizzata a saltare sul carro vincente, hanno fatto la loro filosofia esistenziale. Ben più convinte sono le schiere di chi, con bronzee fattezze, dichiara di “essere” e di esistere esclusivamente per i propri interessi, catalizzando così facilmente coloro i quali sono abituati a ragionare con la mano dentro il proprio portafoglio, vuoto o pieno che sia. In Italia siamo passati dall’epoca in cui la difesa oltranzista dei propri valori, schierati frontalmente sul confine Est-Ovest, provocava storture e devianze di ogni tipo, ad un’epoca in cui tutto si annacqua e si liquefa al contatto viscoso del Dio-mercato. Fin quando ha retto un sistema industriale e consumistico virtuoso, integrato con una fiscalità improntata alla redistribuzione del reddito ed ancorato ad una solida impalcatura di diritti e welfare, tutto andava bene e chi ci perdeva erano solo i poveri del terzo mondo, così lontani da rassicurare i nostri egoismi. Ma quando la classe media, sotto i colpi della crisi aggravata, ma non causata, dallo scoppio della rendita finanziaria, è scivolata verso il basso, questo tracollo ha svelato nella sostanza un modello di sviluppo inacidito e irreparabilmente bacato. La sinistra (mi scuso per questi termini desueti) diventata costola e terreno di conquista del centro bancario-affaristico, non ha saputo recuperare un centro di gravità che consentisse di guardare verso il futuro e ha deciso di scartare il cannocchiale del progetto a favore del più comodo e sbrigativo microscopio del tatticismo. La sinistra radicale ed antagonista si è macerata e suddivisa nella miserevole ricerca del metro quadrato da difendere ed occupare con tanto di bandiere e logotipo. Vendola e Sel hanno operato una scelta coraggiosa ma, ahimè, facendo i conti senza l’osteria che cambia padrone, ma non gestione.
Non sorprende quindi che la battuta di Monti, “PD nato nel 1921”, abbia suscitato tanta reprimenda. Il PD è un partito che si sente moderno e sempre sul pezzo. Per Bersani sentirsi apostrofare “vecchio comunista” è stato insopportabile. D’impulso si sarebbe potuto replicare che era come se Monti avesse dato al cardinale Bagnasco del “vecchio Inquisitore”, ma questa forse è un’altra storia. Sarebbe stato interessante invece, ricordare che l’Unione Liberale, background che il nostro Premier dice di possedere, fu fondata da Camillo Benso Conte di Cavour qualche anno prima, nel 1859. Il problema è che sembra sia diventato un assioma che “vecchio” = disdicevole. A proposito di Cavour. Gli storici fanno dello statista piemontese l’ideatore di quella prassi secondo la quale i partiti politici fermi su posizioni contrapposte possano, in circostanze propizie, coalizzarsi su temi rilevanti, tagliando così le radicalità estreme portatrici di impeti ed istanze inconciliabili col “bene comune”. L'espressione stessa “connubio” (sinonimo ironico di “matrimonio”), indica l'accordo politico del febbraio 1852 tra due schieramenti del Parlamento Subalpino, quello del Centrodestra, capeggiato da Cavour, e quello del Centrosinistra guidato da Urbano Rattazzi. Le basi dell’intesa furono assai semplici: abbandono delle ali estreme del Parlamento, sia di destra sia di sinistra, e confluenza del Centrodestra e del Centrosinistra su di un programma liberale di difesa delle istituzioni costituzionali e di progresso civile e politico. Non vi ricorda qualcosa? Furono i prodromi di quella malattia nazionale il cui virus iniziò a diffondersi nel 1882: durante il governo di Agostino Depretis gli esponenti più progressisti della Destra entrarono nell'orbita della Sinistra. Venne così a crearsi un nuovo schieramento centrista moderatamente riformatore, che bloccava l'azione delle ali progressiste più radicali nel Parlamento. Benvenuto il trasformismo. Da allora gli italiani iniziarono a sospettare che non valesse più tanto la pena continuare a fidarsi delle “idee”, ma che forse era più produttivo affidarsi agli uomini… “forti”. Fascismo transeat. La purificazione nella Resistenza, la nascita dei nuovi partiti e i blocchi contrapposti riportarono la bussola della politica sull’importanza dei valori. Poi, come detto, le ataviche propensioni fortemente corroborate dalla corruzione della casta, hanno avuto di nuovo la meglio e la personalizzazione della politica ha di nuovo occupato il centro del palcoscenico. Le contrapposizioni tra berlusconisti (uno solo in capo) ed anti-berlusconisti, finti o autentici (tanti capetti) ci hanno composto la colonna sonora più stucchevole degli ultimi vent’anni. Il problema è che a questo gioco c’è qualcuno più bravo e tutti gli altri sono copie sbiadite. Lo stesso strumento delle primarie per scegliere il leader, gratta gratta, non è altro che un’ennesima abdicazione della forza e della pregnanza dei contenuti sull’altare del carisma e della penetrazione mediatica. Che significato ha mettere a confronto candidati che alla fine dovrebbero avere la stessa visione del mondo e del progetto da presentare, contro la coalizione avversa? Matteo Renzi è il paradigma di questa deriva. Il suo incedere da movida, altezzoso, puntellato di slogan pseudo-moralisti, i suoi effetti speciali hi-tech, gli scioglilingua oscillanti tra il buon senso della massaia e l’arroganza del “sotuttoio”, ne fanno un contraltare del Berlusca convertito alla new wave. Aver fondato il suo successo sulla “sindrome della notte di Capodanno” ha nascosto la pochezza dei suoi contenuti. Se lavorasse alla Apple avrebbe fatto fortuna con un'applicazione dedicata: I-rottamo. A conferma di ciò i suoi più famosi méntori Ichino e Gori sono ora uno transfuga e l’altro auto-rottamato. E anche sullo scenario monopolitano non mancano emuli e cloni entusiasti. Ora tutti si dichiarano a parole contro la personalizzazione della politica. Tutti. Quelli che hanno tolto il nome e quelli che si sono intitolati la lista. Quelli che si accampano in TV e quelli che la ripudiano. 
A proposito: attenzione, questa volta al gioco sta partecipando qualcun altro che ci sa fare.

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