26.3.25

Il parco e l’altalena



C’era un’altalena
annodata ai profumi
di un parco antico.

Penzolava attraente
verso sguardi curiosi
e braccia smanicate.

Defilato e trasparente
attendevo anch’io
con sommesse vibrazioni
di vedere il primo salto
su quel sedile di legno.

Furono dei capelli
dal colore di corteccia
che si agitarono
capricciosi sulla schiena
e vidi partire la rincorsa.

Dolci erano gli ondeggi
con le materne spinte
in un trionfo di sorrisi
e la manina sollevata
a fare ciao alle nuvole.

Volli accostarmi
a chiedere con lo sguardo
un segno d’intesa
per aiutare anch’io
a prendere in giro le rondini.

Il mento si abbassò,
il sorriso si divise,
raccontai una storia
di fatine ed aquiloni
e per qualche minuto
il parco ammutolì.

È passato tanto tempo
il parco non c’è più
e nemmeno l’altalena:
oggi c’è una donna
che non ricorda più
e mai ricorderà
chi giocò con lei
in un balbettio
di primavera.

23.3.25

Scritture brevi: Il vecchio molo



Era la fine di aprile. In quel periodo il suo paese si gode lo spettacolo di una primavera in trionfo e di un’estate in embrione, che si prendono sottobraccio come vecchie amiche, scambiandosi i loro migliori doni: i profumi della natura in festa, deliziati da una temperatura gradevole, da apprezzare in una rarefazione di moltitudini.
Il giorno di festa lo sospinse verso il mare.
Il suo luogo preferito era un vecchio molo abbandonato, dove un tempo approdavano mercantili, circondato da una larga cala protetta dal maestrale. Stese il suo telo sulla liscia superficie di cemento e si sedette comodamente in un silenzio surreale. Il sole aveva preso possesso del cielo come un antico feudatario medievale, scalciando via ogni tentativo di nuvole. L’aria era avvolta da una calura inebriante. Il mare aveva apparecchiato una tavola trasparente, sulla quale qualche timida onda si limitava ad accarezzare gli scogli, dove i granchi sgambettavano pigramente. I gabbiani sembravano volare d’inerzia, come cercassero comode amache da occupare con le ali aperte per abbronzarsi.
Da qualche giorno era depresso. Aveva la sensazione che l’amore della sua vita fosse nella fase terminale. Non aveva bisogno di riflettere più di tanto su cosa stava accadendo per una ragione ben precisa: era certo, per com’era la sua indole, che qualsiasi decisione avesse preso, avrebbe finito per distribuire sofferenza sulle persone intorno a lui e i relativi rimorsi lo avrebbero inseguito incessantemente. Sarebbe accaduto anche ove avesse deciso di non decidere. Questo peso lo opprimeva come un macigno sul torace.
Si distese sull’asciugamano e indossò gli auricolari. La musica da sempre aveva il potere di trascinarlo lontano. A volte la cercava per distrarsi. In altri casi per infossarsi ancora di più nel dolore, per escoriarsi l’anima, cercare redenzione o farsi scomunicare dalla vita.

“𝙄 𝙛𝙤𝙪𝙣𝙙 𝙖 𝙡𝙤𝙫𝙚 𝙛𝙤𝙧 𝙢𝙚 𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙙𝙞𝙫𝙚 𝙧𝙞𝙜𝙝𝙩 𝙞𝙣”.

Le note entrarono nei suoi padiglioni con la forza di un ariete. Quella canzone era ormai una hit tra le più conosciute e, come spesso accade, il suo stesso successo la ridimensionava in originalità e trasporto. Ma la musica ha una connessione stretta e dirompente con i momenti topici in cui viene ascoltata. E questo, per lui, era uno di quelli.

“𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙠𝙞𝙨𝙨 𝙢𝙚 𝙨𝙡𝙤𝙬, 𝙮𝙤𝙪𝙧 𝙝𝙚𝙖𝙧𝙩 𝙞𝙨 𝙖𝙡𝙡 𝙄 𝙤𝙬𝙣”.

Il suo cuore iniziò ad accelerare, inciampando e ingolfandosi come un’auto che passasse repentinamente dall’asfalto allo sterrato. Gli si materializzò il volto di lei, sorridente, chino su un orizzonte ignaro e inondato di luce. Il sole intuì di essere d’impaccio e richiamò velocemente un cirro d’emergenza. Ebbe anche la sensazione che i gabbiani, educatamente, scansassero quello spaccato di cielo per non interferire con la sua proiezione.
Pensò che l’amava, oh si! L’amava davvero tanto e non voleva perderla.

“𝙊𝙝, 𝙗𝙖𝙗𝙮, 𝙄'𝙢 𝙙𝙖𝙣𝙘𝙞𝙣' 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙖𝙧𝙠 𝙬𝙞𝙩𝙝 𝙮𝙤𝙪 𝙗𝙚𝙩𝙬𝙚𝙚𝙣 𝙢𝙮 𝙖𝙧𝙢𝙨 𝘽𝙖𝙧𝙚𝙛𝙤𝙤𝙩 𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙨𝙨 𝙬𝙝𝙞𝙡𝙚 𝙡𝙞𝙨𝙩𝙚𝙣𝙞𝙣' 𝙩𝙤 𝙤𝙪𝙧 𝙛𝙖𝙫𝙤𝙪𝙧𝙞𝙩𝙚 𝙨𝙤𝙣𝙜”.

Gli venne in mente che aveva sempre desiderato una cosa che non si era ancora potuta materializzare. Voleva ballare con lei un lento come si usava negli anni ‘70, interminabile, guancia a guancia, con i suoi capelli che gli finivano negli occhi, baciandole i lobi delle orecchie, e mormorandole cose ridicole, sconclusionate, poesie di bambini.
Ormai piangeva a dirotto e i gabbiani disegnavano ghirigori in quello spazio vuoto dove si era dissolto il sogno.
Si tolse gli auricolari e notò che il sole aveva riconquistato il suo incontrastato dominio.
Era solo, aggrappato a quel vecchio molo, dove un tempo poderosi natanti avevano ghermito la terra, mentre ora la sua fragile barchetta stava lentamente prendendo il largo verso un misterioso destino.

2.3.25

Scritture brevi: Il giardiniere


Van Gogh: Il giardiniere


“Stai tranquillo”, mi dicevano. E questa cosa, per di più, la leggevo da tutte le parti: sui biglietti dei baci Perugina e tra i versi dei poeti famosi. E forse avevo iniziato un pò a crederci.
Sarà così: Il Tempo ha le sue proprietà taumaturgiche.

“Arriverà ogni giorno come una brezza delicata e un pochino alla volta ti si sfocherà tutto”,

come quelle pellicole Super 8 che giravano sui proiettori decenni fa. E come succede per i “mantra”, la norma non vale per tutti, o forse per pochi o nessuno. Chissà.

Allora io ho provato ad immaginare il Tempo nelle sembianze di un abbronzato giardiniere che un giorno viene a far visita.


- Salve! Come va? Le serve qualche lavoretto?
- No guardi, non credo proprio.
- Sa perché glielo chiedo? Passo spesso di qui e ho notato che il suo terreno è da anni pieno di buche.
- Ha ragione. Ma non ho la forza e neanche tanta voglia, forse, di riempirle.
- Senta, io sono un esperto imbattibile in queste incombenze. Mi chiamano tutti - a volte m’invocano - per provvedere a ricoprire vuoti che, a parte l’aspetto estetico, possono divenire ricettacolo di indesiderabili conseguenze.
- Dice davvero? Lei ha così tali competenze da svolgere in modo semplice ed indolore questo lavoro?
- Assolutamente. Non se ne pentirebbe e mi ringrazierà per aver riportato il suo terreno nelle condizioni ottimali per andare avanti.

Dirò la verità, queste parole mi facevano riflettere. Un giardiniere di quell’esperienza avrebbe potuto fare al caso mio. Quelle buche sarebbero state riempite ed io non sarei stato più costretto a fare giri larghi ogni santo giorno, per scansarle e non doverle incrociare per poi stare a rimuginare.

- Va bene, accetto la sua proposta. Quando intende iniziare?
- Anche subito, se è d’accordo.
- Certamente, prima si incomincia e prima si finisce.

Pausa.

- Allora? Cosa sta aspettando?
- Eh! Mi deve dare gli attrezzi!
- Cosa? Ma che razza di giardiniere è lei? Si presenta senza attrezzi?
- Ascolti, per questo lavoro io ci metto la manodopera fatta di lentezza e accuratezza, non lascio fastidiosi residui, ma lei deve crederci davvero e fornire la necessaria collaborazione.
- Ho capito. E se io non avessi gli arnesi che servano allo scopo?
- Guardi bene. Ce li hanno tutti. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, se li procuri. Deve dimostrare che davvero ci tiene, altrimenti io non posso far nulla.
- Così lei mi sta dicendo che io, in fretta e furia, dovrei affacciarmi alla prima ferramenta e raccattare le prime cose che trovo? Mmmm…sa che le dico? Lasci stare quelle buche. Ormai sono storia e parte della mia terra. E poi, chi mi dice che se le facessi ricoprire non ne vengano poi fuori altre, meno profonde, meno perfette, meno vissute? No guardi, laggiù in fondo a quelle buche, scavando, è venuto fuori quello che sono ora, il vero me stesso. 
- A lei la scelta, io le ho fatto la mia proposta. Mi stia bene.
- Arrivederci.
- Addio.