16.4.22

Carro armato d'amore

 

Che sia davvero primavera
sulle foglie rinvigorite
sui boccioli esitanti
sui prati come guanciali

che sia gioco di passi bambini
polline d’api, silenzi da respirare

che sia poesia planante
storie di saggi rugosi
seduti sulle soglie
del tempo andato

che sia tiepida brezza
spirante su esausti pensieri

che ci sia un solo vincitore:
un carro armato d’Amore.

Paura di donare

 

Scosto le tende
sbirciando
lampioni tremebondi.

Figure sottili
strisciano suole annoiate
e sotto cappelli di circostanza
flette la vita inumidita.

Attendo
che la paura svanisca
perché il mio dono
non sia nè parziale
nè occasionale.

Voglio sentire
di nuovo le campane
ansimare di rintocchi,
fuochi pirotecnici
punteggiarmi di colori
e le nostre mani unite
giocare col profumo dell’alba.

Il tuo bacio alla luna

 

Alla luna
manca
un pezzo.
Lo ha rubato
un tuo bacio.

Ha la fronte rugosa
concentrata
sulla la tua bellezza
mentre nuda
ti distendi
sulla notte.

Invito a cena

 

Hai perduto
un fazzoletto di mare
per farmelo raccogliere:
ho invitato
a cena il tramonto
e la collina
ha sorriso.

Baci di roccia

 

Attendono cento,
mille,
ventimila anni.

Ma poi si congiungono
nel loro sogno di pietra,
roccia plasmata
d’argilla e meraviglia,
labbra di terra,
lingue avvitate d’eterno.

Ispirazioni

 

Il tuo cuore
incespica
sul bordo
di una poesia
incompiuta.

Afferra il volo
di un gabbiano
chino sul sole:
lui conosce
il ritmo della vita.

Le parole che non ti ho detto (*)

 

Le parole che non ti ho detto
mi rotolano addosso
sono insieme giostra di venti
e fila tortuosa alle pendici del forse.

Sono scritte in lingue arcaiche
navigano mari e irridono tempeste
scagliano frecce al cuore del tempo.

Le parole che non ti ho detto
sono io - sei tu - siamo noi - perduti
in un labirinto di urla scomposte
ammucchiate in un cestino di stelle.

Sono ogni centimetro di pelle
ogni maledetto centimetro di pelle
che era fuoco e più del fuoco.

Le parole che non ti ho detto
sono vocabolario di Calliope
sprofondate in civiltà sepolte,
annegate negli abissi di Atlantide.

Sono il mio rosario del dolore
abitano nel Regno di Utopia
sono chiavistelli del Paradiso.

Le parole che non ti ho detto
mi rincorrono ogni giorno
marchi di fuoco sulle spalle
avidi sorvoli di avvoltoi affamati.

Sono megafono degli angeli
le porterò in viaggio sottobraccio
e ne farò tappeto di rose.

Le parole che non ti ho detto
hanno casa in una bottiglia
la corrente le porterà a riva
in un domani già passato.

E tu ripeterai per sempre
le parole che non ti ho detto
fanne giaciglio, arca, eden,
fanne costellazione perenne,

fanne ghiaccio, rovi, bocca
fanne rosse bolle di sapone
e fuochi d’artificio per infiammarci
in fragorose esplosioni d’eternità.

(*) Dal film di  Nicholas Sparks

Perchè poeta?

Sulla mia veranda
un soffitto intermittente
buca un cielo ossuto
dove sparpagliate
ruzzolano vorticose
falene impazzite.

Parapetti di marmo
accolgono gomiti esausti
e scalano domande
la cui inevasa morte
spira col vento della notte.

Il tempo che si ferma
è peggior condanna
di quello che fugge via.

Blocchi di tormento
piantati nella memoria,
elastici che frustano
la schiena dell’anima,
versi che volano -si -
ma lo spazio a volte
è nero di pece
e gravido di mostri.

Perché mi hai fatto poeta?
Rispondimi cielo perverso!
Avrei preferito restare cieco
e non essere rapito
dalla morte delle stelle:
esse scoppiano d’amore,
si fondono nel Nero
e da loro nascono mille soli
e nuova vita nell’universo.

Recensione della silloge "Versi a pezzi" di Lucia Pavone

 

Passeggiavo con l’animo curioso e concentrato fra le prime pagine della “casa della poesia” di Lucia Pavone e, ad un certo punto ho sentito come degli aghi conficcarsi nei circuiti neuro-sensibili e un senso di vergogna per quello che può accadere ad un essere umano nel germoglio della sua identità, in quanto donna, in quanto fragile, in quanto succube, in quanto vittima. Tanto che, virtualmente a testa bassa, sono tornato alla prima pagina, e togliendomi le scarpe come un umile servo di Allah, ho ripreso daccapo la lettura. Questa volta intendendo immergermi completamente per condividere in sinergia quel breviario del dolore che mi si presentava via via davanti. Breviario perché questi “versi a pezzi” sono stoccate lancinanti, fendenti chirurgici, ustioni lente di cera fusa che lacerano nel profondo.

“Ho avuto solo pietre./Appuntite e taglienti/ho costruito così il mio castello” dichiara “la poeta” come predilige dichiararsi Lucia - acutamente - poiché non è necessario stiracchiare e sessuologare il termine per sottolineare una differenza inutile per chi ha il dono della creatività.

Queste stanze della casa sono buie come in una cripta alle cui pareti, illuminate da fioche candele, delle teche conservano rattrappiti ricordi di un tempo rubato alla spensieratezza dell’adolescenza.

“Ho mangiato l’acqua a morsi/ho bevuto parole taglienti”.

Però alla fine: “Come un seme sono germogliata”.

E sono passato con sollievo in un’altra stanza della casa: Lo stupore.

Come una non vedente acquista improvvisamente un senso fino ad allora sconosciuto, Lucia si aggira quasi incredula in una sorta di parco naturale dove scopre gli incanti della natura. E precipito, da lettore rinfrancato, in questo paradiso terrestre dove ci sono solo colori, profumi, cinguettii e ronzii. Albe, tramonti, cielo e mare, luna e stelle, l’inno alla vita che rotea e sfrigola di felicità diffusa. Persino il temporale viene accolto con ardore e lei - la poeta - è in simbiosi con gli elementi scatenati con il bellissimo verso: “sono suono e sono luce/in un asincrono unisono”. La stanza è completata da qualche spunto riflessivo: “In silenzio/insegnami ad andare./Piano e dolce assaporando ogni passo./Al buio o in piena luce,/purché sia lento./Così voglio essere/parte del tempo. Ma subito ci iniettiamo adrenalina con Tempo teso dove i panni stesi al vento prendono vita in un gioco rutilante d’azzurro.

Nella stanza del Coraggio è evidente la presenza di una maggiore consapevolezza di sè, frutto di un’autostima coltivata e fiorita sulle esperienze che hanno segnato il passato e di una forza interiore che la poesia stessa ha fornito di trampolino. “…apri quella porta/che ti vede reclusa al mondo./Aprila e vola,/mostrati fiera al sole/perché sei splendida/esattamente come sei.” Altre testimonianze, la lirica “Il tempo per me” dove l’urlo dell’autrice diventa vento salvifico, “Inzuppata di felicità” e “Anima egoista”, lapidaria e veemente.

Nella stanza delle persone e i personaggi, alla stregua dell’Antologia di Edgar Lee Masters, si tratteggiano alcune emblematiche figure nella sfera degli ultimi, degli umili, dei dimenticati, ma anche di artisti. Stupendo ritratto quello della barbona - “Sei nulla./Un nulla che mi strazia./Sei la fessura/da cui si vede il cuore della gente./È spento.” - e dell’”Operaio senza casa.

Nei luoghi nel tempo Lucia ci porta in giro con sguardo variopinto sui posti dove ha lasciato pezzi di cuore. Si nota qui come i cinque sensi si mettano ubbidienti al servizio del sesto che elabora e trasfigura, coglie e mitizza, afferra e sublima. Stupende “Ercolano” e “La danza di Venere - Erice.

Nei miti e le memorie lo sguardo dall’esterno passa a scandagliare la spiritualità e il sussiego emotivo che emerge dai simboli della fede e dei legàmi filiali.

La stanza della malattia, malefico evento pandemico da lei vissuto, non ci fa tornare indietro nell’anticamera del dolore, come ci si potrebbe aspettare. Certamente il tono è cupo e gelido. Ma la forza descrittiva del Male è talmente minuziosa che quella che viene fuori è una potenza dialettica che ha forse ucciso il male stesso, sconfiggendo il suo mistero che ha impegnato fior di scienziati per mesi e mesi. Lucia si è continuamente radiografata, inseguendo il suo persecutore in tutti gli angoli del suo corpo e alla fine costringendolo alla resa. E festeggia “con ghirlande di spuma/e cieli d’acqua.”

Infine nelle parole non dette si evince quella che per i poeti è una costante. Cioè quella particolare patologia per la quale in alcuni casi le parole diventano come polvere sospesa nell’aria che non si riesce ad afferrare. L’anima compie balzi vorticosi, plastici, erculei, ma le parole sono fumo, simboli onirici, miraggi.
E gli “alcuni casi” sono quelli in cui il cuore batte un colpo e si fa strada a gomitate tra la folla dei ragionamenti. In quei casi il poeta e la poeta combattono per la vita dei propri versi perché possano prendere la direzione desiderata, il volo per il vertice, lo spunto per l’eternità.

E le cerchi ancora queste splendide parole l’Autrice!!! Questo l’augurio che noi lettori lanciamo, certi che ella tornerà ancora a dipingere altri splendidi spicchi di meraviglia sulla tavolozza del nostro vivere.

5.4.22

Il sorriso

 

Il sorriso non è del corpo,
attiene a meccaniche celesti,
è amnesia mistica
che arrotonda spigoli
livella falsopiani
cauterizza e disinfetta.

Il sorriso è enfasi divina,
idioma degli angeli
allineamento di pianeti.
Il tuo sorriso è avvinto
alla terra e al fuoco
e ha vinto.

La viaggiatrice

 

C’è un tintinnio di tazze
nell’aria pigra del mattino
un arrendersi di giochi
di flanella e pelle.

La mia donna è nel caffè
centellinato guardandole i fianchi
e la smorfia sul finale di Bronte.

Poi un divincolarsi di risa
un dare gas all’avvio
di una giornata qualunque
di un tempo qualunque
e le mani che si stringono
a distanza senza fatica.

La mia donna
ha un talento
per non avere talenti
perché è l’eccellenza
nel mettere in ordine
piccole cose come i pensieri
inanellati di poesia,
verniciati di fluorescenze,
imbevuti di genialità.

La mia donna
vede la polvere
sul mio lobo temporale
e la spazza via solerte:
adora la lucentezza
del mio sorriso pulito.

Ella viaggia tanto
sorpassa sistemi stellari
aggancia code di comete
e non consuma batterie
è vicina pochi anni luce:

ma io la tocco ogni notte
dorme sotto il mio cuscino.

Lo sguardo dei poeti


Lo sguardo del potere è ristretto.
Lo sguardo dell’umanità è limitato.
Lo sguardo dei poeti è sconfinato.

Lo sferruzzare di luci
su telai di cielo
è amplesso di purezze
e ricama punti di prodigio
sulla tazza di terra e mare.

Vorrei scostare la realtà
e guardare oltre
dove si chiude la circonferenza
del mistero che incrocia il sogno.

Sole timido

 

Se il sole è timido
non vuol dire
che non sarà una bella giornata.
Infondi coraggio
all’alba che preme dentro di te.

Sei fradicio di pioggia secca:
scrolla le spalle,
sii spirito marino,
sempre in movimento,
trasparente, generoso,
le onde spalancate come braccia.

Espiazione

 

Ti chiedo perdono
se ho origliato
all’uscio del tuo dolore
non c’era morbosità
ma sacro stupore.

Sono entrato a piedi nudi
addentrandomi cautamente
nei cavernosi vicoli
dove si consumava
l’erosione becera
della tua ingenuità.

Era mia intenzione
ferirmi di singhiozzi
acuminati come dileggi,
espiare le colpe di chi
si atteggiava e colpiva.

Ora con le piante dissanguate
m’inchino e ti invito a danzare,
reginetta della notte,
voglio portarti sul mare
a disegnare infiniti sulla sabbia
perché l’alba sta arrivando
e la nostra vita annegherà di luce.

Barchetta

 

Mi sento barchetta
creata da piccole mani
gioco d’abbandoni
su carsici fiumi d’amore.

Rivoglio quelle mani
varo d’audaci imprese
bacio sulle vele
infiniti ritorni.

26.3.22

Omaggio a Dante

 

Color di rosso vespro il ciel vibrava
lenta baciò la nudità del mare
trasportar mi feci luce d’un carro
e sul tuo viso m’adagiai sognante.

Amor che move il sole e l’altre stelle
lasciami ancor tuo servitor perenne
possa io trovar nuova forza e il volo
per forgiar versi d’infinito senso.

La visita della rondine


Quando un timido sorriso
portato in volo
da una rondine giocoliera
fa toc-toc alla persiana
della tua scomposta esistenza,
non avere timore
di rompere l’assedio
di una stagione che duole.

Conosco il tuo sfinimento:
galleggiare sul rancore
mentre ogni sasso appuntito
piaga il tuo cammino
aprendo squarci di passato,
clessidra d’inumana ferocia.

Toc-toc garrisce ancora
dietro l’imposta del cuore
e non si rassegna al silenzio
di un letto a metà disfatto:
il sole è più caldo stamattina
disegna arabeschi di cielo
sulle pareti della vita.

Il vecchio e la chitarra

Nel vicolo strusciante ombre
un vecchio e la sua chitarra
seduto sulla storia di ieri
canta al sonno della ragione.

Il folletto del marciapiede
ha il frac inzuppato di sogni
e danza intorno al vecchio
che batte il piede a tempo di swing.

Pozzanghere riflettono divertite
applausi di vetro bollente
mentre ride l’elfo col barbone
e la vita scorre intorno al Titanic.

Tutto ha un senso comune
un pensiero convergente
una democrazia conciliante
stretta al bordo dei cannoni.

 

Non parlateci di armi

 

Non parlateci di armi.
Vorrei carri armati di fiori
cingolati di grano e papaveri.
A grappolo siano vitigni
e more di bosco.
La chimica unisca due anime
legandole per sempre alla luna.

Non parlateci di armi.
Bombardateci di poesia
di fratellanza, di semplicità.
Fateci bersagli di bellezza,
torturateci di passioni,
stuprateci di saggezza.

Non parlateci di armi.
Scindete atomi di gioia
e mitragliateci a raffica.
Lanciate missili di umanità
e che sia ipersonico
solo il girotondo di bimbi
sull’emisfero dei sorrisi.

Recensione silloge "Come grano che biondeggia al sole" di Liliana Camarda


Se un ipotetico abitante di Marte si fermasse nella nostra Monopoli e volesse iscrivere la sua prole ad una scuola elementare, potrebbe capitare proprio nel plesso dove Liliana Camarda esercita magnificamente il suo ruolo di Dirigente. All’uscita esternerebbe ai suoi piccoli le sue impressioni: “Però, una vera professionista, colta, disponibile, aperta. Una donna tutta d’un pezzo!”
E sull’ultima impressione s’ingannerebbe. Liliana non è un monolite. Liliana è tanti pezzi brulicanti, effervescenti, roteanti in una bulimica, incontenibile spiaggia di magma. Liliana ha la febbre del vulcano mai spento sul quale ha appoggiato il macigno del “Gentle(wo)men’s agreement”, nascondendo il termometro dietro pirandelliane maschere di circostanza. È quello che fanno gli spiriti mai domi, assuefatti all’uso dell’estintore dei propri spasmi di passione, e - soprattutto - coloro che hanno incontrato eventi molto negativi nella propria esistenza, non soccombendone, anzi, elaborando il dolore e codificando una Bibbia della forza interiore. Senza mai farsi spegnere. Senza mai stravolgere se stessi. Senza cessare di amare. Chi o cosa non importa. Amare per amare.
Questa raccolta di poesie dice poche cose semplici, ma in modo sublime.
Quando, ad esempio, “Svegliarsi” è solo annullare le distanze “in un posto qualunque”.
Liliana soffre questo dualismo nel vivere una realtà asfissiante, rigida, oberata di liturgie, stilemi e rituali, contrapposta ad un pensiero costantemente in volo, selvaggio, giocoso, ferito. Se potesse “graffierebbe il cielo fino a farlo sanguinare”.
“Il cuore - infine- trabocca” è la lirica nella quale Liliana pare ancora sdoppiarsi e parlare all’altra sé che teme possa arrendersi all’apatia.
E “come novella Penelope”, ella si vede in un mood dove disfa e ritesse le sue passioni.
Ancora, in “Se potessi”, il trasporto raggiunge passaggi epici quando vorrebbe donare la sua “luce che brilla dentro” ad un insensibile destinatario e contemporaneamente gli è grata della sua semplice esistenza. Stupenda.
Cupa espressione di leopardiano pessimismo è “Muoio” che ricorda il “lentamente muore” di Martha Medeiros.
Ma a far lievitare la speranza viene in soccorso la Fede in “Come un profeta” che ha dato grande forza e coraggio nelle varie traversie che l’Autrice ha affrontato.
La rabbia fa capolino in “Guardale”, un anatema vibrante che chi di noi non ha scagliato verso un calpestatore di sogni?
Infine dopo aver citato i camei destinati ai figli (bellissima “Ti aspetterò”), mi è impossibile non terminare con i picchi toccati dalle tre liriche “É ancora caldo”, “T’amo” e “Ladri d’amore”.
Se esiste un modo possibile di descrivere quella meravigliosa tenzone che ha come teatro i nostri sensi, allacciati e lividi di passione, ebbri e succubi, sudati e spossati, Liliana lo ha raggiunto. In questi versi cade il dualismo e la poetessa scala il paradiso. Si protende e dispiega le ali nel cielo della libertà, la libertà di amare senza limiti e senza tabù.
Spazzati via tutti i gravosi infingimenti, ella si ritrova finalmente come spiga dorata a biondeggiare felice al sole della vita.
Una silloge imperdibile per chi persevera a contemplare i bei sogni nella vita di ogni giorno.

18.3.22

Ansa di Pace

 

Come tremuli gozzi
ristiamo
ansanti di calma
in un mare provvido
intriso di sogni
dove l’uomo
approdi solerte
a lidi maestosi di pace.

Gabbiano appiedato

Vorrei tornare
a parlar d’amore
dolce miraggio
e brama strangolata
da questo cielo
bombardato di pianto:
gabbiano appiedato
attendo e mi struggo:
uomo e lupo
mi hai sepolto le ali.

Pareti di cristallo


Districarsi
tra ombre impaludate
è sovrumano
per l’ergersi quotidiano
dell’alato senso.

Avvezzo allo spazio
da decifrare in volo,
mortifico il canto
libero e folle
dell’usignolo in amore.

Pareti di cristallo
mi circondano l’ego
che annaspa incredulo
della pochezza umana
farcita di tragedia.

Tornare ad abitare
la magione del sogno,
bucare la corteccia
custode di intimità
nude di ingenuo furore,
è missione salvifica
dell’eterno poeta,
straziato dal pantano
dove muore la missione
di rincorrere le rondini.

Cjà succèsse a ‘stu mōnne (Cosa è successo al mondo)

 

Cjà succèsse a ‘stu mōnne
nan ng’é chēnòssceme chjù
nan sime chjù frète
cum vulêve u Crïetóre
nan sēpìme vulêrce béne
nan ng’é salutème chjù
i né stēme a preghè a mòrte!

Tòtte stì crístiéne che fóscene
j-índe ù frídde sòtte a nêve
sènze mangè sènze vèvre
sènze chjù ‘nē chèse
sènze ‘nē chērèzze i ‘nu vèse.

I chidde peccìnne
nan tenêne chjù lácreme
nan sēpene chjù scjuchè
cjà fìne ana fē?

Mē cjà succèsse a ‘stu mōnne
addò se sckaffète l’ēmóre?
Addò se àcchje Críste?
Fàtte vedê! Dìne qualchi còse!
Chènge a chèpe di crístiéne
appècce ne lúsce de sópe
purcê stēme a u scúre
i nan putême scé ‘nnènze!


Cosa è successo al mondo
non ci conosciamo più
non siamo più fratelli
come voleva il Creatore
non sappiamo volerci bene
non ci salutiamo più
e ci stiamo augurando la morte!

Tutta questa gente che fugge
nel freddo, sotto la neve,
senza mangiare nè bere,
senza una casa,
senza una carezza e un bacio.

E quei bambini
non hanno più lacrime
non sanno più giocare
che fine faranno?

Ma cosa è successo a questo mondo?
dove si è nascosto l'amore?
Dove si trova Cristo?
Fatti vedere! Dì qualche cosa!
Cambia la testa delle persone
accendi una luce da lassù
perchè qui siamo al buio
e non possiamo andare avanti!

Ho paura


Ho paura.
Stringimi
fammi entrare
nella culla del tuo sorriso.
C’è un’onda
al sapore di latta
che attanaglia le viscere.

Ho paura.
Parlami
coprimi il capo
cantami la gioia
del vento di primavera.
C’è rumore di tacchi
calpestano fotografie
in rosse pozzanghere.

Ho paura.
guardami
baciami i capelli
raccontami il mare
le tue impronte sulle mie.
Ci sono fulmini
che spaccano il mondo
silenzio di corpi
bambini volanti.

Ho paura.
Tienimi amore
tienimi i sogni
in braccio con i tuoi
lanciamoli lontano
oltre questo buio
di sassi e di coltelli.

Il giorno dopo la nevicata

 

Il giorno dopo la nevicata
il cielo si siede paziente
avvolge i suoi rimbrotti
in un silenzio autorevole.

Nei nidi le mamme
spazzolano le ali
che coprivano i piccoli
cinguettando d’amore.

I colori appena sbocciati
si guardano attorno
increduli e timidi.

Precipita la pace
in un invaso di tuono
e vorremmo donare
questo spicchio di calma
al mondo che rugge.

2.3.22

Le mani di Kiev

 

Ci sono tante mani nella notte di Kiev.
Mani che stringono fianchi
che incoraggiano, che aiutano.
Mani che dirigono orchestre
di strumenti mai visti
che scrivono versi rubati
alla paura del buio.

Mani sudate, mani callose
mani giunte,
mani vuote di senso
mani piene di sogni.

Ci sono piccole mani
che hanno appena
imparato a giocare
e si asciugano gli occhi.

Ci sono mani che salutano
e che segnano la strada.
Mani che disegnano ombre
sui muri dell’ignoto.
Mani che si fanno brocca
mani che lanciano baci.
Mani intrecciate
a forma di cuore,
mani che scavano fosse.

Tante mani nella notte di Kiev.
Vorrebbero raccogliere stelle
e farne corone di speranza.
Ma dal cielo spargono briciole di morte
e le mani fuggono abbracciate.

Ci sono tante mani nella notte di Kiev
e fuori nel mondo
tante mani che lavano mani.

25.2.22

Visita gradita

 

Quando alla tua porta
bussa la malinconia
sii gentile
falla accomodare
è molto stanca
dopo aver percorso
chilometri fatti pensieri

offrile
una tazza piena
di colori e ritornelli
falle visitare
i ripostigli del tuo cuore
dove hai stipato la dolcezza

apri le finestre
riempile i polmoni di vita
falla passeggiare
nei profumi ammalianti
della gratitudine

ti lascerà delicata
voltandosi sulla soglia
con la promessa di rivedersi
quando ti perderai di nuovo
dietro le curve del silenzio.

14.2.22

Ti amo donna (S.Valentino 2022)

 

Ti amo donna
partorita dai sogni
essenza di giubilo
vera come una ferita
gracile come quercia

ti amo donna
eleganza di stella
docente d’amore
brio e follia
fragranza d’eterno

ti amo donna
per le tue piaghe
per la tua tana
scavata da bruti
per le tue sconfitte
per le tue risurrezioni

ti amo donna
perché comandi le nuvole
in un cielo rattristito
per le tue tempeste
che preludono le albe

ti amo donna
per tutti i tuoi giorni
quelli pieni e quelli vuoti
per la tua testa alta
per i tuoi slanci
e per le tue picchiate

ti amo donna
per esistere nel mondo
e camminare sui carboni
roventi di rabbia
e innaffiati dalla tua grazia

ti amo infine
per la tua somiglianza
ad un miracolo
nascosto immacolato
nel cuore dell’universo.

12.2.22

Le mie dita

 

Le mie dita
tamburellano
sul bordo mistico
dove incrociano
amore e follia.

È un ritmo maniacale
che alterna
corsi e ricorsi
un ritornello d’avanzi
consumato in fretta
prima di farsi letale.

Continuo
ad assembrare lampi
in un cielo viziato
brulicante nemesi
in fragore di vuoti.

Ci fu un tempo solare
in cui le mie dita
disegnavano mappe
sulla tua schiena
stracciando il futuro
appallottolato
in confusione di baci
avidamente sperduti
in celesti labirinti
senza fine.

Sorridimi

 

Sorridimi
quando rulla
il crudo tamburo
del silenzio
e striscia l’ombra nera
avvinghiata alla persiana

quando mi sporgo
dal parapetto della noia
tentato dal tuffo
che rincorra il mio sogno
sfuggito come rondine.

Sorridimi
in equilibrio sul crinale
dove s’addormentano i venti
appollaiato
al fragile quotidiano
che m’inabissa di sale.

Sorridimi
e navigherò felice
sulle tue labbra
sciogliendomi di rosso
al sapore di fragola.

4.2.22

Lampare

 

Quando stai
per svoltare
la pagina della notte
umetta
i polpastrelli del sogno
ti aspetta
il capitolo più bello
quello del volo radente
a picco sul mare
dove si accendono
le piccole lampare
della poesia.

Decolli

Il vento
ha un senso
se girovaga
nelle anse
del rimpianto
se rinfocola
capillari lesi
dall’assenza
se intona
concerti
al titubante
decollo
dell’anima.

Non sarà
il tempo che passa
a sgualcire
i cuscini di stelle
dove riposa
perenne il ricordo
della tua vita
incastrata
sulla mia orbita.

Verrà un tempo (2)


Verrà un tempo
che ti vedrà
sul dondolo dell’attesa
cestino di rughe scomposte
sfruculiare foto sbiadite
malìa d’incensati anni.

Sul capo un pendolo
di forsennati dubbi,
levigate piattezze
dove hai consumato
grevi trionfi di Nulla.

Ci giravi in tondo
con mefistofelici tocchi
gaudente di maschere,
betoniera di sogni,
ancella di vanità e vacuità.

Sul tuo ultimo dondolìo
comprenderai attonita
che smarristi l’unico sarto
che t’avrebbe vestita di poesia,

l’unico magico elisir
che avrebbe trasformato
le tue rughe in sentieri d’argento,
scolpita d’alabastro,
bella, tremendamente bella
per sempre.

29.1.22

L'ultima pagina

 

L’ultima pagina da sfogliare
ti capita
quando il mattino
non ha fate sorridenti,
carrozze e cavalli bardati,
cappelli di Merlino,
astronavi e sottomarini.

L’ultima pagina
ha righe veloci
troppo lunghe da inseguire
e tu provi affanno
ritornelli afoni
e la fantasia fulminata.

Ecco perché
apro gli occhi
con la giusta titubanza
felice di trovarmi
a frequentar le favole.

Il dono della Luna

 

Quando guardi dalla finestra
cercando risposte
con le tue volontà appannate
disegnando alfabeti sconosciuti
con le dita umide di tristezza,
non aver paura
di spalancare il tuo cuore:
qualcuno sta aspettando lì fuori
per regalarti la luna.

A Lorenzo (In morte di Lorenzo Parelli, 18 anni caduto sul lavoro il 21 gennaio 2022)

 

Così sarai pronto
ti dicevano
ad entrare nel mondo
non certo a uscirne.

Questo indecente tritacarne
che macella a cottimo
vecchi e giovani cuori.

Così sarai pronto
giacula il verme liberista
la mano inguantata
sulle leve dell’ingranaggio
che ti ha mangiato l’anima.

Potevi essere l’ingegnere
di altre macchine perfette
potevi scrivere di sole e di vento
o insegnare a parlare i pettirossi.

Potevi saltare nello spazio,
innamorato fino all’osso
e guardare negli occhi
le code delle comete
come fanno di solito gli angeli.

Ma ti dicevano che
così potevi esser pronto.

E ora la polvere insensata
copre i tuoi passi di gioia
e la melma dell’indifferenza
avvolge i Palazzi del potere.

Quella parte nascosta

 

La mia sfida
è sempre stata
svelare
la parte nascosta:
quella faccia di Luna
che occhieggia
fra crepe di dolore.

Le offro ogni giorno
i miei fiori di versi
scegliendo i più semplici
quelli che si reggono da soli
sulle gambe dell’infinito.

Mi accaso recidivo
al suo balcone invisibile
per le mie ridicole serenate
e ogni sorriso che cade
sulle mie labbra perse
mi porta per mano
alle porte del firmamento.

Gelide attese

 

Fiori di ghiaccio
coprono esauste corolle
e il vento geme
nordiche fantasie
incartate e imbevute
d’irreale silenzio.

Ovattato
il mio frugare illuso
tra dune nebbiose,
perversione di flashback
mi percorre il dorso.

Attendo
una stagione lontana
che tracimi rose
su di un corpo dorato
ampolla di sogno.

Sulle spalle

 

Mi stanco - Anchise -
di portarti sulle spalle
oberato di ricordi,
mezzelune che fendono
le mie false verità.

Allora ti getto da un lato
come un tappeto srotolato
e mi spazzolo la noia.

Mi spazzolo e mi spazzolo
ancora più in profondo
là dove s’aggrappano
tentacoli disperati d’inedia.

Ma niente:
è polvere radioattiva,
pulviscolo grondante sale,
ruggine di gigabyte.

Sono io, il tappeto.
E ti guardo e mi piango.

Mi salto sulla schiena
e riprendo a trascinarmi:
le ferite sono cunicoli
dove trovo casa
barricandomi di buio.

Vienimi a trovare

 

Vienimi a trovare
nelle notti di rughe
sui guanciali dell’opaco
nelle ragnatele di bambagia
fra le voci avvizzite delle ombre.

Vienimi a toccare
sulle labbra alle finestre
sulle foto raggelate alle pareti
sulle costole marchiate di finzione
sui polsi ammanettati di vento.

Vienimi ad accarezzare
sulle guance di tempesta
sui pensieri gabbiani fuori rotta
sui sogni ruzzolati dalle tasche
sulle vertebre dei pentimenti.

Vienimi a salutare
prima d’impallidire
prima di svoltare le colline
prima di dimenticarmi.

14.1.22

Presentazione di "Dissonanti sinapsi" - Biblioteca Rendella - Recensione Lorenzo Di Bello



Ferruccio, che io conosco dall’infanzia e con cui sono cresciuto, ha avuto la fortuna di avere due straordinari genitori: sua madre Gemma e suo padre Remigio.
Gemma, una donna che Ferruccio celebra e descrive pubblicamente come donna coraggiosa, dal carattere forte e con animo nobile e spirito antifascista nei versi, non compresi in Dissonanti Sinapsi, "C’era la guerra / c’erano le bombe/ poco più che ragazzina/ hai salvato tanti soldati/gli hai portato vestiti, pane, acqua/ li hai nascosti / li hai protetti/ …… mi hai donato la vita/ mi hai donato la tua forza/ ……grande donna, grande anima".
Remigio, il padre Professore, Avvocato, Sindaco di Monopoli, letterato e apprezzato Poeta. Due genitori che risultano essere stati protagonisti della storia democratica della ricostruzione post bellica della nostra Monopoli.
Ferruccio ha sempre vissuto nella sua Monopoli tranne gli anni di studio a Siena per il corso di laurea all’università, per cui è senza dubbio un Monopolitano verace.
La raccolta Dissonanti Sinapsi è stata elaborata nel corso degli ultimi dieci anni, nella piena sua maturità, con sincera onestà intellettuale e morale.
Affascina e coinvolge da subito il lettore che agevolmente senza sforzo si accorge in un crescendo boleriano della autenticità e della originalità del suo pensiero e della sua filosofia sottesa in ogni verso.
La sua è essenzialmente poesia passionale e di speranza in un sempre migliore esito delle umane sorti e progressive, ed alcuni versi in particolare sono emblematici e significativi che mi piace richiamare tra questi:
In IL TRAPEZISTA pag. 13: “…sono pronto mi lancio con te nell’infinito amico trapezio ignaro del mio folle desiderio” che ricorda l’uomo sul filo del padre Remigio.
In DISSONANTI SINAPSI pag. 53: “la notte farfuglia blesa, sminuzzata sotto estranee coltri balbetto inerme scriccioli d’ansia”.
In LA MIA ULTIMA NOTTE CON TE pag. 52 dove la notte ha tirato il sipario sulla scena del poeta: "ora il proscenio attende l’ingresso della vita”.
Ma con una totale voglia, forza e interesse a riprendere all’alba il suo percorso in L’ULTIMA POESIA pag. 39:   “Quando scriverò l’ultima poesia non lo saprai ma te la canterò per sempre all’alba di un sole malato radioso di piattezza grigia”.
Per ritrovare luce in ESISTE UN LUOGO pag. 73: "non rassegnandosi al buio incendiandosi e ardendo di piombo fuso squarciando le vene donando passione e piacere fino all’ultimo sussulto”.
E Ferruccio non delude nel volersi esprimere senza riserve intero, integro e ignudo.
Ciò rileva una ricerca di affermazione di libertà che trasuda nei versi e presidia la sua esistenza di uomo e di poeta libero da infingimenti e contaminazioni dell’etica perbenista, e senza il timore di urtare la suscettibilità del potere costituito.
Lontano da Ferruccio è il bisogno di fede nell’assoluto come di lanciare superiori ed estremi messaggi filosofici e meno che mai operare un sindacato verso i limiti della società.
Le sue osservazioni sulla finitezza dell’uomo e di sé stesso sono protese a cogliere i limiti dell’esistenza con uno slancio verso l’ALTRO con cui non vi è soltanto il comune dannato destino da vivere, ma una visione onirica con una linfa speranzosa e ottimistica per il futuro del mondo.
La sua poesia è foriera di una sconvolgente rappresentazione poeticamente ed efficacemente direi su/realistica che viene ad emergere con tutta la forza dell’anima e delle esperienze vissute.
Una poesia non ermetica ma più vicina al surrealismo e nella quale l’aspetto fondamentale del suo pensiero è dato dal trasformare l’uomo e il mondo in uno slancio centripeto verso la progressiva offerta di umanità e nel sentimento catalizzatore della fraternità umana con una pelvica e sotterranea vena di ricerca per la conservazione dei valori nel confronto con la donna complice.
Ferruccio che ha avuto un destino maschio con un fratello Furio e due figli maschi, Remigio e Valerio, riesce ad esprimere una costante lucida capacità di comprendere la forza della donna quale rappresentante dell’amore universale e complice femminile nella ricerca delle risposte da dare con i suoi versi.
I suoi versi che si sviluppano come lampi illuminanti nella escatologica corrispondenza costante con una LEI quale compagna di viaggio e complice rassicurante per la sua esistenza, ma invero, sottacciono una evidente finzione. Infatti, non è la donna (il mondo femminile) ma la realtà sociale e le vicende e i sentimenti comuni che rappresentano la ragione dei suoi pensieri. Ciò attraverso immagini in cui vengono figurati, sebbene in formato dialogante e nel confronto con l’ALTRA, trasmodanti visioni persino cosmiche dove trovare soluzioni e risposte. La donna viene raffigurata nella femmina-natura, in colei che nelle sue ardenti contraddizioni raduna in sè e concilia ogni aspetto della vita cosmica.
E tale obiettivo viene perseguito con i logos delle libere sequenze strofiche della corrente inesauribile delle immagini della Sua poesia al fine di rendere la trama delle immagini composita ed assicurare un giusto risalto delle singole immagini. Egli si pone il problema della punteggiatura la cui tendenza è a limitarne decisamente l’uso per garantire il tono e la durata della pronuncia nel susseguirsi di immagini/universo che vengono costantemente utilizzate.
Il tono della ricerca intorno e dentro di sé, tra cui il mare/terra/cosmo che Lui solca per conoscerli e consegnarceli, lo conduce a cogliere proprie profonde risposte rassegnate nel pensiero districato e liberato dai guazzabugli della mente e dalla lucida vivisezione delle realtà circostanti del mondo.
E il suo approccio è sempre permeato da un animo laico distante dai tradizionali moralismi, con una spinta ad una ricerca costante di condivisione dei sentimenti di solidarietà e delle condizioni di vita altrui, delle passioni della vita e del piacere del comune vivere, sinanco diventando poesia sociale e civile con un pensiero rivolto ai mali del mondo.
E ci consegna immagini a spron battuto ma con sempre lievi soffici baci sulla fronte e strette al cuore per il lettore, confermandoci che il poeta è colui che ispira più che colui che è ispirato.
E per ispirare Lui ha dovuto digerire l’abbondanza dei grandi tra cui sicuramente: Rimbaud, Baudelaire, Prevert, Eluard, Borges, Lorca, Eliot, Pavese, Montale, Pasolini e Alda Merini cui riserva una poesia ai quali non ha rubato niente, ma che nei rivoli dei suoi versi li ritroviamo mescolati magicamente.
Ma a ben vedere si tratta di una poesia che è intrisa nello stesso tempo di chi canta amandoli i grandi cantautori: Dalla cui è dedicata una poesia, Battiato, Guccini, De Andrè, Venditti, De Gregori, ecc. con le cui loro immagini lui ha convissuto senza mai rimuoverle dal cuore.
A ciò si aggiunge la sua passione per la cinematografia e l’arte pittorica.
Ci perviene una poesia che sviluppa non l’insieme “dorsale” dei grandi maestri ma diagrammi che raggiungono un punto di equilibrio sempre nuovo, non solo musicale e non solo sensazionale per la maestria dei versi, ma per la perforante forza e instancabile attenzione delle Sue riflessioni che ad esempio ritroviamo:
In PERCEZIONI DEL NULLA pag. 113:  “Cerco di galleggiare in oceani di rabbia mi chiedo il senso se ci sia un dunque al termine del dolore”
In STORIA D’INVERNO pag. 35:  “Quando si nasce è come un miracolo che portiamo dentro …il miracolo viaggerà lieviterà e inietteremo linfa vitale a chi la sta perdendo …”.
In PERTUGIO pag. 106:  “Ma salgo cado risalgo presto la luce ferirà un pertugio resiliente spaccato sul tramonto e mi fermerò assorto a rimirare gioia”.
In IL CAMPO DEI MERLI pag. 99:   “Signore libera questo cielo sanguigno che vomita fuoco e morte quaggiù nel campo dei Merli dove i merli non fischiano più”.
In FEMMINICIDIO pag. 93 “Solo tu donna di strada indosserai quei versi carezze di sole intoccabile al mondo”.
Lui ricerca le proprie guide virgiliane con la coscienza e consapevolezza della conoscenza e maturità delle idee e dei valori di riferimento di un maturo ancorchè incontaminato ed entusiasta poeta. E ciò lascia il segno di come si dovrebbe vivere la poesia: con sforzo, con impegno per profonde riflessioni per accarezzare non tanto e non solo l’orecchio ma l’anima e l’intelletto.
Ferruccio si rappresenta (e non da solo) in un pozzo senza fondo di sensazioni, emozioni e riflessioni che lo rendono poeta del suo tempo ma soprattutto poeta amico e non poeta vate, in un modello concettuale e poetico verso un meglio che deve ancora venire, sia che si è in due o sia che sia un esercito a condividere l’attesa del sogno comune.
E tali sono la Speranza di passione e la condivisione di vita:
in INFERNO di CATARSI pag. 58: “perdendomi con garbo nel tuo labirinto di passione amando la tua profondità sciogliendomi esausto nella tua totalità…Che cos’è la felicità se non trovarsi in cima al poggiolo del tempo che ferino incalza e tracima ipnotica ambrosia essenza globale di te”.
“Ombra che viaggia sui treni del tempo nella speranza di buona vita ovunque sia la tua stazione…” in BINARIO MORTO pag. 70.
E la potenza espressiva e per immagine dei suoi logos tra cui il MARE e il MAESTRALE quale altra significativa costante nelle poesie:
In MAESTRALE pag. 69: “Portami sul dorso del senso fugace rigenera smorte cellule alzami benigno in cima al destino”.
In L’INCROCIO DI DUE FIAMMELLE pag. 74:  “La chiave del mio destino affidata al maestrale e chi la raccoglierà…offrendosi alla mia tenerezza cibandosi della mia passione.”
In IL NOSTRO MARE pag. 83: “stretto in mezzo a due braccia i vecchi conoscono i capricci del mare…Accende e spegne rosso e verde…ma quanti soli devono ancora tramontare?”.
In LA PENTIMA pag. 86: “Ansa del mio letargo nicchia della memoria serva delle stagioni puntuale sentinella frantumi l’orgoglio e Noi ignavi schegge brulicanti nell’infinito”.
In ONDINE IL SEGRETO DEL MARE pag. 25 dove in forza di una rete che ha ghermito cellule pulsanti si stagliano “specie diverse simbiotici DNA alieni e terrestri destinati a soffrire irrazionalmente uniti” .
In SINFONIA DI MAREE pag. 63: “Rimbalza l’onda spargendo sale si ritira in disordine sparso mentre una lama mi percuote…ma scivola sui vuoti disincanti del tempo”.
In IL PESCATORE STANCO pag. 124: “Il pescatore è fermo statutario nel cipiglio domatore di nodi fra marosi mai domati….Il pescatore piange lacrime di velluto ago e filo, polso fermo rammenda la paranza assiso sulla poppa guarda la sua stella ma non le sue mani”.
Emerge evidente dai versi non un semplice osservatore proiettato su se stesso ma un viaggiatore del mondo che immette nelle sue liriche la SUA vita vissuta.
Ferruccio ha trovato in sé e coltivato un pensiero libero e uno stile del tutto personale ed originale non assimilabile a nessun maestro in particolare, e ciò non è cosa da poco.
Ferruccio non vuol fare mai pace nè con stesso e nè accattivarsi il lettore e nè i suoi compagni che ha incontrato nel suo viaggio.
Non cerca facili acclamazioni sul proscenio delle allitterazioni, rime, sinestesie e immagini fantastiche.
Il suo pensiero è proteso ad escludere proprio l’Io esteriore dell’autore e quelli propri della gran parte della sempre presente ipocrita e falsa società protesa verso i soli bisogni materiali ovvero di quella intrisa di post e like.
Per questo e per altro verso si sforza di salvificare le stabili relazioni assunte con impegno e nel rispetto dei valori di chi lo circonda e che lo riconcilia con se stesso e il mondo. Con coloro che sanno affrancarsi dalla omologazione nella consapevolezza della messa in discussione delle proprie certezze per cogliere l’essenza della saggia riproduzione di sè stessi in altri ambiti di rigenerazione.
Ferruccio appartiene alla sua terra alla sua famiglia e ai suoi amici e ciò lo porta con sé e dentro di sè con la solitudine, la rabbia, le incomprensioni, ma senza moralismi e esogene censure con una elaborazione sulla via che conduce "dall’aorta all’intenzione" (per dirla con De Andrè).
Il suo percorso lo porta alla conferma dei valori della cultura di sinistra a cui appartiene, ma che invero ed in sostanza riecheggiano gli stessi valori solidi dei suoi genitori. A partire dalla madre e non solo dal padre, con il cui mito sicuramente si confronta e a cui gli altri lo confrontano.
E dopo tanto peregrinare nelle strade della rabbia, dell’insofferenza per i mali del mondo e da sè stesso subiti e della speranza, con una identità diversa di chi da sempre ha circumnavigato le sfere dei gironi dell’essenza/esistenza, FA RITORNO A CASA, attraverso le strade passate e future:
“La strada delle ginestre è la strada della vita tante svolte alla fine una retta che prende per mano e conduce a casa” in LA STRADA DELLE GINESTRE. pagg. 89-90.
E forse perché vi è sempre la necessità di fare i conti con il passato: “Questo passato che non passa! …questo passato che fuma menzogna” in L’IRROMPERE DEL DIAVOLO pag. 117.
“Alziamo gli occhi oltre l’orizzonte finito insulso tramestio di un calpestato presente”. In CIECHI RIFLESSI pag. 116.
“Quel dolce ritornare dei padri nei figli …” (di Pasoliniana memoria) è quello che Ferruccio può dire di aver vissuto pienamente, il ritorno al suo amato padre di cui è orgoglioso, e come potrebbe non esserlo. Lui ha cercato e trovato sé stesso con profondo e sincero sforzo di unicità regalandosi a noi lettori che non possiamo che apprezzarlo.
E la sua voglia eclettica e totale di affrontare le più svariate problematiche con una poesia civile, con un pensare laico senza ricerca di assoluti superiori al di sopra dell’umana specie, e dove è la realtà dell’esistenza, pur protesa al sogno e alla speranza, a sprigionare senza riserve i conflitti aspri dell’esistenza, e che ci consegna uno dei figli migliore della Sua terra e di cui il padre Remigio ne andrà sicuramente fiero.

Grazie Ferruccio.

11.1.22

Fazzoletti per il cielo

 

Uscire
in un giorno di pioggia
è come consolare il cielo
accogliendo le sue lacrime
nell’immenso invaso
della nostra solitudine.

Ritrovare la magnificenza
di essere finalmente umani
carezzando le palpebre
delle nuvole reiette
fradici di malinconia
tra i sorrisi del vento.

Tornerà il sole
saltellando sull’orizzonte
il cerchio non si spezzerà
e le nostre piccole storie
saranno fazzoletti per il cielo.

La forza del respiro

 

A volte mi capita
di passeggiare
su pensieri smarriti
al di là del ciglio
che separa e strugge
la collina dal mare,
il buio dalla tenerezza.

E respiro intensamente,
immetto socialità
in alveoli angosciati
da vecchie pandemie.

Anarchici abbruttiti,
falsi eremiti,
cavalieri del dubbio,
oceanografi dell’anima,

scrutiamo il cielo dell’utopia
tracciando raggi di poesia.

Bar Paradiso

Stavo perdendo
la mia briscola col Diavolo
in fondo a quel tugurio di cera,
unto di vetri, sporco di noia,
con la pelle del cuore
sfregiata in più punti.

Poi sei apparsa
come statua di Fidia,
imbalsamata di rossetto
con quel gomito sensuale
appoggiato al mio sguardo.

Non sentivo quel sapore
di fragola e sudore
da migliaia di giorni
e il mio petto rimbalzò
cadendo sul tuo sorriso.

Fu così
che stracciai le carte al Diavolo
ridendo corsi verso le tue ali
lasciandolo con un palmo di coda
a guardarmi ballare con te
nel bar diventato paradiso.

6.1.22

Primo e Unico

 

Il Primo amore non ha
guscio temporale,
narrazione algebrica.

Precipita.
Penetra.
Folleggia.
Scava.
Prosciuga.

E anche se fugge
da quel momento in poi
non serve più
seguitare a contare.

5.1.22

E' così semplice...

 

Che poi…
Basta poco…
Un pullover arrotolato sul divano
un film dove abbiamo riso e pianto
il gatto in mezzo a noi
uno spazzolino in due
tu che mi chiedi “mi ami sempre?”
io che dico “certo che no!”
e ti faccio il solletico sulle caviglie
una battaglia di cuscini
la luna che s’impicca alla finestra
e tu che incendi la mia vita.

Magia di un'attesa

 

L’attesa
di un incontro
è tempesta
di attimi,
fuoco
di fantasie,
tracimazione
di sogni
imbevuti
d’umori,
intrisi
di cielo.

Come può
tenersi
al guinzaglio
un desiderio
che ulula
al sorgere
del tuo corpo
invischiato
di stelle
riverso
di grano?

Ma infine
una maestá
di luna
rivela
chiaritá
impertinenti
offrendosi
inerme
al mio sguardo
che ti raggiunge
scalando
cime argentine.

Auguri a noi

 

Auguri a noi
comunisti della tenerezza
anarchici della bontà
faccendieri di pace
bucanieri di abbracci.

Auguri a noi
migranti di sorrisi
prìncipi degli ultimi
esploratori del bello
ubriachi di poesia.

Auguri a noi
musicanti della luna
navigatori dei sogni
innamorati solitari
orfani dell’infinito.

Auguri a te
miracolo della vita,
vortice d’azzurro
sulla pianura dei grigi.

Non è mai Natale

 

Ecco che scivola via
sotto i tacchi del già sentito,
già assaggiato, già dissimulato.

Azioniamo quel meccanismo
che separa il falso dal reale,
il corretto dall’agognato.

Viviamo sul meridiano
dell’enfasi virale
dove si consumano
le nostre briciole di godimento.

L’icona del bambino
si ritrae nella ciclica delusione
di un mancato miracolo
recluso fra le pareti
del nostro carcere dorato.

Abbiamo palpebre abbassate
che non scavalcano
i parapetti fortificati
delle nostre certezze vuote
addobbate una volta l’anno
di ridicoli pentimenti.

Ma tant’è:
siamo acidi imperfetti,
sinossi bulimiche,
cosmiche casualità,
come asteroidi impazziti
viviamo a casaccio
nella pace dell’incoscienza.