27.1.11

Lento


Lento
sciorinare le ore
piene
vaste
acute.

Lento
galleggiare la storia
torva
impervia
negletta.

Lento
sorvolare la pianura
grigia
umida
estranea.

Lento
strappare il sipario
spesso
nero
crudo.

Lento
assaporare l'alba
rosea
gravida
provvida.

31.12.10

Penso

Penso alle anime lontane
Deboli indifese
Penso a chi non pensa
E pensa una volta sola
Penso ai giudici facili
E alle persone difficili
Penso ai sogni stracciati
E a quelli che non sogniamo
Penso ai volti noti
E quelli che vorremmo conoscere
Penso agli estranei
E quelli che vorremmo amare
Penso ai volti inutili
Quelli che vorremmo cancellare
Ma che scolpiti ci segnano
Penso alla follia di donarsi
Penso alla ragione di negarsi

Penso a te
A quelli come te
Che hanno un posto riservato
Che hanno un volto disegnato
Che hanno un mare circoscritto
Che hanno un volo genuflesso
Penso di planare
Su una terra rizollata
Abbracciato all'infinito.

14.5.10

Il trapezista



La corda oscilla nell'aria vibrante
l'afferro rapito, deciso
coriandoli di luci festanti
cantano algidi e proni
salgo, m'avvito, mi ergo pugnante
voglio l'alba, l'acme, l'estatica fine
la musica impazza,
ridono i fuochi sui palchi
sciamano sublimi le volpi
sfuggono e nascondono le lame
sotto i bruniti mantelli.

Sono su, li guardo.
Penzola il mio destino beffardo
ho voglia di sfida
ho voglia d'eterno
ho voglia di volo
ho voglia di sogno.

Vienimi incontro amico mio trapezio
vienimi incontro e chiama il mio nome
adorami e incrociami lo sguardo
vienimi incontro sprezzante
io tenderò la mano
ti stringerò le sbarre
vieni e salvami
amico mio ultima spiaggia
geometrica forma
del mio ultimo volo.

Ecco sono pronto
la musica gracchia sovrana
la folla vaneggia ondeggia pullula
sono pronto teso grondante
gli arti fremono impazienti
sono pronto mi lancio

abbracciami trapezio
portami con te nel cielo
bucami il sole il nulla
travolgimi di stelle
con te nell'infinito
amico trapezio ignaro
del mio folle desiderio.

27.4.10

La notte




La notte è bianca
sole di mille soli.
torva
umile, gravida.

La notte urla
nel sonno dei padri
beve
il sangue dall'urna.

Prego nella notte
un cielo senza dei
complice la notte
vorace firmamento.

Vorrei questa notte
bere il calice del male
ungere il corpo degli eletti
sfilare l'anima dal guscio.

Cosa porterà la notte?
Grembo acerbo dell'aurora
o fragile aroma del mattino?

Rintocchi angusti della notte
segnano il passo del destino
corvi attendono il verdetto
gracchiano futili singulti.

La notte sorseggia avidamente
domande cieche di terrore.
apre dolcemente
saggi fauci dell'ignoto.

23.4.10

Ho fatto l'amore con un sogno














E'accaduto all'improvviso
come un tuono
in una notte di silenzi
come un sorriso
in un bosco di lacrime

sto correndo
e il sangue pulsa
urla nelle vene
implorando libertà

corro corro
e il corpo rimane corpo
e l'anima si separa
e mi guardo dall'alto
e si fa luce il tuo viso
orizzonte, cielo,
universo.

Ho fatto l'amore con un sogno
ho fatto visita al paradiso
ho ballato la danza dei soli
sono entrato nella stanza del tempo.

Ho fatto l'amore con un sogno
e ho fatto di un sogno la vita.

Vorrei restare rinchiuso
per sempre abbracciato al mio sogno
vorrei guardare il mio corpo
inutile involucro finito
restare per sempre nel sogno
albergo infinito di noi.

19.4.10

La tua guancia


Vorrei la tua guancia
Amore mio
Solo la tua guancia
Da sfiorare da baciare
Nelle notti insonni
Nelle fughe volanti
Fra lacrime cadenti

Vorrei la tua guancia
Nuda sul mio petto
Nudo sulla tua guancia
Il mio cuore vibrante
Scandente urlante
Nudo pulsante

Solo la tua guancia
Anticamera di te
Splendida infinita
Entropica atavica
Culmine e fulmine

La tua guancia
Parte di un corpo
Incastonato in me.

La cometa


Rattrappito vagavo
spiaggia sferzata
da scrupoli e dubbi
disperati silenzi
ammorbavano l'aria.

Ignote fiammelle
punteggiavano il tramonto
vacui appigli
ad un cuore disperso.

Da lungi una scia
ha scosso l'orizzonte
fiera, maestosa
sfidando il nero
infinito del nulla.

Hai dipinto l'universo
monocromo, inerte
hai scatenato un'orchestra
di angelici cori.

Voglio perdermi in te
magnifica cometa.

20.11.09

Brenda


Hai pagato il prezzo
Ad un mondo che ti ha scartato
Incidente biologico
Nuda, sola, disfatta
Bruciata dai tizzoni
Del potere screanzato
Putrido e becero
Brenda, sola
Hai pagato il prezzo
Allo spettacolo bestiale
Dei leccapiedi prezzolati
Immondezzai di regime
Brenda archiviata
Giocattolo per annoiati
Anima dannata
Hai pagato il prezzo
Per gli scheletri negli armadi
Amori infami
Consumati e nascosti
Sotto i tappeti della vergogna
Perdona il nostro disprezzo
I nostri poveri luoghi comuni
I nostri miseri intrallazzi
Il tuo spirito è libero
Rincorre la libertà
In un mondo più giusto.

10.11.09

Una fiaba: Ferdinand il falegname

C’era una volta un vecchio falegname che si chiamava Ferdinand e viveva in un piccolo paese della Linguadoca francese a circa 200 chilometri da Marsiglia. Il paese si chiamava Florac ed era immerso in un parco naturale. Ferdinand fin da bambino aveva imparato il mestiere dal papà e aveva fatto il falegname tutta la vita, non spostandosi mai dalla sua piccola botteguccia che si trovava a fianco della sua casetta, in pieno bosco, alla periferia del paese. Però Ferdinand il falegname aveva una particolarità: quando era bambino i suoi genitori, poveri, non avevano mai potuto comperargli un giocattolo e la sua infanzia era stata molto triste. Perciò ben presto specializzò la sua arte nell’aggiustare tutti i giocattoli che i bimbi del paese gli portavano. Ovviamente da questo mestiere non guadagnava molto, giusto il necessario per vivere, ma grande era la sua soddisfazione nel vedere gli occhi brillanti di quei pargoletti che uscivano dalla sua botteguccia felici per aver ritrovato come nuovo il loro passatempo preferito. Poi passando gli anni i suoi clienti purtroppo erano diventati sempre di meno. La tecnologia aveva spodestato i vecchi giocattoli anche nelle preferenze dei bambini del piccolo paese montano di Florac e lui, ormai anziano, aveva chiuso la sua botteguccia e viveva di una modesta pensione sociale, aggrappato ai suoi ricordi. Un giorno si era alzato presto, come al solito e si era affacciato alla porta cigolante della sua botteguccia e aveva osservato a lungo i suoi attrezzi lucidi e ordinati come tanti soldatini in riga, ma tristi nella penombra creata dalle imposte sbarrate. “Eh si!” – sospirò – “Vi sentite soli, vero? Ormai tutti vogliono computer e tutte quelle diavolerie elettroniche! Nessuno aggiusta più niente, si butta via tutto!” Si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso il paesello per acquistare un po’ di pane e salame. Arrivato vicino alla fermata dell’autobus notò un certo trambusto, Vide una signora vestita molto bene che chiedeva informazioni. Il cappellano del paese lo vide arrivare sulla piazza e lo indicò con il dito alla signora. Sembrava che cercasse proprio lui, ma che aveva a che fare con quella signora così elegante? La donna gli si avvicinò e gli chiese: “E’ lei il signor Ferdinand? – Si, sono io. – Sono qui per chiederle un grande favore. – Mi dica, se posso aiutarla?” Ferdinand non capiva che cosa potesse volere da lui quella gran signora. “Venga entriamo nel bar”. Si sedettero ad un tavolo e la signora cominciò. “Mi chiamo Justine, ho una figlia di 8 anni si chiama Dominique ed è tanto malata, - Mi dispiace - disse Ferdinand - ma io non sono un dottore. “Lo so, lo so. Io so che Lei però è bravissimo a riparare i giocattoli, ed è di questo che ho bisogno”. “Guardi – cominciò Ferdinand – ormai sono tanti anni che non riparo più nulla ed i giocattoli moderni non li capisco.” No non si tratta di computer – disse Justine – mia figlia aveva un orsacchiotto che si chiamava Barbablù e quando è dovuta andare in ospedale il nostro gatto se ne è impossessato e lo ha praticamente distrutto. La mia Dominique non dorme più e piange continuamente. Sa, non ne avrà per molto, il suo male è spietato e non mi chiede altro che il suo Barbablù.” Ferdinand rimase turbato da quella richiesta. In effetti era tanto tempo che non lavorava più, ma di fronte a quella richiesta cedette. “Dove si trova Barbablù? – chiese. Justine aprì il borsone e prese un pacchetto. Ferdinand lo scartò e vide Barbablù. O meglio quello che restava di Barbablù. Gli artigli del gatto avevano avuto un effetto devastante. Non c’erano più gli occhi e le zampette e il ventre era squarciato e tutta la lana di vetro dell’interno era fuoriuscita. “Ecco – disse Justine porgendogli una foto – come era prima.” Sulla foto si vedeva Dominique, una bella bimba bionda, stringere al petto un simpatico orsacchiotto. Ferdinand notò che Barbablù indossava un cappellino e guanti di lana, aveva delle babbucce e una pipa. Poi capì l’origine del suo nome: sul mento si intravedeva un bel pizzetto blu. “Accipicchia – disse Ferdinand – è un lavoro complicato.” “La prego – disse Justine. lo faccia per Dominique. Ferdinand la accompagnò all’autobus, la salutò e le chiese: “Dove vi trovo? – “Siamo al Saint Michel Hospital, a Grenoble.
Ferdinand si mise subito al lavoro, spalancò le imposte della sua botteguccia e seduto al suo tavolo esaminò la foto. “Il problema principale sono gli occhi” – pensò. Babbucce, guanti e cappellino li avrebbe cuciti all’uncinetto. La lana di vetro e la pipa non erano un problema. Il pelo finto lo avrebbe ricavato e colorato dai residui che aveva nel suo laboratorio. Il naso, bocca e orecchie li avrebbe solo ritoccati. E le zampe? Uhmmmmmm….Forse aveva qualche manina di bambola, le avrebbe ricoperte ed incollate agli avambracci, Il problema erano gli occhi. Dove andava a trovare quelle pietre azzurre con i pochi soldi che aveva? “Vabbè diamoci da fare.” In pochi giorni aveva quasi completato la sua riparazione e mancavano gli occhi e il pizzetto. “Il pizzetto lo faccio per ultimo – pensò – così sceglierò la tonalità di azzurro in base agli occhi.” Una volta, si ricordò, aveva letto una rivista dove c’era una pubblicità di un posto dove vendevano delle pietre adatte a creare gli occhi di bambola con riflessi che simulavano le cornee e le pupille. Lo cercò ansiosamente in una vecchia cassapanca e alla fine lo trovò. “Marsiglia? No e come faccio ad andare a Marsiglia?” Ferdinand non aveva la macchina e neanche la patente. Non si era mai mosso da Florac. Andò a rovistare nel cassetto del comodino e poi nella vecchia caffettiera a carbone della nonna dove nascondeva qualche soldo. 50 euro e 27 centesimi, Andò di corsa alla fermata dell’autobus e chiese come si faceva ad andare a Marsiglia. L’autista disse: “Noi arriviamo fino a Briancon poi deve prendere il treno.” “Quanto costa?” “30 euro in tutto”. “E poi come torno?” – pensò. Vabbè la Provvidenza mi aiuterà. Prese i suoi risparmi, una borsa con dentro Barbablù e qualche indumento ed attrezzo e partì. Arrivò a Marsiglia e pioveva che Dio la mandava. Andò all’indirizzo dell’orefice e vi arrivò bagnato fradicio, Si sedette a riposare un po’ poi entrò e trovò le pietre che gli servivano. Erano proprio due occhioni azzurri bellissimi, Pagò e gli rimasero in tasca solo 5 euro. Come sarebbe tornato a Florac? No, decise, sarebbe andato direttamente a Grenoble per consegnare Barbablù alla sua padroncina. Nella sua borsa aveva portato la colla necessaria per dare a Barbablù i suoi occhi, Si rimise in marcia e avrebbe chiesto un passaggio fino a Grenoble, c’era una strada molto importante che univa le due città. Sempre sotto la pioggia si fermò sul ciglio della strada finchè un camionista non ebbe compassione di quel vecchio che agitava la borsa disperato. Lo portò fino a Grenoble pensando che gli mancasse qualche rotella perché parlava di un orsacchiotto, di una certa Dominique e di un certo Barbablù. A Grenoble chiese dell’ospedale Saint Michel che si trovava al termine di una lunga scalinata. La percorse a passo di carica mentre il cuore gli saltava nel petto e il respiro si faceva sempre più affannoso. Infine arrivò all’ospedale e chiese dove si trovasse Dominique. “E’ in quella stanza” – disse un’infermiera, ma non si può entrare. Ferdinand si avvicinò alla stanza poi si ricordò che doveva fare un’ultima cosa. Prese un pennarello speciale dalla borsa e dipinse un bel pizzetto blu sul mento dell’orsacchiotto. Bussò alla porta e sentì la voce di Justine dire: “Avanti.” “Ferdinand! Sei venuto, non ci speravo più!! Ferdinand si chinò sul letto dove giaceva una bambina, bionda, pallida e con gli occhi chiusi. “Non mi risponde più” – disse Justine. Ferdinand le mise accanto Barbablù e dolcemente le disse: “ Dominique, sono qui, sono tornato, sono il tuo Barbablù.” La bambina mosse le ciglia e accarezzò il pelo dell’orsacchiotto. Subito riprese colore, spalancò gli occhi e tirò a sé Barbablù. “Finalmente, ti ho aspettato tanto! E tu chi sei? “Sono il dottore di Barbablù, l’ho curato e guarito per te”. “Grazie, vi voglio bene” “Mamma per favore lasciaci soli”. “Ma io non posso….” Ferdinand tranquillizzò Justine sussurrando “Ci penso io”. Justine prima di uscire vide che Dominique aveva iniziato una animata conversazione con Ferdinand. Justine si sedette su una panca e crollò dal sonno che non faceva da diverse notti. La mattina si svegliò, andò nella stanza di Dominique e vide che lei e Ferdinand erano entrambi abbracciati con Barbablù e sembrava dormissero. Si avvicinò e vide che Dominique aveva ripreso il suo colore normale e dormiva serenamente. Ferdinand aveva il capo chino e Justine capì. Il suo grande cuore aveva ceduto. Le fatiche fatte per portare il suo dono a Dominique erano state fatali. I dottori dell’ospedale dissero che Dominique era guarita e che c’era qualcosa di miracoloso in quello che era successo. Ora se doveste capitare per caso nel piccolo cimitero di Florac, c’è una tomba bianca e semplice con una piccola lapide. Sulla lapide c’è scritto “Grazie Ferdinand, ci hai dimostrato quanto forte è la potenza dell’Amore.”

12.10.09

Inaspettata





Non mi aspettavo te
oltre la soglia del comune
oltre il limite del desiderio
oltre il confine dell’immaginario.

Non mi aspettavo te
diafana, volatile, fuggente
assolutamente concreta
vigile sui passi della vita.

Non mi aspettavo te
sinuosa, ricamata di sole,
scarmigliata, brillante
segnare il tempo in un battito
un’elettrica carezza.

Non mi aspettavo te
ma hai invaso l’orizzonte
hai plasmato le nuvole
hai cantato il risveglio
del popolo notturno
stucchevole, inerte.

Non mi aspettavo te
ma ci sei
ed è stupendo così
aspettare il giorno dopo.

11.10.09

Se un giorno ti ricorderai di me


Se un giorno ti ricorderai di me
vorrei essere la mano
che ti ha accompagnato alla luce
il sorriso
che ti ha ridato la speranza.

Se un giorno ti ricorderai di me
vorrei essere l’orologio
che ti ha cambiato il tempo
il fuoco
che ti ha scaldato il cuore.

Se un giorno ti ricorderai di me
vorrei che fossi l’acqua
che è piovuta nel deserto
la carezza
che ha raccolto il tuo pianto

Se un giorno ti ricorderai di me
Sarò lontano mille giorni
Sarò stanco mille anni
Sarò nebbia all’orizzonte
Ma mi ricorderò di te.

28.5.09

Il video di "Striscia"


Lunedì 25 maggio nella puntata di “Striscia La Notizia” è stato trasmesso un video di Mingo e Fabio, realizzato a Monopoli, nel quale venivano evidenziati alcuni comportamenti di cittadini non osservanti delle norme del codice della strada, quali guida senza cinture e senza casco, uso del telefonino alla guida ecc. In un paese normale in cui la coscienza civica e quella personale siano allo stesso livello, si sarebbe preso semplicemente atto di un fatto scontato, senza che il video in questione scatenasse chissà quali reazioni. Invece nel nostro paese il Comandante della Polizia Municipale ha reagito guaendo e uggiolando, come un cagnolino al quale sia stata schiacciata la coda. Ha indossato la divisa da sfilata e ha esibito le medaglie costituite da multe e contravvenzioni volendo comprovare così un’efficienza dell’operato della sua compagnia che nel video non era assolutamente stata messa in discussione. Nessun suo sottoposto infatti è stato filmato mentre abbandonava la motocicletta in dotazione e si recava a prendere il sole in qualcuna delle nostre splendide calette. Anzi il Comandante si è anche dato una zappetta sui piedi perché è come se avesse detto: “Il fenomeno esiste. Però è sanzionato!” Ma la cosa che mi fa più specie è che non solo il responsabile della guardia municipale ma anche alcuni miei concittadini ed amici hanno rispolverato il vecchio vizio provincial-campanareccio obiettando: “Perché colpire Monopoli quando altri paesi sono più incivili del nostro?” Innanzitutto a me non interessa ciò che succede a San Giovanni a Teduccio o a Giarre, a me interessa la vivibilità della mia città e qualsiasi strumento serva a migliorarla mi sta a pennello. E, al proposito, voglio porre qualche spunto di discussione inerente il comportamento degli utenti della strada a Monopoli:
1) A nessuno è mai capitato, una volta faticosamente reperito un parcheggio, di effettuare una manovra attenta e scrupolosa per posizionarsi nella maniera più corretta possibile, di ritrovarsi poi al ritorno un bel macchinone (magari un SUV) di sghembo davanti o dietro con le ruote sul marciapiede ad impedirvi l’uscita?
2) A nessuno è mai capitato di vedere l’amico disabile fare il giro di tutto l’isolato per trovare una salita sul marciapiede che fosse libera da autoveicoli?
3) A nessuno è mai capitato di riscontrare che la precedenza a destra è facoltativa, mentre il cartello con il rombo giallo viene riconosciuto solo da coloro che pensano che significhi “Attenzione su questo isolato è presente un bar che vende le granite di limone”?
4) A nessuno è mai capitato di rimanere come Fantozzi con i capelli diritti quando una vecchina attraversa la strada ed il terzo in fila immancabilmente strombazza senza sapere che succede? Oppure, quando l’autobus non riesce ad effettuare la svolta per automezzi vari parcheggiati nei posti più strani, passi che il clacson lo suoni l’autista del mezzo pesante, ma la serie di rincoglioniti che sta dietro pensa forse che l’onda sonora possa da sola spostare l’ingombro?
5) Le strisce pedonali? Cosa sono? Ah pensavo che erano addobbi per festeggiare il ritorno della Juve in Champions League!
6) A nessuno è mai capitato di pensare di trovarsi al Mugello vedendosi piombare contro dei prototipi di Moto Gp lanciati a folle velocità non appena la carreggiata si allarga un pò oppure sulla nostra strada panoramica verso Alberobello?
7) E poi da ultimo perchè su questo non si può scherzare. Nessuno ha notato come nella nostra città dove vige il limite di velocità ridotto a 20 Km orari, non passa anno se non piangiamo tre quattro morti sulle strade all’interno della cinta urbana?
A queste domande penso debba rispondere chi pensa che la nostra città abbia un soddisfacente livello di cultura stradale.

28.4.09

Manifesti criptici


Una delle critiche avanzate al centro-sinistra dopo l'ultima sconfitta elettorale era relativa alla difficoltà nel comunicare le proprie ragioni agli elettori e quindi nel "farsi capire", nello "spiegarsi" con concetti semplici, concreti e pregnanti. Dopo una approfondita analisi il PD ha recepito tali suggerimenti e ha prodotto una comunicazione pubblicitaria che va finalmente nel senso giusto...

8.9.08

C'è un punto

C’è un punto oltre il quale
non riusciamo ad arrivare.
C’è un punto oltre il quale
vorremmo guardare.
C’è un punto oltre il quale
il tempo è ieri
e restiamo aggrappati.

C’è un punto oltre il quale
un amico ci manca.
C’è un punto oltre il quale
un amore si perde.
C’è un punto oltre il quale
un viso ci rincorre
e restiamo delusi.

C’è un punto oltre il quale
abbiamo paura.
C’è un punto oltre il quale
il vento si placa.
C’è un punto oltre il quale
una voce nel nulla
e restiamo impotenti.

C’è un punto,
un confine,
un orizzonte,
uno sfocato lapillo
che ci canzona le notti
di questo arido settembre.

12.8.08

Una Monopoli che scompare (*)

“Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude...”. L’”animus poetandi” è pervaso dal trasporto verso i “suoi” luoghi e non rimpiange esserci un “caro” ostacolo che cela spaccati d’infinito allo splendido paesaggio. Malinconiche lanugini di simile “pathos” colgono forse il monopolitano che volge “il guardo” verso quell’area desolata, un tempo fieramente occupata dallo stabilimento “Ceramica delle Puglie”. Allo scorrere del crepuscolo, baluginano ora le luci della ferrovia e delle case rurali, puntelli argentei disseminati nella campagna. Su questo ed altro riflettevo mentre, leopardianamente, cercavo di afferrare l’“oltre”, stranito, in quella piana sconvolta. Riflettevo non tanto sulla pochezza e sulla temporalità delle vicende umane, ma sulla velocità che ad esse il piglio cinico e nodoso della Storia può imprimervi. E mi pareva di rivedere la tenacia di mio padre che, insieme ad altri benpensanti, gioiva e soffriva dei provvisori successi e dei subitanei rallentamenti che, allora, nel pieno di quegli anni ’60 straordinari e controversi, il progetto Ceramica subiva, figlio dei miraggi e dei compromessi che hanno fatto la storia del Meridione d’Italia. Il mitico Pieropan, che talvolta faceva capolino a casa mia, era forse un omone alto e pelato (ma io avevo solo 4 o 5 anni, potrei confondere le proporzioni), e le sue visite erano sempre foriere di buone nuove: si capiva dall’umore di papà che volgeva al meglio. Una volta mi portò dal ricco settentrione le costruzioni Lego: da allora non le abbandonai più e per me divenne una specie di eroe (il suo nome riecheggiava Peter Pan). Papà in quel periodo si recava spesso a Roma e quando ci andava: “era per la Ceramica”. Un brutto giorno pensò che tutto dovesse saltare “per colpa del gas”: era annichilito. Poi tutto fu superato e la pietra, con annesse centinaia di provvide speranze, venne calata. Chissà sotto quale monticello di macerie giace ora, inerte testimone, cinta ancora di quelle speranze, prima fattesi realtà e poi rantolate fra i detriti. Se, d’incanto, avesse lingua e favella quella pietra! Epicamente rievocherebbe lacrime e dolore, fatica e sudore, giovani braccia tumide, abrase, di smalto imperlate, di fumo intrise, infine invecchiate, abbarbicate al vero senso che l’esistenza e la dignità dell’uomo reclama: il lavoro. Il lavoro mortificato, deluso, derubato, bruciato, in questi tempi bui dove l’uomo-merce è immolato sull’altare del profitto. C’è una simbiosi innegabile che lega l’opera dell’uomo alle mura dove si compie; e questo vincolo va al di là e sorpassa la relazione effimera che ci può essere tra esse e l’imprenditore, il quale ne ha facile premura per ragioni patrimoniali: la storia della Ceramica negli anni ci parla anche di questo. Le associazioni ideali trascinano il flusso dei miei pensieri verso quello che fu l’Istituto S.Giuseppe: anche lì un pugno, violento, nel petto di chi in quelle aule ha acciuffato barbagli di sapere e di chi teneva saldi nella memoria echi della propria missione educativa, ancora vaganti fra le volte scrostate. Odiavo il “solfeggio” e quella suora che mi relegava sempre dietro la lavagna con il libro aperto sulla testa! Quanta emozione per le recite delle mascherine nel commovente teatrino. Che sapore strano e diverso aveva l’uovo fritto della “refezione”. E che sballo il tirocinio, quando sgambettavano le ragazze del magistrale! La scuola è un grande mattone della nostra personalità, e nessuna ruspa riuscirà a scalfirlo. Poi un giorno, penso, verrà giù la Cementeria: l’ecomostro. Niente paura, come dice Ligabue, riusciranno alla fine a costruirne un altro un pò più in là. Non so se quella, pur auspicabile, bonifica, lascerà solidali o semplicemente indifferenti chi ci ha respirato per anni polveri e sabbia, chi ci ha perso un padre od un nonno, chi ci ha contratto l’asbestosi o la silicosi. E i nostri balconi invasi da lenzuola grondanti cenere, ma benedetta perché “dava lavoro”. Le mura, quelle mura, le “fabbriche”, sono un’altra grande parte della vita, di una vita orgogliosa, granitica, pettoruta: una vita da operaio. Migliore senza dubbio di quella da vivere oggi, nel segno della non-appartenenza, uguale nel disuguale, a caccia di identità travolte dal precariato (dal latino prex quindi ottenuto per preghiera, e di breve (???) durata). Finalmente “torneremo a riveder il mare” (ma fino a quando? Non ho dimestichezza e quindi temo le capriole impazzite del PUG e dei suoi esegeti, e le percentuali che ci quantizzano gli spazi). Ho sentito tante voci glorificare il mare: le stesse che poi nulla fanno per invertire la spiacevole tendenza a recintarlo e nasconderlo, “bunkerizzandolo”. Lentamente scompare una Monopoli orgogliosa e garbata, umile e generosa, ottimista e sapida: ricordo le sirene che squarciavano l’aria scandendo i turni lavorativi e noi, liceali goliardi, che aspettavamo al varco il “lento” di turno che, tardando a introitare un concetto, poi, all’improvviso, lo afferrava con una esclamazione - AHHAAAAA! - e subito lo canzonavamo: “Ecco che escono gli operai della Ceramica/Cementeria!” Una Monopoli nella quale si agitavano spiriti liberi, intelletti raffinati, autodidatti tenaci e spregiudicati, un paese dove i circoli letterari e politici erano da Rodolfo, da Peppino Di Bello o da Ciro Genualdo o, semplicemente, nei crocicchi al borgo. Una Monopoli che amava sé stessa, onorava la bandiera, di qualsivoglia colore, parlava un idioma comprensibile e rispettava l’avversario. E perciò ci stringe il cuore vedere quella landa rasa e brulla e ci pare udire le voci levarsi da quelle macerie che vorrebbero tornare a vivere in comunione con gli uomini, con il lavoro manuale, di chi “sapeva fare” ed ora non sa più, non c’è più. Incombe l’Ipermercato. E’ ancora la Storia che pigia, sperticata, sul pedale. La prevalenza (e talvolta la prevaricazione) del terziario. Niente più amore, passione, arte e dolore nelle cose “create” (non “prodotte”). Nulla dura più nel tempo, solo orpelli da competizione. Velocità e consumo. Precarietà e fragilità. Sul ciglio della strada, idealmente agitiamo il bianco bastone del non vedente, trattenendo il respiro: oltre il margine il vuoto ci fa soli.
(*) Pubblicato su L'Eco Del Sud-Est del 8/8/2008

3.6.08

Quando ti bacio


Quando ti bacio
sbreccio l’uscio del tempo
graffio l’alveo celeste
è frusta la carne
è lava il mio sangue.

Quando ti bacio
è intrigante naufragio
è picchiata fra i venti
è folgore e tuono
è crepa nella roccia.

Quando ti bacio
è Nirvana suadente
è Caronte che giacula
non mi fermerei
fino al sole ti bacerei.

Quando ti bacio
sorridono le fate
danzano gli elfi
ho il mondo nella mano
ho la mano sul mondo.

Quando ti bacio
hai la mia vita nella mano
hai la mano sulla mia vita
sei sola nello spazio
sei unica nell’universo.

12.5.08

La fine delle parole

Quando accade una tragedia scatenata apparentemente da cause naturali ciò che sconvolge non è la distanza fisica che ci separa da quelle vittime innocenti, ma la distanza spirituale: la nostra vita di occidentali imbevuti di falsa opulenza, di egoismi bipartisan, di complessi di vergognosa sazietà, scorre sempre uguale, in un universo che si è disconnesso dalla morale, in un melmoso panta rei fatto di pensiero flaccido, di pentitismi d'occasione, di barricate in torri d'avorio protette da una informazione drogata e pilotata ad arte. Se poi azzardiamo un approccio a chi fa della fede una missione di vita cercando delle risposte, anche irrazionali, ma che siano risposte, ci sentiamo presentare il "disegno imperscrutabile del divino". Non ci basta più. La fede come la politica sono ormai strumenti inservibili. Dobbiamo solo accogliere nel nostro cuore questo immenso dolore, fare in modo che tracimi, che sommerga altri cuori, altre sensibilità, coscienti che solo l'uomo può guarire sè stesso, può perforare la sua corazza di indifferenza, altrimenti sarà la fine dei tempi e delle parole.

4.5.08

Qual è il problema?

La dimostrazione che il nostro è davvero un paese strano è il polverone che si sta alzando in questi giorni per la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi. In un paese normale ciò che farebbe scandalo sarebbero i disagi di coloro che le dichiarazioni dei redditi non le possono fare, di chi un lavoro, una casa, una pensione non ce l'hanno, di chi lavora tuti i giorni in condizioni di sicurezza precarie e non sa se riuscirà a tornare a casa sano e salvo, di chi sopravvive tra stenti e sopraffazioni, tra angherie e emarginazione, tra oblio e vergogna. Chi onestamente porta a casa la pagnotta non ha niente da temere e che i sequestratori si portino allegramente via tutti i falsi, i bugiardi, gli evasori e gli sfruttatori di questo mondo!