23.11.18

Femminicidio


Solo io
poeta di strada
spargerò versi
carezze di vento
sul selciato del mondo

Solo tu
donna di strada
indosserai quei versi
carezze di sole
intoccabile al mondo.



La mia alba


Strali
d'inconsueto senso
come filari d'alga
cingono l'alba
nubi di feltro
disegnano volti

afferro ombre
chinate sul mare
s'insinua feroce
il dubbio sulla vita.

16.11.18

Pensiero indelebile

Un pensiero indelebile
è un varco temporale
sul cielo di Venere

una breccia che sgretola
muri di piombo

ardente lava
che fonde scudi arteriosi
penetra alvei
scava promontori

è l'arco della tua schiena
tesa verso il paradiso

è la tua impronta di sole
marchiata sulla mia anima.

13.11.18

Resistenze


Non esiste verso
tenue grimaldello
che potrà forzare
serrate valve
ventricoli pulsanti
della tua anima
vorticosa
esplosa
di mille soli
proiettati sfiniti
su mille galassie
dove vorrei atterrare
baciando prati fioriti.

12.11.18

L’attesa


M’ingegno
a scalfire
scaglie di momenti
rubati al vespro.

Spirali d’alabastro
ipnotiche naiadi
brumano l’aura
fluida e cruda.

L’ignoto incombe
erra sul confine
tracima di rabbia
bruca tempesta.

8.11.18

Il pescatore stanco




Il pescatore stanco
guarda con occhi lievi
l’onda che ruzzola
innervate alghe,
l’onda che flette
strascica e viluppa
sabbia e sale.

Il pescatore irato
guarda con occhi bassi
la schiuma che ribolle
di plastica intrusa,
lercia racconta
tonfi di gabbiani
trémiti di vento,
scarti di beccheggio
bagolar di verricello.

Il pescatore tetro
avverte ad occhi chiusi
l’umido che sale
perlata nebbia
rancido fumo
che affonda i sensi
abbruma i polmoni
ghiaccia le vene.

Il pescatore cupo
guarda con occhi torvi
gozzi e lampare
vira indietro il timone:

ogni ruga è un’avventura
ogni storia rema contro
la storia che dipana,
giacula, sfarina
vicende d’oltremare.

Il pescatore è fermo
statuario nel cipiglio
domatore di nodi
fra marosi mai domati
scrocchi di baracchino
ovvietà blasfeme
e laringi infrante.

Il pescatore folle
sposa cielo e mare
con un bacio dello sguardo
vola in alto sulla luna
che indica il cammino
e disegna volti antichi:

bambini nati grandi
ombre danzanti
di padri poco noti
e madri resilienti
disperse all’orizzonte.

Il pescatore piange
lacrime di velluto
ago e filo, polso fermo
rammenda la paranza
assiso sulla poppa
guarda la sua stella
ma non le sue mani.


24.10.18

Dentro lo specchio

Dentro lo specchio
affiorano
incroci di orizzonti
vasti
pulpiti di anime
elette
barbagli di sogni
obliqui
e mi fermo negletto
succube inerme
chino al cospetto
del tuo fulgore nudo.

16.10.18

Vegeto, ergo sum



Cavalco l'onda
di un sorriso stranito
mentre attorno
grigio è l'assolo
di un senso fugace.
Pupille bramose di luna
avvitano colori
sinuose spirali.
Ebbro vago
rapito.

2.10.18

Un giorno come tanti (4 maggio)



Vociare confuso e diffuso
ascolto sommesso
i suoni del giorno
un giorno come tanti
come soli.

Paziente ravvivo
i fragili schemi
che ruotano ombrosi.

Fra tanti distinguo,
afferro, deciso
il sorriso che graffia
le corde profonde.

Un sorriso di sale
smeriglio, vitale
saluta il mio silenzio
declama una poesia
al vento interiore.

29.9.18

Tramonto d'agosto



Spaccati d'ambra
sogni d'agosto
il sole che muore
frange l'azzurro
graffia di sangue
l'anima muta.

Sette pallidi amici *



* A febbraio 2017 la NASA ha rivelato di aver scoperto 7 pianeti in un sistema solare molto simili alla Terra

Oggi il cielo profondo
ha parlato di noi
una fioca libellula:
sette pallidi amici
in fila ordinata
un futuro che in fondo
ci sorride alle spalle.

La mano di una lente
tesa nel buio
ci guida benigna
noi migranti della vita
aggrappati ad una sponda.

Ci piace volare
alti, d’inebria follia,
cerchiamo incessanti
altri, migliori di noi
di noi più umili
di noi meno fragili.

La galassia ci chiama
ma l’universo non è fuori:
noi sordi, egoisti
banali, effimeri
vorremmo uno specchio
inguaribili narcisi,
incapaci sovente
a guardarci dentro.

Ci interroghiamo sull’oltre
ma adoriamo i confini
edifichiamo grandi muri
e distruggiamo i ponti.

Riusciremo a varcare la soglia
o sarà viaggio di elfi?

Quando statiche
le orbite si intrecciano
cogliamo il senso
della solitudine
perfida condanna
e vorremmo spiccare il volo…

26.9.18

Venezia



Il mio cuore
pare una gondola
dondola dondola
l'onda cristallina
solletica i marmi
brulica salina
s'inchina s'inchina.

Venezia la Regina
emerge e sommerge
ci canta l'inno degli Dei
noi piccoli plebei
estasiati di luce
fermi di gioia.



24.9.18

25 settembre: compleanno di mio padre Remigio Ferretti poeta e Sindaco





Ripropongo con uguale commozione lo scritto di più di vent'anni orsono in suo ricordo.
La foto lo ritrae mentre commenta un canto della Divina Commedia.

Quando mi ritrovo nel Caffè Rudy, mi capita spesso, papà di incontrare abituali frequentatori che mi salutano e - glielo posso leggere negli occhi - rimangono assorti, delusi, ancora una volta, dalla tua assenza. Il più commovente è il buon Saverio Pisciarino, il quale si sofferma sulla soglia, frugando con lo sguardo nel cantuccio dove eri solito interloquire con gli astanti di facezie varie, di episodi singolari, di commenti letterari e politici. Poi, visibilmente contrariato, Saverio scivola verso il bancone, consuma velocemente e si congeda. Un giorno gli ho chiesto: "Perchè non ti fermi, come facevi di solito?" E lui: "Non ho più Remigio con cui parlare. Che senso ha trattenersi oltre?" Già. Che senso ha trattenersi oltre? Forse è stato questo il dubbio che ti è morto sulle labbra quella sera di maggio che ti ha rapito. Che senso ha trattenersi oltre in questo luogo sonnacchioso e lavico, in questo ruolo da Don Chisciotte senza pace, in questo tempo bruciato dalle bramosie senza fine. Avevi tanti progetti ancora, è vero. Soprattutto il tuo libro, come una creatura amorevolmente svezzata, era lì, pronto per le stampe. Quell'ultima sera ho capito papà e ho promesso che le tue poesie avrebbero camminato per le strade e le piazze della tua città.
Che strano destino, papà. Non riuscivamo a parlare facilmente, noi. Ma da quel giorno ho riannodato con te un filo virtuoso. Mi ritrovo spesso, nell'arco della giornata, a commentare con te la vita che scorre e ci sfiora con le sue movenze inusitate, a cercare suggerimenti, consigli per decisioni difficili, pulviscolo di saggezza che solo un padre può dare.
Che strano destino, papà. Ero solo un bimbo quando il Municipio mi affascinava come un castello incantato, e tu eri il Principe del Castello: scorrazzavo per quei corridoi che profumavano di carta e di inchiostro infilandomi in ogni pertugio; e poi, assumendo un'aria solenne, mi eleggevo tuo segretario, annunciandoti le visite, impettito, davanti al tuo ufficio. Ricordo un giorno, di aver sabotato il Centralino spingendo tutti quei bottoni colorati di quella affascinante tastiera nascosta nella stanza del custode, il tuo amico Mimì Colavitti. E poi quella volta che feci impazzire Celestino, l'indimenticabile Vigile Urbano, che si chiedeva disperato che fine facessero quei palloni che sequestrava ai ragazzacci per la strada e poi, improvvisamente, sparivano dal ripostiglio del Comando. Ero un bimbo per il quale immaginario e realtà spesso coincidevano e l'assoluta incoscienza dei privilegi da me goduti rispetto agli altri bimbi della mia età, avevano fatto tracimare la tua figura nel mito. Soffrivo la tua incostante presenza nella mia vita di giochi infantili. Gli impegni ti tenevano lontano da casa e il giorno più bello della settimana per me era la domenica mattina: potevo saltare sul tuo letto e godermi il mio papà finalmente a mia esclusiva disposizione. In tua assenza, cercavo testimonianze di te fra i tuoi cassetti: e fu così che scoprii le poesie. Detto fatto, e anch'io volli essere poeta: scrivevo versi che sembravano telegrammi, emulando vocaboli per me astrusi, rigidamente a macchina, non immaginando che esistesse qualcosa che si chiamasse bozza. A casa l'ilarità fu grande e, naturalmente, ci fu qualcuno che, banalmente, sentenziò: "buon sangue non mente". E invece mentiva.
Grazie papà per avermi indicato l'onestà come valore trasversale, come ultimo baluardo di fronte alla mercificazione, alla mortificazione degli ideali, perchè possa aggirarmi a testa alta tra la gente e dichiarare, al pari dei tuoi alunni ("E' stato il mio professore!"): "Io, sono suo figlio!". 
Grazie papà per avermi insegnato la forza irresistibile del perdono: perdono per chi ti ha tradito, perdono per chi ti ha deriso, perdono per chi ti ha sfruttato, per chi ti ha calunniato. Perdono per te che mi hai un pò tarpato le ali, perdono per me che ti ho negato tutte le occasioni di dialogo. 
Grazie papà per avere scelto la mamma come compagna di viaggio: un incredibile avventura sbocciata fra le bombe di una guerra fratricida, una presenza discreta fino alla trasparenza, una spalla possente nella giungla della vita, una dedizione costante, fino all'ultimo affanno. 
Grazie papà per l'insostituibile compagnia di un fratello; siamo come lucciole, a volte ottenebrate da una notte tempestosa: presto l'aria si quieterà e l'alba ci troverà solidali e preparati al nuovo giorno. 
Grazie, infine, papà per avermi insegnato ad amare il mio paese: ho compreso il messaggio ed avrò a cuore le nostre comuni sorti perchè - come tu concludi la poesia "Giorno no" - si compia il tuo auspicio e Monopoli possa vivere, umanamente, la sua "novella storia". 

Monopoli, 27 maggio 1995
tuo figlio Ferruccio

19.9.18

Quanto ti ho amato mare


Quanto ti ho amato
mare.
La bianca spuma
spazzava ombre
frangenti l'anima
la finissima rena
spargeva dolcezza
su bocche di sole
gli abissi turchini
celavano angosce
su lame di coltello.

Quanto ti amo
mare.
Pieno nella tua assenza
grave nel mio dolore.

17.7.18

Piazza Heleanna: il grande cuore della città




Avevo 12 anni quando nella notte del 28 agosto 1971 si consumò la tragedia della nave-traghetto Heleanna. Ricordo vagamente il trambusto, le sirene, le notizie che allora viaggiavano unicamente sulla TV nazionale e sulle bocche della gente. L’incendio a bordo provocò la fuga in mare dei viaggiatori in balia di mezzi di soccorso insufficienti e in numero quasi doppio rispetto alla capienza prevista. Ci furono 41 vittime e 271 feriti. La nave si trovava al largo di Torre Canne. La salvezza dei superstiti venne assicurata con il decisivo contributo delle marinerie, tra cui quella monopolitana, che venne successivamente premiata istituzionalmente con la Medaglia d’Argento al Valor Civile, e personalmente, con riconoscimenti ad alcuni marinai e comandanti di pescherecci. Commovente fu l’ospitalità che venne fornita con grande cuore dalle famiglie della città a viaggiatori che avevano perso tutti i loro beni. Questa pagina gloriosa di recente storia cittadina mi spinge a proporre una importante variazione nella toponomastica: a ricordare le gesta coraggiose e improntate all’umana sollecitudine dei nostri concittadini andrebbe dedicata la piazza Centrale. Verrebbe così cancellato un’anacronistico riferimento sostituito da un omaggio che sarà per sempre proprietà e simbolo della città, specie per non dimenticare mai che spirito di accoglienza e solidarietà tra i popoli devono essere prerogative irrinunciabili per un paese che vuol definirsi civile.

3.7.18

La Strada delle Ginestre *


Lassù
friniscono le cicale
schiamazzano
annoiate tortore,
e prodigo
di scheggiati pastelli
ti affabula
lo splendido mix:
algida roccia,
atavica pietra
verde scolpita.

Lassù, tronfio
di impertinenti energie
affronto le rampe,
vorticoso ombelico
di sapienti spire.

La carezza delle ginestre
è soffice, fluente,
barbagli maculati
frantumano l’ombra
dei tratti di lentischio.

In fondo alla valle
Egnazia ammicca
sorniona e mai doma:
il Barbaro ha calpestato
infierito, divelto,
ma non schiacciato
l’orgoglio dei padri
e noi, eredi,
il mento al cielo,
sfidiamo.

Affronto deciso
le tornite curve:
il provvido Maestrale
solido, affusolato
porta sollievo
alla torrida stagione
e spinge ad osare
deviare, trasgredire.

In basso
le antiche Masserie,
iperboliche radici
vestali custodi
affondate nella Storia,
biancheggiano eterne.

La meglio gioventù
della strada e della vita
si concede
tempi e lampi
effimeri soli,
pindarici voli.

Mi curvo ancora
ondeggio, scarroccio
e cerco di glissare
il suolo che m’attende
lento e costante
mentre le ginestre ormai
occhieggiano lontane.

Il mare è un sentiero
graffiato d’azzurro
orlato di marmo
e pare sorvegliare
da lungi, placido,
l’epilogo.

La penultima curva
stringe il cuore
ponendo inevasi quesiti,
arroccati misteri.

La speranza della Croce
vivido conforto
domina l’orizzonte
mentre plano
come drone silente
e Monopoli,
splendida culla
adagiata sull’acqua
ridondante, m’esplode.

Sono quasi alla fine
intravedo la mèta
le solide certezze
il mio paese
l’amore vissuto
tra piazze e vicoli
profumi di alga,
spaccati di sogno.

La pianura
mi riaccoglie
paziente,
le bizze ricompone
perdona, risolve.

La Strada delle Ginestre
è la strada della vita
tante svolte,
alla fine una retta
che prende per mano
e conduce a casa.

* La Panoramica Monopoli-Alberobello

14.6.18

L'inusualità di Nuccio

Torno brevemente sulla questione dell'analisi elettorale, conscio del fatto che, come avviene sempre, le valutazioni in questo campo sono fortemente influenzate da sentimenti emotivi, come nel campionato di calcio; in soccorso dei giudizi sulle elezioni non abbiamo però lo strumento della VAR per rivedere eventuali errori che siano stati compiuti. L'aritmetica non dà scampo: chiunque può calcolare che, fermo il risultato di Nuccio, se al M5S fossero andati 2000 voti in più prelevati dal campo avverso, sarebbe stato ballottaggio. Io stesso ho segretamente sperato che andasse a finire così. Quello che ho voluto sommessamente evidenziare è che non è una mossa politicamente avveduta sottolineare tra le principali cause di un insuccesso, una esogena, quale può essere una scommessa sul risultato altrui, anzichè quella endogena che credo di aver ben trattato nell'intervento precedente. Ancor di più se questa scommessa/previsione riguarda il "torrente" (corrente d'acqua caratterizzato da estrema variabilità di deflusso con alternanza di piene violente e di portate limitate o nulle cit. Treccani), chiamato M5S. E' cosa nota come "il voto di pancia" espresso a livello nazionale si sgonfi nelle urne delle città. Ancor di più è necessario sottolineare alcuni aspetti precipui della nostra realtà. Ho scritto che i 1820 suffragi del M5S possono essere considerati i voti realmente "incazzati", insieme ai 10744 del centro sinistra. Per quale motivo? Perchè sono quelli che hanno resistito alle valutazioni del tipo: "tengo famiglia", "mio cognato, cugino, zio è con loro mi può essere utile", "il mio datore di lavoro ci ha detto che votando per loro stiamo sicuri" solo per fare qualche esempio dei più nobili. Gli altri 7000 elettori migrati dalle elezioni politiche al centro destra hanno invece ceduto alle pressioni/blandizie ed altre procedure, determinandone la vittoria al primo turno. Ecco perchè il risultato storicamente migliore del centro sinistra non è bastato. Ecco perchè riconquistare gli "incazzati" e incanalarli in acque meno torrentizie è missione assolutamente ineludibile. E sapete cosa mi auguro? Che questo compito sia, sì, affidato al permanere della coalizione sul campo, come è stato confermato, ma soprattutto che il PD rinasca dalle ceneri con il volto sorridente e le braccia aperte verso coloro che non ci stanno credendo più, verso coloro che hanno perso le speranze, verso coloro che si sono sentiti traditi, verso coloro che vorrebbero ancora una bandiera gloriosa da sventolare. Infine ultime due parole ancora su Nuccio. Non è usuale che lo sconfitto faccia un comizio di ringraziamento. Non è usuale che lo sconfitto onori il vincitore in modo così spontaneo e sincero. Non è usuale che lo sconfitto si commuova ricordando le fiammelle di speranza negli occhi di chi lo ha convinto a candidarsi. Non è usuale che si commuova per i ragazzi e le ragazze che si sono sfiancati nutrendosi del suo entusiasmo e della sua passione. Niente è usuale di Nuccio. Ecco perchè gli va solo dedicato un enorme grazie per aver soffiato via la cenere che ricopriva carboni che sembravano spenti, per aver defibrillato cuori annoiati e stanchi, per aver rilanciato un'idea, un sogno, una missione.

12.6.18

La sconfitta colpa del M5S: Ma siamo matti??

Premetto che voglio bene a Nuccio Contento, riconoscendo in lui le caratteristiche di chi, come il sottoscritto, è cresciuto in un’epoca in cui la politica era una cosa molto diversa da quella attuale. Lo sforzo di attualizzare sogni, valori, ideali, coniugandoli con i propositi concreti da realizzare in una società cosiddetta “matura”, da un Sindaco di sinistra in una città di destra, è titanico, e può riservare delusioni di non semplice metabolizzazione. Che Monopoli sia di destra lo sanno ormai anche le mattonelle del borgo: quelle vecchie e quelle rifatte tre volte dalla nostra perfetta amministrazione. E su questa ormai vexata quaestio non è più utile spendere altre riflessioni, se non affidarsi a riti voodoo, esorcismi e stregonerie varie. Ma, signori miei, come direbbe lo sterminatore del PD, sentire che la colpa del tracollo è del Movimento 5 Stelle, mi sembra una tale bestialità, solo forse giustificata dall’eccesso di adrenalina accumulata da un pugile suonato. E’ come se, avendo scoperto un furto con effrazione in casa, si attribuisca la colpa non ai ladri, ma all’antifurto che non ha funzionato. Cioè 1820 voti incazzati di questa città sarebbero stati sottratti tutti al centro sinistra e non all’Invincibile Armata, e questa sarebbe una colpa? Se la conclusione è questa, oltre che essere un pessimo esercizio di autocritica, essa rivela ancora una incapacità di cogliere l’essenza e la natura del M5S, che è un movimento liquido, che si adatta al recipiente che lo circonda il quale, come abbiamo detto, è un recipiente di destra, e pertanto l’istanza di ribellione, per cercare di rompere il recipiente, (evidentemente finora inevasa), raccoglie consensi a sinistra. Cosa c’è da stupirsi? Allora cominciamo a chiederci perché gli incazzati (quelli che votano e quelli che non votano più) non vengono più nel nostro accampamento. Quel 35/40% che Nuccio diceva di aver previsto di raccogliere comprendeva un PD al suo peggior risultato di sempre della storia? Allora c’è qualcosa che non va. Non può Monopoli avere un partito erede della sinistra storica al livello di comparsa testimoniale. Qualcuno ha sbagliato e deve fare non uno, ma una decina di passi indietro. Questa miserabile deriva renziana, elitaria, condita da beghe personali e vendette trasversali! Che pena per il partito che fu di Barbarito e Matera, pochi professori e avvocati, ma tanti e grandi macinatori di consenso, coerenti e leali. Frantumate i vostri specchi di Narciso e convincetevi che la gente non vi vuole belli e forbiti, ma sudati e urlanti il vostro e il nostro sdegno, il vostro e il nostro orrore per una città mortificata da un’aggressione senza precedenti, dove si lanciano segnali preoccupanti alle giovani generazioni che tutto sia possibile con la tracotanza e la supponenza. Bene, a mio modesto avviso occorre ripartire da qui e cercare di ricostruire dalle fondamenta una sinistra nelle piazze, lasciando perdere i Social e tornando alla luce del sole; una sinistra che non faccia pubblicità delle proprie battaglie solo in prossimità delle scadenze elettorali. A cosa è servito salire sul palco 2 giorni prima delle elezioni, come ha fatto il dott. Sorino e inveire contro il deus ex machina della parte avversa, quando buona parte della popolazione forse neanche sa chi è e cosa fa Pasqualone. Ha suscitato il disturbo pari a quello di un moscone impazzito sul vetro del soggiorno. Chi ci ha pubblicamente informato durante questi 5 anni della vicenda Solemare, della Casina del Serpente, dell’Area Pagano, dei rifiuti, dell’inquinamento, del cemento che avanza sulle spiagge? Quante manifestazioni di protesta sono state organizzate? Quante marce, quante conferenze stampa? La città deve essere costantemente tenuta sul pezzo, aggiornata sulle porcherie in itinere. Non basta la pur ferma e necessaria opposizione fra le mura di Sala Perricci. Gli incazzati si raccolgono e si moltiplicano così. Riflettiamoci.

24.4.18

Alfie



Vivi.
Astrusa miscela
di atomi curiosi
indecifrabili ballerini.

Vivi.
Alito di cellule
giocose vibranti.

Vivi.
Smentiscili tutti
scienziati e corifei.

Vivi.
E trascina con te
mille cuori di bimbi
smarriti
tra le onde

svenduti
dagli orridi
signori delle guerre.

Monopoli: Contrade 2.0



In questi giorni di campagna elettorale ogni candidato cerca di spendere il suo carisma per attirare i consensi nelle contrade, bacino storicamente decisivo per far pendere le sorti dell’una o dell’altra parte in lizza. Finora gli esiti elettorali dai tempi dell’occupazione del potere democristiana, sono stati decisi da uno scambio più o meno tacito di favori: il voto per una concessione, un’accelerazione di disbrigo pratica, una sistemazione di strada ecc... Il mondo ha girato sempre in quel verso e ciò viene accettato da entrambe le parti con reciproca soddisfazione, poiché, prima o poi, qualcosa da chiedere capita sempre. E’ quello che si chiama comunemente sistema clientelare. Ovviamente nessuno ha interesse ad una crescita culturale, ad un cambio di passo che chiarisca i concetti di diritti da una parte e di equità della Pubblica Amministrazione dall’altra. Ma i tempi stanno cambiando e la prepotente ascesa sul palcoscenico di ultime generazioni con le loro (anche) contraddittorie dimostrazioni di presenza deve stimolare a scompaginare questi vetusti schemi antidemocratici. Monopoli reclama il suo diritto ad essere considerata (permettetemi l’abuso linguistico), non centrostoricocentrica, ma orientata verso uno sviluppo armonioso che faccia delle Contrade (congiuntamente al rilancio del borgo murattiano) il fulcro sul quale puntare il compasso del futuro della città. Mi permetto perciò di avanzare qualche proposta destinata principalmente alla coalizione di centrosinistra.

- I cittadini residenti devono sentirsi sempre più “parte” del paese; quindi vanno bene i presidi fissi propaggini degli uffici comunali, ma occorre pensare anche a insediamenti congiunti del Corpo Forestale e Vigili Urbani;

- Potenziamento dei servizi: illuminazione delle strade, erogazione di acqua e gas. Occorre facilitare ai richiedenti gli allacci necessari alle reti di distribuzione disponibili riducendo al minimo i costi e i permessi necessari; potenziamento ed estensione dei percorsi dei trasporti pubblici;

- Realizzazione, dove sia possibile, di piste ciclabili con indicazioni turistiche per informare della presenza delle nostre storiche masserie da visitare;

- Sviluppo delle infrastrutture digitali. E’ scandaloso che ancora ci siano zone non coperte dalla rete internet. Se i gestori non ci arrivano, il Comune stipuli convenzioni con le reti-ponte gestite da privati a tariffe concorrenziali con i principali operatori;

- Strettamente connesse all’accesso alla Rete andrebbe considerata la realizzazione di luoghi pubblici di connessione: penso a Internet Point e biblioteche multimediali in modo da dare ai residenti, in special modo ai ragazzi, opportunità di studio e/o ludiche senza necessità di spostarsi in Centro;

- Le contrade devono “vivere” tutto l’anno non solo nei periodi delle sagre e delle feste parrocchiali; leggo di un progetto di tendostruttura in via San Marco da utilizzarsi per attività sportive e di spettacolo. Sarebbe scandaloso se si decidesse di realizzarla invece (o insieme) in agro?

Insomma Monopoli che è il settimo comune per estensione e il quarto per popolazione della provincia di Bari, con questi interventi, diventerebbe una comunità più “vicina”, meno dispersa: compito dell’amministrazione “abbracciare” simbolicamente i suoi cittadini ridestando valori d'identità e solidarietà fondamentali della nostra tradizione.