9.3.20

Il mio occhio


Il mio occhio
strale di luce
dardo inclemente
inchino all’avvento.

Scava solchi perversi
insinuando artigli
in profonde cateratte.

Umettami di nettare
spremi grani vitali
trascinami gaudente
ai confini dell’ignoto.

4.3.20

Pertugio


E mi ritrovo ancora
aggrappato a lembi
di nuvole sgraffiate
pennellate talentuose
che recitano ghirigori
ad un cielo intorpidito.

E salgo cado risalgo
una nenia beffarda
eco struggente
nei meandri del già visto
già cercato già perduto.

Salgo cado risalgo
metronomo inclemente
becero coro di gazze
scherno di foglie rutilanti
pompose naiadi
nell’empietà del caos.

Salgo cado risalgo
ho lasciato le unghie
conficcate nel passato
vaga è la meta
facile urtare la nebbia
infido coro delle sirene.

E salgo cado risalgo
su picchetti avvitati
profondi cilici
chiodi scarnificanti
il ventre del probabile.

Ma salgo cado risalgo
presto la luce ferirà
un pertugio resiliente
spaccato sul tramonto
e mi fermerò assorto
a rimirar la gioia.

Pandemia


Ci vietano gli abbracci
ombre siamo nel divenire
corpi vuoti
anime purulenti.

Ci plasmano i destini
spettri stanati dalle tane
orridi nani
storpiati vilipesi.

Ci stuprano il DNA
colpevoli di superbia
bordeggiamo il confine
tra Amore e Morte.

Quel che resta
è tremula cenere
piatta latenza
secca angoscia.

Il gravido imbuto
crepa il tempo
dove rotolano
i gusci vuoti
del mio esistere.

24.2.20

Icaro



Dietro l’angolo
del dubbio
alla fonte
del disvelarsi
sul versante
del tentennare
ascolto i miei passi furtivi
restii all’osare.

I sensi arresi
all’assedio del falso
d’incanto vigili
al vento del dolore
pongono queruli dubbi
sfangano tremori
di sterile incoscienza.

Il passaggio incombe
veste maschere irridenti
al vuoto del vivere
orlato di menzogne 
cantate al mostrarsi

Avanzo gravato
da miglia di voli
con eliche stanche
negletto di nuvole sporche
esalando vuoto.

Mi spingo a cercare
pianure infinite
dove rullare felice
perdermi d’azzurro
tornare lassù
dove il canto del sole
è preda di anime elette.

18.2.20

Maestrale


L’aria rassodata
da frange rubino
screziato d’avorio
trattiene refoli
resilienti, tenaci
uncinati ad uno sbavo
di tempo soffuso

la tua ombra
emerge dal cerchio
paludato ove stremato
arginavo il dolore.

Ma da lungi s’annuncia
parto di rupi glaciali
imperioso irruente
scavalca gli indugi:

Salute a te
provvido Maestrale
principe dei venti
vindice di rassegnazione
sacro purificatore
dei vicoli del cuore

oggi volo
sui gracili percorsi
della memoria
il passo ritmato
inclino e raccolgo
folate d’ebrezza

portami sul dorso
del senso fugace
rigenera smorte cellule
alzami benigno
in cima al destino.

10.2.20

La mia corsa con un amico

E’ un pò che corriamo
amico mio
e se proviamo a girarci indietro
chissà da dove veniamo.

Siamo stati bene
in fondo io e te
all’unisono, in sintonia.

Dolore quando c’era
e amore, gioia, follia,
abbiamo bevuto vento
e bonaccia
a picco sul mare dei sogni
unite le nostre urla di sale
salivano avvitate al cielo.

E corriamo ancora
ventricoli allineati
al ritmico stormire
di queste foglie d’autunno:

ci piace ancora darci la mano
e sfiorare con le dita le nuvole
le gambe intontite
pesano sempre più:
non ci pensiamo, forza!

Se ci dovessimo fermare
vorrei che fosse di corsa:
sempre mano nella mano
mentre un fulgore di stelle
ci spacca le vene
e lentamente ci adagiamo
sulle servizievoli onde
di un mare adamantino.

Ma noi,
mio pulsante amico,
avremmo fatto il nostro:
rincorso, pregato, perdonato
stretto patti inverecondi
e poi penitenti, a capo chino,
scossi da febbri e sudori
a ripercorrere l’eterno
cerchio della vita.

Alla fine abbiamo amato
straziatamente
fino alle porte degli inferi
e, scavalcate,
abbiamo bussato a quelle
del paradiso.

Siamo paghi
vecchio amico mio
continuiamo la nostra corsa
fino all’ultimo sorso di fiato.

Fai rumore (*)


Sommerso 
da un silenzio vorace
una voragine spettrale
in cui la ragione
rimbalza tra pareti aguzze

graffiata abrasa
la mia anima si sfibra
sfilaccia atomi di resa

mi trascino sul piano
della sconfitta ombrosa
avvolgendomi di polvere
e lacrime
provvidi unguenti

ma ti prego fai rumore

che venga dal profondo
dal covo della memoria
dal periplo dell’eterno

fammi percepire
una presenza nell’assenza
un picco sul monitor
di brutale splendore

fai un flebile rumore

che possa ridondare
tra valli raggrinzite
paesaggio lunare
dove cieco mi aggiro.

(*) Ispirata dalla canzone vincente - Sanremo 2020

Grazie Roberto (*)

Non avremmo creduto 
di avere la forza
di separare le montagne

non avremmo creduto
di respirare orizzonti
avvolti d’immenso

non avremmo immaginato
di sprigionare urli di sole
fuochi di vento
armonie infinite

avevamo rimosso
di possedere amore.

(*) Per Benigni declamatore del Cantico dei Cantici - Sanremo 2020

7.2.20

Lucciole


Ho raccontato una fiaba
alle lucciole impazzite
una storia di senso incompiuto
una poesia inventata
dagli angeli della fantasia
un canovaccio di simboli
disegnati sul nulla
che avevano vita propria.

Quando la luce ha deriso
il sonno del poeta
ha lasciato devastato
il paesaggio del tormento.

Ma tant’è.

Un sogno resta sogno
anche se ti frusta l’anima.
I vuoti da colmare
sono qui
innanzi agli occhi del coraggio.

Pensieri circolari


Assorto
in meandri antelucani
le mani afferrano
scampoli di senso

chinato sul grembo
clemente del fato
sogni liquidi galleggiano
propagano incuranti
delle tempeste dei cuori

anarchiche rotondità
si flettono amorevoli
sul limitare del dubbio.

28.1.20

Altitudini


Denaro, potere, dominio
perverse lusinghe
non possono forzare
le inaccessibili serrature
le vergini coscienze
degli spiriti alati

noi sorvoliamo le miserie
di un senso comune
immorale e gracidante

noi restiamo immuni
dalla melma putrida
che corrompe l’umano

noi falchi pellegrini
cantiamo alla natura
un empireo di voli
picchiate, planate

noi figli del vento
cavalieri del sogno
facciamo l’amore
tra nuvole giocose

chi ci ama ci segua
sveleremo il segreto
per cancellare l’ombra
da uno stolido pianeta.

18.1.20

Foglia rotolante



La vita gira come foglia
morbida rotola succube
su ripiani stabiliti dal fato
incalzata da venti confusi
essa plana docile
impunta imbizzarrita
sciama nella folla
popola deserti.

Oh vita mia come foglia
alla mercé di pulsioni
contrarie ambigue
ferite da spigoli aguzzi
strappata all’albero nativo
per un’alba indocile
t’accolgano solerti sponde.

Per un’amica



Voglio bene ad un’amica
un’anima leggiadra
che filtra raggi virtuosi di sole
tra fenditure di bastioni
eretti su un pianeta di saccenti,
di razzisti, di scurrili.

Voglio bene ad un’amica
che porge mani invisibili
che lancia un pensiero
lontano, nel buio di un sospiro, 
vicino, nel vulnus di un lamento.

Voglio bene ad un’amica
tanto ma tanto bella
una stella luminosa
al mio triste crepuscolo. 

Voglio bene ad un’amica
tanto ma tanto bene
ed è cosa rara
una congiunzione di pianeti
contigui nel linguaggio dei giusti. 

Ricordati sempre di volermi bene
amica mia unico tronco
al quale afferrare le mie radici.

Ad una creatura mai nata


Tu sei restato cielo
mistero di atomi scomposti
nugolo di desideri intonsi

sei restata brezza
che lèva dalle selve d’oriente
voce di terra feconda

tu
sei restato canto
di policromi usignoli
danza di fate garbate

sei restata mare
carezza di placide ninfee
bacio di lontane sirene

tu
sei rimasta eterna domanda
incastrata tra le nostre vite
macerato dubbio
asfittico silenzio.

12.1.20

Eclissi


Luna graffiata
unghie striate
raggi di velato tepore
sbavati da orli merlati
grottesca maschera di cielo
invito a genuflesso stupore

sussurrate vibrazioni
armonie d’incanto
cerco di vergare
spiccioli di futuro
versi sfrigolanti nebbia

il tuo profumo pervade
inebria la pianura sottesa
tu padrona dell’opaco
custode di freddi giacigli

mie biascicanti cellule
rotolanti vani sproloqui
vinte da prosaici fumi
afferrano i tuoi virgulti

porgimi salvifica mano
onirica Dea del silenzio
sfarina questo firmamento
di mestizia e di sale
regalami giocattoli d’alba.

7.1.20

Antonio e Piero Brescia: sottobraccio sul sentiero dell'arte.


Il 4 gennaio Piero Brescia ha regalato alla città una parte della produzione artistica del fratello Antonio presentando il volume "Totemanzia" nella sala della Biblioteca Rendella. Come già accaduto in passato, quando mi ha "raccontato" di persona il talento di Antonio, consentendomi di tracciare un mio personale ritratto del poeta, sulla base delle sue precedenti pubblicazioni (cfr. su questo blog: "Antonio Brescia l'uomo che ha scalato l'infinito a mani nude"), anche in questa occasione il mio sentire è stato scosso da intense vibrazioni che mi hanno portato ad un altro spontaneo omaggio alla sua arte e all'inestimabile patrimonio d'amore che lega i due fratelli. 


Notti insonni
disteso sulle ombre
piegato sul buio
assurde sentenze
devastanti ferite
piaghe ulcerose
scavate nel petto.

Ma tra gli intrecci
dei ventricoli pulsanti
rosso di linfa vitale
galleggia immenso il Dono
un incrocio di armonie celesti

Tu mio clone spirituale
mio mentore e guida
hai dipinto il mio
esangue tappeto
di indicibili colori
hai acceso la miccia
esplodendo il mio torpore

Hai forgiato un miracolo
di versi inesistenti
sulle pagine del mondo
sei assurto Totemante
deridendo i Nuovi Filistei

Mi hai preso per mano
conducendomi all’Intuizione
non mi hai più lasciato:
Camminatore delle galassie
Pioniere dell’Invisibile
fratello mio in eterno
la tua scia luminosa
è il sentiero che percorro.

1.1.20

Argini celesti


Librato sul limitare
vorticoso del dubbio
anelo dissolvermi
nebbia sanguigna
o ergermi impavido
alle frane del gelo
che plasma il tuo cuore
e svelarmi anima nuda
al cospetto dell’ovvio.

Nuvole sghembe
spazzano e spaiano
visi abbozzati
reietto mio cuore
aggrappato a raggi inerti
sublimo spasmi di sogno

la tua calda presenza
in una notte infinita
dove pullulano Elfi
danzano Naiadi
sfilano Camene
adagio nell’oblio.

28.12.19

Assenze


S’insinua tremula
subdola morbida
evanescente quasi
assottiglia le trincee
scivola sotto le rocce
frantuma le scorze
ha una lama di specchio
che brandisce con sussiego
ha una corda di ferite
che disegna sulle spalle

mi carpisci scrupolosa
mi avvolgi incessante
mi arrendo al tuo volere
infame malinconia.

Vengono da lontano


Vengono da lontano 
dove sorge il dolore 
camminano sui cocci
di un tempo diroccato 
spinti da un vento bugiardo 
cercano otri di abbracci 
assetati di pace.

Tranciamo le funi
che stringono il cieco
osceno furore 
del nostro piccolo mondo
le nostre braccia
il porto sicuro
dove carezzare gli angeli.

18.12.19

Noi


Noi
condannati alla smodata
ricerca di un quanto
abbiamo smarrito il come
e vorremmo tornare ad essere
strisce di luce pulsante.

Noi
pulviscolo nel vuoto,
noi cenere di stelle
plasmati di follia,
noi anime perdenti,
fagocitati annientati.

Noi inchiodati alle inezie,
siamo tanti Icaro:
ci manca riprendere il volo.