16.8.20

Che cos'è la felicità


La incontrò su una spiaggia poco frequentata. Era il 14 agosto e il solleone crepava ogni materiale esposto per più di 10 minuti. C’era folla sciamante ovunque, ma quella spiaggetta nascosta alla vista dietro vecchi capannoni abbandonati era pressoché deserta. Lui leggeva Goethe, lei leggeva Joyce. Fu amore a prima vista. Non si presentarono neppure e dopo 5 minuti erano immersi nella discussione se le forme di felicità finora cercate dall’umanità erano illusorie o concrete. Lei aveva dei vivacissimi occhi marroni che diventavano due fessure quando la conversazione cresceva di intensità. Lui aveva una gestualità sincronizzata alla perfezione con l’eloquio, forbito ma non stucchevole. Il sole sulle loro teste sembrava rassegnato a non incidere minimamente sui loro dialoghi affrettandone l’epilogo. Ad un certo punto, arrivati contestualmente alla conclusione che il “carpe diem”, dopo tutto era la soluzione più idonea, si baciarono. Prima sugli occhi, poi sui nasi e infine sulle labbra, dolci e salate insieme, in un incredibile miscuglio. “Ma come ti chiami?” “Enrico. E tu?” “Irene”.
“Mi vuoi sposare Irene? Ma non in Municipio o in chiesa. Ti voglio sposare nel pulsare dei venti, nel fragore del mare. Ti voglio sposare sulla cima del vulcano più ribollente della Terra, perché il suo magma non può competere con il mio amore per te”. Irene non disse nulla. Si alzò prese le sue mani nelle sue e dai suoi occhi divenuti fessure scaturirono lampi di desiderio. Fecero l’amore sulla spiaggia quella notte. La mattina dopo Enrico si svegliò ma era solo. Chiamo Irene a squarciagola ma senza esito. Poi guardò su di un muretto a secco che circondava i capannoni. C’erano due conchiglie abbracciate e a fianco una scritta: “Hai compreso ora cos’è la felicità?”

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