Ti chiedo perdono
se ho origliato
all’uscio del tuo dolore
non c’era morbosità
ma sacro stupore.
Sono entrato a piedi nudi
addentrandomi cautamente
nei cavernosi vicoli
dove si consumava
l’erosione becera
della tua ingenuità.
Era mia intenzione
ferirmi di singhiozzi
acuminati come dileggi,
espiare le colpe di chi
si atteggiava e colpiva.
Ora con le piante dissanguate
m’inchino e ti invito a danzare,
reginetta della notte,
voglio portarti sul mare
a disegnare infiniti sulla sabbia
perché l’alba sta arrivando
e la nostra vita annegherà di luce.
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