Sulla mia veranda
un soffitto intermittente
buca un cielo ossuto
dove sparpagliate
ruzzolano vorticose
falene impazzite.
Parapetti di marmo
accolgono gomiti esausti
e scalano domande
la cui inevasa morte
spira col vento della notte.
Il tempo che si ferma
è peggior condanna
di quello che fugge via.
Blocchi di tormento
piantati nella memoria,
elastici che frustano
la schiena dell’anima,
versi che volano -si -
ma lo spazio a volte
è nero di pece
e gravido di mostri.
Perché mi hai fatto poeta?
Rispondimi cielo perverso!
Avrei preferito restare cieco
e non essere rapito
dalla morte delle stelle:
esse scoppiano d’amore,
si fondono nel Nero
e da loro nascono mille soli
e nuova vita nell’universo.
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