26.3.25

Il parco e l’altalena



C’era un’altalena
annodata ai profumi
di un parco antico.

Penzolava attraente
verso sguardi curiosi
e braccia smanicate.

Defilato e trasparente
attendevo anch’io
con sommesse vibrazioni
di vedere il primo salto
su quel sedile di legno.

Furono dei capelli
dal colore di corteccia
che si agitarono
capricciosi sulla schiena
e vidi partire la rincorsa.

Dolci erano gli ondeggi
con le materne spinte
in un trionfo di sorrisi
e la manina sollevata
a fare ciao alle nuvole.

Volli accostarmi
a chiedere con lo sguardo
un segno d’intesa
per aiutare anch’io
a prendere in giro le rondini.

Il mento si abbassò,
il sorriso si divise,
raccontai una storia
di fatine ed aquiloni
e per qualche minuto
il parco ammutolì.

È passato tanto tempo
il parco non c’è più
e nemmeno l’altalena:
oggi c’è una donna
che non ricorda più
e mai ricorderà
chi giocò con lei
in un balbettio
di primavera.

23.3.25

Scritture brevi: Il vecchio molo



Era la fine di aprile. In quel periodo il suo paese si gode lo spettacolo di una primavera in trionfo e di un’estate in embrione, che si prendono sottobraccio come vecchie amiche, scambiandosi i loro migliori doni: i profumi della natura in festa, deliziati da una temperatura gradevole, da apprezzare in una rarefazione di moltitudini.
Il giorno di festa lo sospinse verso il mare.
Il suo luogo preferito era un vecchio molo abbandonato, dove un tempo approdavano mercantili, circondato da una larga cala protetta dal maestrale. Stese il suo telo sulla liscia superficie di cemento e si sedette comodamente in un silenzio surreale. Il sole aveva preso possesso del cielo come un antico feudatario medievale, scalciando via ogni tentativo di nuvole. L’aria era avvolta da una calura inebriante. Il mare aveva apparecchiato una tavola trasparente, sulla quale qualche timida onda si limitava ad accarezzare gli scogli, dove i granchi sgambettavano pigramente. I gabbiani sembravano volare d’inerzia, come cercassero comode amache da occupare con le ali aperte per abbronzarsi.
Da qualche giorno era depresso. Aveva la sensazione che l’amore della sua vita fosse nella fase terminale. Non aveva bisogno di riflettere più di tanto su cosa stava accadendo per una ragione ben precisa: era certo, per com’era la sua indole, che qualsiasi decisione avesse preso, avrebbe finito per distribuire sofferenza sulle persone intorno a lui e i relativi rimorsi lo avrebbero inseguito incessantemente. Sarebbe accaduto anche ove avesse deciso di non decidere. Questo peso lo opprimeva come un macigno sul torace.
Si distese sull’asciugamano e indossò gli auricolari. La musica da sempre aveva il potere di trascinarlo lontano. A volte la cercava per distrarsi. In altri casi per infossarsi ancora di più nel dolore, per escoriarsi l’anima, cercare redenzione o farsi scomunicare dalla vita.

“𝙄 𝙛𝙤𝙪𝙣𝙙 𝙖 𝙡𝙤𝙫𝙚 𝙛𝙤𝙧 𝙢𝙚 𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙙𝙞𝙫𝙚 𝙧𝙞𝙜𝙝𝙩 𝙞𝙣”.

Le note entrarono nei suoi padiglioni con la forza di un ariete. Quella canzone era ormai una hit tra le più conosciute e, come spesso accade, il suo stesso successo la ridimensionava in originalità e trasporto. Ma la musica ha una connessione stretta e dirompente con i momenti topici in cui viene ascoltata. E questo, per lui, era uno di quelli.

“𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙠𝙞𝙨𝙨 𝙢𝙚 𝙨𝙡𝙤𝙬, 𝙮𝙤𝙪𝙧 𝙝𝙚𝙖𝙧𝙩 𝙞𝙨 𝙖𝙡𝙡 𝙄 𝙤𝙬𝙣”.

Il suo cuore iniziò ad accelerare, inciampando e ingolfandosi come un’auto che passasse repentinamente dall’asfalto allo sterrato. Gli si materializzò il volto di lei, sorridente, chino su un orizzonte ignaro e inondato di luce. Il sole intuì di essere d’impaccio e richiamò velocemente un cirro d’emergenza. Ebbe anche la sensazione che i gabbiani, educatamente, scansassero quello spaccato di cielo per non interferire con la sua proiezione.
Pensò che l’amava, oh si! L’amava davvero tanto e non voleva perderla.

“𝙊𝙝, 𝙗𝙖𝙗𝙮, 𝙄'𝙢 𝙙𝙖𝙣𝙘𝙞𝙣' 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙖𝙧𝙠 𝙬𝙞𝙩𝙝 𝙮𝙤𝙪 𝙗𝙚𝙩𝙬𝙚𝙚𝙣 𝙢𝙮 𝙖𝙧𝙢𝙨 𝘽𝙖𝙧𝙚𝙛𝙤𝙤𝙩 𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙨𝙨 𝙬𝙝𝙞𝙡𝙚 𝙡𝙞𝙨𝙩𝙚𝙣𝙞𝙣' 𝙩𝙤 𝙤𝙪𝙧 𝙛𝙖𝙫𝙤𝙪𝙧𝙞𝙩𝙚 𝙨𝙤𝙣𝙜”.

Gli venne in mente che aveva sempre desiderato una cosa che non si era ancora potuta materializzare. Voleva ballare con lei un lento come si usava negli anni ‘70, interminabile, guancia a guancia, con i suoi capelli che gli finivano negli occhi, baciandole i lobi delle orecchie, e mormorandole cose ridicole, sconclusionate, poesie di bambini.
Ormai piangeva a dirotto e i gabbiani disegnavano ghirigori in quello spazio vuoto dove si era dissolto il sogno.
Si tolse gli auricolari e notò che il sole aveva riconquistato il suo incontrastato dominio.
Era solo, aggrappato a quel vecchio molo, dove un tempo poderosi natanti avevano ghermito la terra, mentre ora la sua fragile barchetta stava lentamente prendendo il largo verso un misterioso destino.

2.3.25

Scritture brevi: Il giardiniere


Van Gogh: Il giardiniere


“Stai tranquillo”, mi dicevano. E questa cosa, per di più, la leggevo da tutte le parti: sui biglietti dei baci Perugina e tra i versi dei poeti famosi. E forse avevo iniziato un pò a crederci.
Sarà così: Il Tempo ha le sue proprietà taumaturgiche.

“Arriverà ogni giorno come una brezza delicata e un pochino alla volta ti si sfocherà tutto”,

come quelle pellicole Super 8 che giravano sui proiettori decenni fa. E come succede per i “mantra”, la norma non vale per tutti, o forse per pochi o nessuno. Chissà.

Allora io ho provato ad immaginare il Tempo nelle sembianze di un abbronzato giardiniere che un giorno viene a far visita.


- Salve! Come va? Le serve qualche lavoretto?
- No guardi, non credo proprio.
- Sa perché glielo chiedo? Passo spesso di qui e ho notato che il suo terreno è da anni pieno di buche.
- Ha ragione. Ma non ho la forza e neanche tanta voglia, forse, di riempirle.
- Senta, io sono un esperto imbattibile in queste incombenze. Mi chiamano tutti - a volte m’invocano - per provvedere a ricoprire vuoti che, a parte l’aspetto estetico, possono divenire ricettacolo di indesiderabili conseguenze.
- Dice davvero? Lei ha così tali competenze da svolgere in modo semplice ed indolore questo lavoro?
- Assolutamente. Non se ne pentirebbe e mi ringrazierà per aver riportato il suo terreno nelle condizioni ottimali per andare avanti.

Dirò la verità, queste parole mi facevano riflettere. Un giardiniere di quell’esperienza avrebbe potuto fare al caso mio. Quelle buche sarebbero state riempite ed io non sarei stato più costretto a fare giri larghi ogni santo giorno, per scansarle e non doverle incrociare per poi stare a rimuginare.

- Va bene, accetto la sua proposta. Quando intende iniziare?
- Anche subito, se è d’accordo.
- Certamente, prima si incomincia e prima si finisce.

Pausa.

- Allora? Cosa sta aspettando?
- Eh! Mi deve dare gli attrezzi!
- Cosa? Ma che razza di giardiniere è lei? Si presenta senza attrezzi?
- Ascolti, per questo lavoro io ci metto la manodopera fatta di lentezza e accuratezza, non lascio fastidiosi residui, ma lei deve crederci davvero e fornire la necessaria collaborazione.
- Ho capito. E se io non avessi gli arnesi che servano allo scopo?
- Guardi bene. Ce li hanno tutti. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, se li procuri. Deve dimostrare che davvero ci tiene, altrimenti io non posso far nulla.
- Così lei mi sta dicendo che io, in fretta e furia, dovrei affacciarmi alla prima ferramenta e raccattare le prime cose che trovo? Mmmm…sa che le dico? Lasci stare quelle buche. Ormai sono storia e parte della mia terra. E poi, chi mi dice che se le facessi ricoprire non ne vengano poi fuori altre, meno profonde, meno perfette, meno vissute? No guardi, laggiù in fondo a quelle buche, scavando, è venuto fuori quello che sono ora, il vero me stesso. 
- A lei la scelta, io le ho fatto la mia proposta. Mi stia bene.
- Arrivederci.
- Addio.

26.2.25

Try - P!nk



La mia reinterpretazione.


La domanda è sempre uguale:
Cosa starai facendo ora,
proprio ora?
Mi viene di chiedertelo
sotto la cenere
di un fuoco che non smette
non smette mai di bruciare.
Un fuoco che non uccide
perché il suo compito
è solo far soffrire.
Ma perché innamorarsi
se poi si deve bruciare?
Sarebbe più facile scomparire
che stare distesi tra le domande.
Non so se riuscirò ad alzarmi
ma devo provare e riprovare
provare e riprovare
per tornare a camminare
e spegnere questo fuoco.
Provare e riprovare
provare e riprovare
fino a quando tornerò a camminare
fino a quando mi chiederò ancora:
Cosa starai facendo ora?

24.2.25

Abissi di luna



E così, in sincrono
mentre la luna si fa mare
mi assale la tua onda
inabissandomi e frugandomi,
anima dissetante,
densità, unicità, furore,
infine estremo candore,
trabocchi da tutti i pori
a secernere mistero.

18.2.25

Ti riconobbi



Ti riconobbi subito.
Ti portavi il cuore addosso,
cieco ed incredulo.
Strascinavi i pensieri
su letti di lacrime disseccate.
Le tue guance si chiedevano
se davvero
avessero inventato i sorrisi.
Camminavi scalza
sulle spine degli inganni.

Ti riconobbi subito.
Ti avevo baciato la fronte
prima di nascere
sapendo
che saremmo dovuti morire tante volte
prima di incontrarci.

16.2.25

Posso?



Posso slegarti i capelli?
Portarti in bici,
regalarti conchiglie,
sporcarti di sabbia e sogni,
leccarti gli sbuffi di nutella?

Ti va se riavvolgo il nastro
perché non so se ho capito bene
quella volta che mi hai detto
“sono tua”?

Posso, per favore,
dimenticarmi
come ti ho conosciuta,
inciampando nei sorrisi,
per incontrarti di nuovo?

Posso? Su dai facciamolo…

12.2.25

Le dita del poeta



Meteore astrattive
trafiggono orizzonti verticali
indicati da ossessive falangi
mentre il poeta
percuote parole desuete
inesausto carpentiere di sogni
scalpiccia mirabilie
sfaccendato d’amore.

9.2.25

Someone Like You - Adele



La mia “rilettura”

Ti chiedo scusa
se ogni tanto senza permesso
ti trascino nei miei pensieri.
So che hai una vita tua
che forse sei felice
perché hai le cose
che io non ti potevo dare
perché era impossibile
cercarle sulle nuvole.

Mi sembra ieri
che la luna ci raccontava favole
e mi sembrerà sempre ieri
anche tra mille anni.

Ti chiedo scusa per i miei sogni
in cui ti invito a ballare
ma volevo ti ricordassi
quando mi dicevi
“Saremo in tre
io te e i calzini spaiati
e, dai,
qualche volta l’amore dura
anche se a volte fa tanto male”.

Non fa nulla
troverò una come te,
altrimenti la inventerò
e le scriverò lettere d’amore
su post-it attaccati al cielo.

Ti chiedo scusa
per le mie poesie
sono troppo invadenti
perché leggere come le stelle,
ma volevo ti ricordassi
quando mi dicevi:
“Saremo in tre
io, te, e le macchie di caffè
perché, dai,
qualche volta l’amore dura
anche se a volte fa proprio male”.

3.2.25

My way - Frank Sinatra


La mia reinterpretazione:

Un giorno malaticcio
di un febbraio informe
mentre camminavo
su una strada
acciottolata di pensieri,
scalciando parole mal viste,
mi sono voltato indietro
richiamato nel dubbio
dalle mie stesse scarpe.

E ho guardato le cose
con le loro anime lasciate,
ciò che ho amato e perso,
ciò che continuerò ad amare
le sconfitte illuminate,
e le vittorie oscurate.

Ma sono stato io
e l’ho fatto a modo mio
con in saccoccia gli sbagli
le tentazioni e gli inganni.

Solo io ho camminato
su questa polvere di eventi
e tutte le volte
che ho travolto qualcuno
ho chiesto perdono
fuori e dentro di me,
molto dentro di me.

Ma sono stato io
e l’ho fatto a modo mio
con in testa la vita
e la voglia di sogno.

E ora sono qui
non manca molto ormai
in alto ci sono stelle sconosciute,
mondi fantastici
e sono grato a me stesso
per la strada che ho percorso
amando, soffrendo,
ferendo e ferendomi.

Ma sono stato io
e l’ho fatto a modo mio.

29.1.25

Dimmi se hai sete



Questa notte
raccontami di te
del rossetto sbavato,
di quel tacco spuntato
e di quegli spaghetti improvvisati
un pò scotti ed un pò tristi.

Raccontami del tuo orgoglio
masticato con gusto,
e di quel bacio sulla fronte
alla bambina cresciuta in fretta.

In questa notte inutile
di lacrime e preghiere
dimmi se hai sete,
se ti serve un ritornello,
se cerchi ancora
un brivido sottolineato
al quarto verso
della nostra poesia.

24.1.25

Il bar delle briciole



Dopo tanti anni
sono tornato in quel bar
dove ci rubavamo gli sguardi
e le dita si sfioravano
su tazzine compiacenti.

Avevamo poco tempo,
sempre poco, maledetto tempo,
ma che importava,
se ci attendeva il “per sempre”.

Un caffè decaffeinato per te,
il mio cappuccino,
ed il malizioso cornetto
diviso in due baci.

Che bizzarro quel bar
dove ci guardavano tutti,
ma non c’era nessuno.

Che teatro quel bar
dove ci ignoravano tutti,
ma era pieno di occhi.

Andavamo via
con le briciole addosso
che ci rammentavano
per tutto il giorno
di esserci amati lì,
in quel bar
sotto il tavolino
tra i benpensanti.

Dopo tanti anni
sono tornato in quel bar.
Ma non c’era più il bar,
nè le tazzine,
nè le briciole.
La gente aveva altro da fare.

Non c’eri più neanche tu
anche se,
guardando meglio,
ti baciavo ancora.

Parole senza meta

📷 Jean Cocteau, Il sangue di un poeta, 1930


Inaridirsi di parole
anarchiche
è chiacchiericcio
senza meta,
bulimismo stoico,
riflesso condizionato
dal rifluire
in un Nulla cosmico
dove Ulisse
annega
nell’assenza di Penelope.

19.1.25

Le poesie si scrivono da sole. (Rincorrendo Bukovski)



Sai che mi succede?
Non come fanno altri che si siedono sotto un albero, guardano la luna e poi pensano: “Ora le scrivo qualcosa di bello.”
No no, per niente.
A me accade che trovo una tavola apparecchiata di parole, musica e tanto profumo di te. E non parlo di Chanel, io dico il tuo sudore, il tuo stupendo odore di donna scalza e spettinata dopo una notte d’amore e barzellette sconce. Non devo fare nessuno sforzo, tipo mettere una parola di qua ed una di là, inventare verbi o piazzare metafore e ossimori. Le parole prendono un disordine preciso seguendo le nostre follie, girano in tondo al tuo corpo, si bevono tutto il vino, si sparpagliano come sale, si mescolano e vibrano. Oh, quanto vibrano. Mi portano via lontano, in alto, ma sempre con la tua mano nella mia mano. E non so mai dove arriveremo, amore mio. Ma qualunque posto sia, anche l’inferno, troveremo lì pronte le nostre poesie, ad aspettarci, a prenderci in giro, a disegnare sogni, a danzare su fogli imbrattati di stelle.

Le lacrime della luna



Le poesie
sono lacrime raccolte
dalle guance della luna
una sull’altra
fanno una scala d’argento
per raggiungere
le dimore celesti
degli amori dispersi.

Siamo ciò che si vede?



La nebbia
iato tra l’essere e il possibile,
oscuro attonito frantumarsi,
elisione di pulsioni,
costrizione a fermarsi
sull’orlo del dubbio
tra ciò che vorremmo scrutare
e l’infinita probabilità
di più mondi invisibili
dove nuota l’amalgama
di anima e materia.

12.1.25

Scritture brevi: La lezione dei fenicotteri



Quella sera si dovevano vedere. E in lui si agitavano onde contrapposte. Come sempre. Era trascorso un pò di tempo dall’ultima volta e non vedeva l’ora di toccarla, di sentire il suo profumo, di farla divertire e donarle attimi di felicità. Erano momenti in cui chiudevano il mondo fuori, insieme alla precarietà e le contraddizioni proprie di un rapporto costretto a nascondersi alla luce del sole. D’altra parte, forse anche per le problematiche di quella situazione, quando si dovevano incontrare, lui si faceva inchiodare dall’ansia. Percezione di inadeguatezza, paura di deluderla, sensi di colpa mai sopiti. Lei però aveva la capacità di azzerare tutto, rivoltando le sue paure come calzini e sistemandogli i pensieri nella mente con una metodica che applicherebbe una governante in un disordinato ripostiglio.
Si tranquillizzò un pò pensando che, sicuramente, anche questa volta sarebbe andata così.
Salì velocemente a piedi le quattro rampe di scale, entrò nell’appartamento e si chiuse la porta alle spalle.
Il suo sorriso lo accolse come un vento fresco in una torrida giornata estiva.
La baciò, prima sulla fronte, poi sul naso e poi sulla bocca. Odorava di massa e glielo disse.

“Si, in effetti ho preparato una pizza.”
“Ma l’hai fatta riposare sulla pancia?”
“Scemo!”

Risero e fu subito casa, sincronia, complicità. Le aveva portato un gelato, alla frutta, cosa che la faceva impazzire.

“Mmmmm! Grazie amore!”

Si sedette a tavola e notò la TV accesa. Stavano trasmettendo un documentario.

“Cosa stai guardando?”
“Niente di che, parlano dei fenicotteri.”

La voce fuori campo stava dicendo:

“…e si fermano in gruppi anche numerosi tutti su di una sola zampa…”

“Hai sentito? Che strano.”
“Si” rispose lei con voce annoiata “sembra che riescano a riposare meglio così.”

La spiegazione sembrò soddisfare la curiosità e l’aroma della pizza s’impadronì dell’attenzione generale.
Le loro conversazioni sfioravano appena le vicende di tutti i giorni, salvo non fosse accaduto qualcosa di veramente importante. Lui lavorava come capo servizio nelle ferrovie, ma fin da bambino amava la pittura e aveva anche esposto opere in qualche galleria locale. Lei insegnava inglese alle scuole medie, ma nei ritagli di tempo, suonava il violino. Per questo quasi sempre finivano per far l’amore dopo che lui le mostrava qualche bozzetto e lei gli strimpellava sopra, ispirata dai suoi soggetti.
Si amavano con la dolcezza e la furia che le loro anime dettavano ai corpi.
Lui, immancabilmente, alla fine piangeva, come se non ci fosse stato domani.
Quella sera però accadde che mentre si preparava per andar via, chissà per quale motivo, gli tornò in mente il documentario con quelle strane immagini dei fenicotteri tutti inquadrati in file ordinate e tutti che si reggevano su di una zampa.
Si salutarono con la solita passione. Non pensò più ai fenicotteri.
Ma fu anche l’ultima volta che la vide.

Erano passati anni e lui era sempre rimasto con una nuvola di domande in testa che lo seguiva dappertutto. Aveva ormai rinunciato a cercare ostinatamente delle risposte a quelle domande, ma, se avesse potuto, le avrebbe volentieri cancellate battendo ferocemente la “x” sulla tastiera della sua vita. Non si era mai più innamorato e i suoi disegni facevano una ben triste fine nel cestino della carta straccia. Vagava spesso per le strade del paese e ogni strada, ogni vicolo, ogni piazza, persino ogni marciapiede lo rincorreva con la frase: “Qui sei stato con lei, ricordi?” Si, purtroppo ricordava tutto con precisione. Ogni gesto, ogni battuta, ogni risata, erano maligni scherzetti che lo attendevano al varco.
Una mattina si ritrovò sul molo del faro, circondato da gabbiani querulanti. In lontananza potè scorgere una figura eretta sull’orlo della banchina. Si avvicinò e si rese conto che era una ragazza con accanto una sedia a rotelle. Ma la ragazza era in piedi e si reggeva su di una sola gamba! Con cautela le si accostò. Poteva avere una quindicina d’anni. Quando si accorse della sua presenza, le rivolse la parola.

“Buongiorno, ti serve aiuto?”
“No grazie, è molto gentile, ma sono a posto.”
“Ma come fai a resistere?”
“Non è difficile. Lo faccio spesso.”
“Cosa ti è accaduto?…se posso chiedere…”
“Ho avuto un incidente anni fa. Ho fatto tanta riabilitazione, ma in realtà non era solo l’esercizio fisico la cosa di cui avevo più bisogno.”
“E di cosa?”
“Avevo perso un pezzo di me, importante, quasi fondamentale. All’inizio mi sentivo persa, non avrei più camminato, la vita mi sembrava una cosa ordinaria, senza più slanci. Poi all’improvviso ho capito che dovevo rialzarmi, che quel pezzo di me in realtà non l’avevo perso, ma l’avevo solo accantonato e la mia anima lo aveva conservato. Ora ogni volta che voglio ringraziarla, questa meravigliosa vita, mi alzo sulla gamba rimasta e ne sento di nuovo due, saluto il cielo e ritorno a sorridere.”

Lui la guardò con ammirazione e, come d’incanto, gli tornò in mente il documentario.

“Ti ringrazio tanto, posso abbracciarti? Non sai che regalo mi hai fatto oggi”.

Si allontanò con una nuova luce negli occhi: aveva scoperto la lezione dei fenicotteri.

4.1.25

Scritture brevi: Tu sei così fragile



Un giorno potrebbe accadere che vi siano rivolte queste parole. Allora fermate con una mano il tempo e lasciatevi toccare con dolcezza dalla delicata sinestesia innescata dalle labbra che le ha pronunciate. 
Improvvisamente tutte le maschere, le corazze, i volti, le resistenze di cui avete dotato il vostro background vengono oltrepassate. È tutto un ferrovecchio, un superfluo, un armamentario desueto. Chi vi ha guardato in trasparenza ha delle facoltà che credevate appartenere alla sfera dei miracoli.
Tenetevi stretta quella persona che ha rinvenuto la chiave della vostra serratura più intima. Quella chiave che avevate scagliato via con rabbia tra le onde di una spiaggia deserta e senza luna.
Tenetevi strette quelle dita che hanno scavato l’argilla nel vostro cuore, tirando fuori quel piccolo, piccolo “meglio” che sopravviveva, tra mille stenti e rimpianti.
Tenetevi stretta la lente di quell’anima che ha osservato i minuscoli pezzetti in cui si era frantumata la vostra fantasia e li ha ricomposti sul palmo della mano, con la colla dell’affinità, perché li ha riconosciuti simili ai suoi.
Tenetevi stretti quegli occhi che hanno guardato lontano per scoprire nudità che erano vicinissime, ma che neanche voi immaginavate potessero ancora esistere.
“Tu sei così fragile” è la mano che ti accarezza le ombre, la sutura delle ferite nei tuoi pensieri, la cieca fiducia che avevi nascosto chissà dove.
“Tu sei così fragile” è la parola “fine” che manca nelle vecchie poesie e insieme la parola “ancora” che manca in quelle nuove.

31.12.24

Scritture brevi: SHARIMA HA FATTO GOL



Sharima stava dormendo e sognava. Il suo era un sogno ricorrente e riguardava la sua passione più grande: si trovava nel cortile dietro casa sua dove pochi ciuffi d’erba sopravvivevano a stento a cumuli di pietre, buche, masserizie sparse. Quel campo dove zampettavano galline e coniglietti era il posto dove si giocava a calcio. Si riunivano lì i bambini del quartiere e lei, la più piccola, dava lezioni a tutti, anche ai maschi più grandi. Purtroppo da quando era scoppiata la guerra, gli incontri si erano via via diradati, fino a sparire del tutto. Perciò lei li sognava. Era brava, Sharima. Saltava tutti come birilli, poi tirava in porta e, quasi sempre, segnava. Fuori dal campo il suo tifoso più accanito era lo zio Kemal, che rischiava sempre di strangolarsi per urlare: “Sharima ha fatto gol! Sharima ha fatto gol!” Il suo papà non c’era più. Era stato inghiottito dalla guerra precedente, ma lei sperava in cuor suo, che anche lui facesse un tifo sfegatato.
Ora cercava di addormentarsi piu spesso che poteva, per poter continuare a giocare in sogno. Le sue gambette magre scalciavano nel letto e la sua testolina girava di qua e di là per tutti i dribbling che le riuscivano.
Improvvisamente però fu svegliata di soprassalto da uno scoppio seguito da un rombo. Sentì la mamma che la chiamava disperatamente e, dopo qualche secondo, venne da lei, la prese in braccio e si precipitò verso l’uscita di casa. Lei non ebbe paura, ma provò solo un gran fastidio per aver interrotto il suo sogno. Appena fuori casa, di nuovo un grande, tremendo scoppio e tanta, tanta polvere. Lei, a quel punto, decise che si sarebbe riaddormentata, nonostante tutto quel rumore.
È così fu. Riprese il sogno da dove si era interrotto, ma ora era tutto diverso. C’era un grande prato verde con delle strisce bianche e due porte vere da calcio. C’erano tutti i suoi amichetti, anche quelli che non vedeva più da tempo. Prese il pallone e cominciò a dribblare. Tunnel, veronica, rabona e via di corsa verso il portiere. Un calcio fantastico sotto la traversa!
E Zio Kemal che esulta.
Ma incredibile! C’era anche suo papà: “Sharima ha fatto gol! Sharima ha fatto gol!”.

Dedicata a tutti i bambini. Che possano cessare tutte le mattanze e i sogni ricominciare a camminare sulle strade del futuro.

24.12.24

Scritture brevi: La processione di Natale



Ricordo che ci rimasi davvero male. A scuola andavo un anno avanti e ci sono state sempre forti probabilità che fossi il più piccolo della classe. “NON ESISTE! È TUO PADRE!” È giù tante risate di scherno. Mi rifugiavo in un sorriso forzato, ma non mi convincevano. Non mi hanno mai convinto con le loro certezze spudorate. Cominciai a investigare da qualche giorno prima di Natale per captare dei movimenti sospetti in casa, o per cercare dei nascondigli dove potevano trovarsi dei pacchetti. Ma se avevo chiesto dei regali ingombranti, dove diamine potevano conservarli? Mmmm. No, questo provava che solo qualcuno capace di miracoli poteva riuscirci. E quelli stupidi potevano ridere quanto volevano. Evidentemente loro erano stati mascalzoni per anni, ed erano stati giustamente ignorati. Comunque per sgombrare tutti gli equivoci, la sera della vigilia mi tenni all’erta. La visita veniva preceduta da una processione con mamma nelle vesti di capostazione del trenino ed io a fare la locomotiva con il bambinello nelle mani. Cantavamo tutti, e le stelle scendevano ugualmente, nonostante le stonature che le avrebbero potuto scoraggiare. Dopo aver depositato l’infante nella culla, mamma ordinava le preghiere. Qualcuno che aveva scordato il catechismo inciampava e balbettava o muoveva solo le labbra. Io rischiai lo strabismo con un occhio al presepe ed uno alla porta d’ingresso. Di solito lui scampanellava dopo l’Eterno Riposo. Non so perché mio fratello ogni anno doveva andare in bagno. La mamma comandava l’evacuazione del salone perché le visite, secondo lei, dovevano avere un clima di privacy. Io volevo resistere, ma mi veniva velatamente suggerito di obbedire, altrimenti il visitatore poteva prendere altre destinazioni. E puntualmente il campanello avvisava che qualcosa era successo e mio fratello tornava dal bagno, ogni volta più sollevato. Mannaggia, visto che avevo ragione! I pacchi erano lì sotto l’albero e mio padre sulla poltrona! Ero trionfante! Sarei tornato a scuola senza dir nulla, ma con quell’aria di superiorità che spetta di diritto a chi mantiene salde le proprie ideee contro tutto e tutti.

E ancora oggi quando qualcuno mi vuol far credere che non ci sia più nessuno intorno all’albero e al presepe, sono io che rido e li sberleffo. Sono tutti lì presenti e chi non li vede è un vecchio mascalzone. E il pacchetto, ogni anno, io lo ricevo. È pieno di parole nuove da mettere in fila per giocare e descrivere il mondo, le cose belle e brutte, le gioie e i dolori, l’Amore che vince e la vita che continua.

19.12.24

Da dove viene la poesia

Picasso: Il poeta


La poesia
s’erge da una pulsazione
vibrante in un buco nero
che dallo spazio profondo
precipita in terra
in indefinite forme
roteanti casualità.

E tu sei predestinato
a subirne l’abuso
che fruga sotto pelle
estrania e arde
supplizia e geme
fino alla trasecolata
esplosione in verso.

30.11.24

Up Where We Belong - Joe Cocker



La mia reinterpretazione:

Era buio in fondo
con il sole sprofondato
nella terra dei dispersi
sembrava lontano lassù
una sfera di fioca luce

ma l’amore all’improvviso
un potere straordinario.

Scala le montagne
solleva dagli inferi
l’amore ci trasporta
ci solleva come aquile
per riportarci lassù
dov’è il cielo è casa.

Poco alla volta
non ne abbiamo coscienza
ma il cuore scala gradini
una forza meravigliosa.

E possiamo toccare
quella luce lassù
ai confini del tempo
perché l’amore ci artiglia
e ci posa sulla cima.

24.11.24

Vertigine di fuoco



Solo a te uomo
concederò il dono
delle piroette,
sollevarmi in cielo,
adorarmi inchinato,
stringermi il petto
e congiungere le guance.

Solo per te amore
prenderò il ritmo del peccato,
la mia pelle brucerà
e volteggeremo insieme
fino all’estasi strenua dei sensi.

20.11.24

Scritture brevi: la cena




Il ristorantino era imbracato tra due vicoli oscuri, tristi, tanto che parevano vestirsi a festa solo nel piccolo angolo illuminato dall’insegna.
Lei camminava svelta e la voce schioccante dei suoi tacchi rimbalzava tra chianche e tufo, in contrasto assoluto con il mio passo, lungo e silenzioso. Avevano scelto quel posto cercando di ridurre al minimo la possibilità di essere visti e riconosciuti. Scelsero un tavolino defilato dove il vibrato di un violino si strusciava tra gambe e tovaglie con un’eco malinconica. I suoi occhi erano appiccicati a lei con un mastice impastato di cuori.
Fu così che quando il cameriere chiese loro cosa preferissero bere, lui - senza distogliere lo sguardo - rispose: “Faccia lei. Un vino che sia…ADEGUATO”. 
Dopo una pausa che sembrò durare un secolo, nella quale tutti i tavoli si erano fatti orecchie, lei scoppiò a ridere e, fuori, i vicoli si illuminarono a giorno.
Lui sente ancora quella risata e quel malinconico violino in quelle sere smozzicate in cui sorseggia la sua vita annaffiata con un vino di cui non ha più saputo il nome.

19.11.24

Scritture brevi: i portici



Andavamo mano nella mano sotto i portici.
La luna si era agghindata d’argento e scherzava con le pozzanghere, graffiandole di strisce luminose. Un cane sfaccendato annusava i marciapiedi e s’incuriosì di noi. Guardavo le nostre ombre che sembravano correre più veloci. Erano felici, inconsapevolmente, come noi.
Andavamo. I portici ci tenevano per mano.
E il cane guaì, nella notte.

12.11.24

Senza esagerare



Mi piace immaginare
che tu possa
portarti in giro
- sottobraccio -
le mie cadute
e le mie sopravvivenze
e che così
- senza esagerare -
tu mi possa immaginare
di star vivendo in un mondo
che non fu mai creato.

9.11.24

Un pensiero di passaggio



Ho chiesto un passaggio
ad un pensiero.
Era un po’ claudicante
volava basso
forse nel raccogliermi
ha anche inciampato.

Gli ho dato il tuo indirizzo
- via dei Vetri Appannati -
e gli ho raccomandato
di fermarsi sotto il tuo respiro
e di raccontarti una favola
dove due non si smarriscano
dove non esista la parola fine.

4.11.24

Il bacio sulla guancia



Quel bacio sulla guancia.
Leggero, soffice come una piuma.
Come il passo dell’avventore che entra per la prima volta nell’anticamera di una casa mai frequentata.
È un messaggio dove c’è scritto che - stando alle apparenze - mi sei simpatica, mi hai incuriosito, ma sono solo alla copertina di un libro che qualcuno - in terra o in cielo - mi ha consigliato, e ho bisogno di sfogliarlo con calma. E tutti i libri vanno trattati con cura, almeno all’inizio. Poi, alla fine, puoi decidere se trovargli un posto, più o meno ordinato, in mezzo a tanti altri.
Oppure puoi decidere se lasciarlo lì, a portata di mano, sul tavolino del salotto o in braccio all’orsacchiotto che hai sul letto. Per riprenderlo subito, domani, ora. Perché non hai compreso bene, forse ti è sfuggito qualcosa. Oppure quel passaggio ti ha accarezzato e lo desideri ancora e ancora. E c’è quel profumo particolare, che magari è dentro tutti i libri del mondo, ma accostato a lei, con la sua voce, il suoi punti interrogativi ed esclamativi, i suoi silenzi chiassosi, chissà perché, ha una fragranza speciale, sa di pane, cioccolata e tramonti.
Tutto questo in quel bacio sulla guancia.
Dove le labbra e i sogni hanno preso la stessa direzione, tenendosi per mano.

Total eclipse of the Heart - Bonnie Tyler



La mia rivisitazione:

Un tempo
ero il tuo pianeta
e ti giravo intorno
pensavo fosse per sempre
per sempre.

Ora mi piovono lacrime
ora cado a pezzetti
e non posso dire nulla
non posso fare nulla
posso solo scrivere di te.

Ho paura di quest’ombra
mi uccide il buio
di questa eclissi totale
il mio cuore era acceso
negli occhi del tuo sole
ora il gelo è sceso
in questa eclissi totale.

Dimmi che tornerai a girare
che mi stringerai forte
dimmi che girerai ancora
che scaccerai quest’ombra
dimmi che sarà per sempre.

2.11.24

Recensione di “Limiti” di Lorenzo Di Bello




Il link per scaricare l’e-book:


La “comfort zone” di un poeta è astrazione, levitazione, appropinquarsi ai bordi resi ottenebrati da mediocri sopravvivenze, quasi invisibili ai più. Lorenzo Di Bello in quest’ultima opera è sempre proteso verso i confini frastagliati e ruvidi di una lettura spietata di sé stesso e del mondo. Spietata perché genuina, mai blasfema verso i propri ideali, le pulsioni, la sua visione insieme apodittica e apocalittica, ma che – raschiando il fondo – cela briciole non banali, anzi, salvifiche, di escatologia cosmica. Si pone Quesiti – l’Autore – e non rinuncia a spianarsi estuari verso il mare delle risposte non evasive. “Siamo ciò che riusciamo a mettere/sotto i piedi senza calpestarlo/ciò che ci illumina la via senza accecarci nel/camminamento.” 
Ma nel marasma delle contraddizioni che “l’animus poetandi” raccoglie, emerge – e non può essere diversamente – la leggerezza dei sentimenti puri, alieni da falsi pudori, elevati alla sommità dell’empireo assoluto. In “Assalire il tuo corpo” pare affacciarsi il Lucio Dalla di “Futura”. Si ondivaga quindi tra i ricordi adolescenziali, la “pax maturitatis”, il primato della memoria ancestrale su quella tecnologica. Se dovessi estrarre numi ispiratori – peraltro comuni nella sua storia poetica – citerei la lapidaria determinatezza di Arminio, contaminata a volte dalla fustigante ironia del Prevert non romantico, ma militante. E poi il meraviglioso Calvino con le sue metafore tra fantasy e simbolismo. Pasoliniane le “full immersions” nella natura, che Lorenzo espone nella sua serra privata: agavi, fichi d’India, calle, abeti, pini loricati, nello struggente desiderio di ritorno alle origini in cui poco o niente era corrotto, molto o tutto era innervato di semplicità. Non poteva mancare il pungiglione che offende e tormenta qualsiasi animo sensibile in questo declino di umanità contemporanea: il rifiuto della guerra e di una sua inconcepibile comprensione, con la sentenza inappellabile verso chi la nutre di bulimica violenza. Questa deriva accende nell’Autore il riferimento storico ai briganti dell’ottocento e alla loro volontà palingenetica.
E qual è, “in limine” – appunto, il ruolo dei poeti in questo scenario? Lorenzo lo suggerisce con dei versi stupendi: “Ma i poeti non dormono aspettando l’alba/i poeti non addormentano i sogni/i poeti sono due su mille/gli altri sono personaggi/in cerca d’autore.”

In definitiva, accogliamo con piacere questo “e-book” di Lorenzo Di Bello, sottolineando la scelta di divulgazione gratuita, cosa che in un attuale panorama editoriale autoreferenziale/narcisistico/mercantilistico è una nota di merito, che tende a materializzare la poesia come “dono” per la fruizione più larga possibile.


Amo la tua tristezza



Amo la tua tristezza
quella che ti si appende al labbro
e ti nereggia lo sguardo.

Amo la tua resistenza
quel “non ti preoccupare”
chiuso in un pugno ribelle.

Amo le tue rinascite,
le lenzuola attorcigliate
intorno ai fianchi,
il tuo sapore vermiglio,
la luna che ti ho legato
baciandoti il collo.

Amo la tua tristezza
sempre perdente
che s’arrende sotto i tacchi
mentre balli al tramonto
e copri il mio cielo di rosso.

1.11.24

Everybody hurts - R.E.M.



La mia rivisitazione:

Ci sono giorni in cui
ci sono montagne
davanti a te
e tu pensi di non farcela

ti vorresti rassegnare
e piangi
ma poi pensi
che tutti piangono un pò
tutti soffrono

senti una voce
che ti chiama da lassù
e alzi la mano
si c’è qualcuno lassù

eri certo di essere solo
ma ti sbagli
e ti commuovi
perché sei vivo

piangere è giusto
quando si è vivi
tutti piangono
tutti soffrono
perché sono vivi.

29.10.24

Slegata



Ti tenni stretta
tanto stretta
da farmi male ai sogni
con il cuore slegato
volasti via
col vento della poesia.


18.10.24

La bolla



Nel grigiore sanguigno
di una masticata routine
mi soffiasti come bolla
avvinta da meraviglia.

Con le pupille avvampate
mi tenesti negli occhi
fino al deflagrarmi.

Ti sembrò doloroso
per il tempo infinito
della vita di una bolla.

Facile scrivere



Non è molto complicato
scrivere poesie…

basta sanguinare.

16.10.24

Sutura



Due corsie. Il deserto delle fazioni, chiasso di sabbie verbali, frolla intorno. La miopia non permette di capire che, in fondo, c’è una sutura.
Il miraggio di procedere verso un sole menzognero, contro una reale retromarcia di barbarie.
E tu sei lì, percepisci l’orrenda bellezza della foto.
Forse capitoli, ti arrendi, forse accelleri a cuore stanco, ad occhi sbarrati.
No non puoi, hai delle lame sotto pelle, nello stomaco, qualcosa che ha la fragranza del Fuoco primordiale. Qualcosa che sa di Terra.
E scrivi, come ti viene, come detta il pianto dell’Anima.