2.9.25

September morn’ - Neil Diamond



La mia rilettura:


È scivolato via agosto
e ti ho vista di nuovo
tornata dal tuo viaggio
ti prego ora non andare
lasciati guardare
in questa mattina di settembre
resta sulla mia porta
e fatti respirare.

Ti ricordi?
Era il nostro ballo
di amanti della notte
io con te nella notte
come nei film anni ‘50
recitare in bianco e nero
io te la notte e la luna.

Ti ricordi?
In questa mattina di settembre
puoi farmi sentire ancora
che ci tenevamo negli occhi
mentre la pellicola scorreva
il nostro ballo nella notte
noi amanti nella notte.

Non possiamo dimenticare
in questa mattina di settembre
i nostri baci infiniti
come nei film anni ‘50
il nostro ballo nella notte
io te la notte e la luna.

17.8.25

Sai che farei?



Una rarità il tuo sorriso.
Fatica a scavalcare
aspri ed incompresi dossi
e frusti linguaggi.

Sai che farei?
Potrei indossare
un naso a cipolla
e portarti un gelato
a quattro zampe
abbaiando e scodinzolando.

E quando la tua bocca
sarà falce di luna
il cielo si fermerà
ed io cercherò
di acchiappare il cuore
che volerà da te.

7.8.25

All of me - John Legend



La mia rivisitazione:


Amo tutto di te
alfa ed omega
mi concentro spesso
sulle tue meraviglie
ma quello
che mi fa impazzire
è navigare
tra le tue imperfezioni
le faccio mie
faccio mio tutto di te
e poi ti dono
tutto di me.

Ne ho bisogno.
Ne ha bisogno
la mia pazzia
di provare
le escursioni profonde
nelle oscurità che nascondi
tra i pertugi dell’anima.

Tutto di te
proprio tutto
è spalmato su di me
come miele da gustare
giorno per giorno
bacio su bacio
mio inizio e mia fine.

4.8.25

Affinità



Quando due affinità si accarezzano
non hanno bisogno delle mani.
Raggi di carne e tentacoli di vento.
Fredda lama sulla schiena della poesia.
Uncino che arpiona la gola
e liquefa tentazioni.
Appuntamento nella cruna
dell’ago della felicità.

3.8.25

Another day in paradise - Phil Collins



La mia rilettura:

Pioveva tra una selva di gambe
inferocite da un’inerzia malata
non gli piaceva più vivere
poi sentì una voce fradicia
chiedeva aiuto senza labbra
e il pianto era pozzanghera
e il pianto era d’argento

lui si fermò nel vetro
e si rise addosso
non gli piaceva più sognare
ma lei lo chiamò per nome
e lui pensò che forse
era già in paradiso

lei si fermò nel vetro
ed erano bellissimi
bagnati di ferite aperte
seduti tra le lacrime
mentre piovevano angeli

sì forse erano già in paradiso
in una piazza di folla malata
che ignorò quei due barboni
stretti in un giorno di pioggia
abbracciati in paradiso.

27.7.25

Scritture brevi: “Andava e basta.”



Aveva appallottolato tutti i pensieri in un fazzoletto e se li era cacciati in tasca.
”Vi riprenderò dopo”.
Anche il flusso involontario di adrenalina che tendeva ad accelerare le pulsazioni era sotto il suo controllo.
Si avvicinava al bar respirando con lentezza. Gli sfuggì dalla tasca una curiosità su cosa lei avrebbe indossato. Il suo look in un giorno di festa.
Riprese al volo il pensiero e lo ricacciò in quarantena.
Andava e basta.

Il sole tiepido lo inseguiva trotterellando piacevolmente in quella strana mattina di dicembre. La stagione aveva posato i suoi soliti arnesi da lavoro e si era presa un giorno sabbatico. L’Immacolata quell’anno ebbe l’occasione di bussare con gentilezza alle finestre per introdurre i primi scampoli natalizi.
Era direttore di un ufficio postale in pieno centro e l’aveva conosciuta in uno di quei giorni in cui sembrava che tutta la città stesse provando l’irrefrenabile pulsione di spedire qualcosa. I loro sguardi s’incrociarono mentre lei annaspava in una ressa micidiale ad uno sportello, e a lui parve di scorgere una timida richiesta d’aiuto. L’invitò nel suo ufficio e risolse tutto velocemente. Da quel giorno in poi il servizio postale non fu più un problema per lei.
Si sedimentò qualcosa che assomigliava ad una innocua simpatia. Scambi di battute, piccole innocenti confidenze, affinità di letture e nient’altro. Erano entrambi impegnati e quindi lui rimase molto sorpreso quando una mattina, con noncuranza, sentì la sua voce proporre: “Perché non ci prendiamo un caffè?”
Beh, era solo un caffè. Quanti prenderebbero un caffè pensando che non sia solo un caffè? E quanti prenderebbero un caffè pensando che sia tutto fuorché un caffè?
Si dettero appuntamento in un giorno libero. Ed eccolo il giorno libero e lui non aveva nessuna voglia di pensare.
Andava e basta.

Senza rendersene conto, aveva alzato il passo fino a varcare con inusitata veemenza la soglia del bar. Quasi pentito della sua irruenza si guardò intorno con circospezione e inciampò su degli occhi nocciola che con una facilità disarmante gli svuotarono le tasche di tutti i pensieri.
“Che ci faccio qui?…Ma è solo un caffè…Accidenti quant’è bella!…Dico che ho un impegno…Ma sei scemo?…”.
Questo disordine cinguettava intorno alla sua testa svolazzando libero, finalmente.
“Ti senti bene?”
La sua voce lo riportò nel mondo reale.
Riagguantò a fatica tutti i prigionieri evasi.
“Ehm…si.” 
Quegli occhi nocciola lo scrutavano divertiti mentre ciocche di capelli biondi ondeggiavano su un foulard di seta rosa. Un soprabito fucsia, aperto sul davanti, rivelava un maglioncino sottile, intonato. Insomma lei era uno spettacolo delizioso e certamente non aveva nessuna raccomandata da spedire.
Sedette al tavolino e dopo pochi minuti di conversazione capì che avrebbero consumato un caffè che sarebbe stato tutto fuorché un caffè.
Infatti lui non ricorda più nulla di quel caffè. Quello che ricorderà per sempre sarà il saluto che si scambiarono in un vicolo a fianco del bar. Un bacio sulla guancia durato così tanto che forse è ancora lì, sospeso in aria, in quel vicolo.
S’incamminò con tutti i pensieri che gli facevano scia, ridendo e cantando. Lui rideva e cantava con loro, felice di averli liberati.
Non aveva più paura.
Andava e basta.

19.7.25

Non temere



Non temere
questo silenzio innaturale.
Non ho il crampo del poeta,
nè palliative distrazioni,
non fingo indifferenza,
non vegeto
in catatonica abulia.

Ho un ripostiglio da sistemare
vasetti di chissà,
barattoli di schianti,
contenitori di tramonti,
cartoni di versi scappati via.

Metterò tutto in fila
in processione funambolica
in cima il prete conciliante
incapace di perdonare.

Metterò tutto in tondo
in circolo sistemico
in fondo il tuo bagliore
incapace di dimenticare.

4.7.25

Loro non si guardavano negli occhi



Quella sera non si poteva dire
che si stessero guardando negli occhi.
No era diverso.
Era molto di più.
Quelli che uscivano dai loro occhi
erano vagoncini di un trenino a vapore
che sferragliavano su binari di arcobaleno.
Ognuno caricava un cuoricino
che ballonzolava e si gonfiava
ad ogni sbattere di ciglia.
Loro non si guardavano così, semplicemente, negli occhi.
Loro erano in viaggio
senza fermate
senza coincidenze
con biglietti di sola andata
verso una stazione senza orologio.

23.6.25

Pasoliniana



Sotto le suole
terra assetata s’aggrinza
e l’anima biancheggia,
trucioli di foglie esauste
scovano refoli da azzannare.

Un silenzio antico
alza un sipario desueto,
neri contadini sciamavano
unti d’amore per le zolle
e donne di frontiera
cantavano al vento.

Falso progresso ci ammalia
il predominio del marcio
il turpiloquio del potere
l’abominio sui bambini,
ci abbandona financo
la percezione di esistere.

Campi gibbuti
come pensieri adunchi
rarefavano l’aria
di stoppia e fumo.

Ahi! il tempo uncinato
nei vicoli incisi di tufo
immersi negli odori
stagnanti saggezza.

E tu bambino di ieri
raggi dorati
sulla schiena del paese
seduto su gradini
addentati di sogni
puntavi dita verso il cielo.

12.6.25

Ossessione



Ti diverti
a farti rincorrere
scarmigliata di poesia
umida di luna
ebbrezza e furore
mi fai uno sberleffo
vestita di sola luce.

Sei faglia che dirompe
fragore di comete
ossessione di perla
sei endovena dí desiderio
perdizione e miracolo
sei impulso al perverso
rutilante, tracimante.

Sei mia ma ti neghi
sono tuo e mi travolgi

28.5.25

La tortorella smarrita



Mentre la curva della sera
si stropiccia di rosa
avverto l’esitare dell’ora
e i pensieri trattenere il respiro.

Sei sempre tu sullo sfondo
a dettare strofe di malinconia
fra le cime garbate dei pini
rifugio di una tortorella distratta.

È il momento cruciale
in cui frugarmi dentro
e ritrovare le stesse stanze
in cui si siede il cuore.

Vorrei sfrattarmi dai vuoti
dai riti, dalla poesia,
e chiedere asilo ad altri mondi
dove passeggiare senza memoria,
godere di un tramonto
che insegni, infine, alla tortorella
la strada di casa.

23.5.25

Anatomia



Avevo rinominato
le parti del tuo corpo
in cui mi perdevo:
nastrina
piccolo principe
pianeti fatati

e noi
non ci chiamavamo più per nome
ci eravamo battezzati
“Amore”.

21.5.25

“Il materiale emotivo”



Poesia ispirata dal film 


I miei giorni
erano un flusso diseguale,
ma senza ruvidi spigoli,
nè tracimati argini,
piatti, profumati di carta.

Li sfogliavo disattento
sotto una mansarda di stelle,
luminose solo al tatto
che si spegnevano nei volti.

Quando bussasti alla vetrina
non conoscevo ancora gli uragani,
i libri si nascosero dietro le copertine
non credendo alle proprie fantasie.

Mi stappasti come uno champagne
sbattesti il tappeto della vita,
le mie ordinate ossessioni
“ma butta via tutto!”

E facemmo cose,
rubammo mele,
suonammo citofoni,
ci urtammo sull’autoscontro,
e ballammo, ballammo tanto,
fino al giaciglio del sole.

Non mi ero accorto
che avessi la forza di tenere
la clessidra orizzontale
e noi fermi in mezzo
a dondolarci nei sogni
al ritmo di un violinista pazzo.

“È materiale emotivo”, dicesti
“È un ossimoro”, risposi.
Ma ci avrei giocato per sempre.




20.5.25

Nuvole



Mi adesca 
la plasticità delle nuvole
talora pompose o plebee,
affabulanti viaggiatrici.

Le osservo discreto
sovrapporsi e ricomporsi
nei loro scontri silenziosi,
ciondolanti scrittrici
di favole sempre nuove.

Dipingono su tavolozze
di cieli dolci o imbronciati
e non s’adombrano per l’oblio
di chi le archivia con noncuranza.

Di rado nello scorrere
s’avvedono compiaciute
di esteti del dubbio
operai di sogni
che condividono con loro
gli abbracci dell’infinito.

A volte chiedo loro un passaggio
confidando nella perizia
di angelici tassisti
che mi scarrozzino lontano
laddove si smarriscano
le solitudini e le contese
in turbinii di pace.

19.5.25

Le parole nel caffè



Castigarmi di parole
è sermone divino
quando ci sei tu
specchiata nel caffè
mentre cerco
di appallottolare i sensi
e tu, ridendo,
mi scarti, mi stiri
e mi guidi l’amore sui fogli.

11.5.25

Gaza



Gaza è un macigno
di ossa stritolate
mangime di corvi,
diroccato museo
di ombre e palloncini.

Gaza ha un dito puntato
verso un occidente putrefatto
immeritata culla
di corrotta civiltà.

Gaza ci rincorrerà
nella notte dei tempi
con la falce del perdono,
brucando con nobiltà
l’erba dell’inanità.

Gaza intingerà
il suo pennello di pane
su tavolozze di Storia
incrostando vergogna
sui vetri delle scuole.

Gaza è urlo della terra
tumefatta da inutili parole
sopraffatta dai silenzi
scavo di tombe nane
coperte da cuori di muffa.

Gaza è un unico
grande, perverso macigno
che rotolerà sulle spalle
della nostra incolore progenie.

8.5.25

Che te ne fai?



Dimmi, cosa te ne fai
dei miei pensieri magri
baci di polvere e sogni
che tamponano le tue ciglia.

Che te ne fai di me
e della mia cieca velleità
ad accanirsi d’amore
su marmoree curve d’anima?

27.4.25

Claudicare



Mentre il tempo
s’impiglia ai passi
incerti e bizzosi
di un aprile stentato,
mi rigiro nel tuo pensiero
premura di golfo accogliente
oasi e madre,
tana del mio scorrere d’inerzia.

26.4.25

Voglia di poesia



Quando hai voglia di poesia
non è complicato:
porgimi il tuo bicchiere
dove hai lasciato il rossetto,
appoggia il piede
sul mio petto,
sorridi,
così spegni le stelle,
leggi le mie labbra
e ti sporgi sull’infinito.

21.4.25

Sempre rincorrendo Pessoa



L’unico indizio
della coscienza di esistere
è l’impulso al porsi domande.

Quando la curiosità
esprime forza centripeta,
coglie la possibilità
che l’autentico essere
non sia “oltre”,
ma che noi stessi
abitiamo un “oltre”:

uno dei milioni
sui quali pochi altri
si pongono domande.

7.4.25

Missive disperse



Il vecchio impiegato
dell’Ufficio Postale
piegò gli angoli delle labbra
e, contemporaneamente,
sollevó, senza apparente sforzo,
le virgole dei sopraccigli.

Mi giudicava così,
appeso al suo sarcasmo,
mentre dalle mani
mi scappava via
l’ennesima lettera
inutile come una prigione.

Tutte quelle poesie
le recapitava lui
ai cuori trasferiti,
indirizzi inesistenti,
destinatari sconosciuti.

Lo pagavano profumatamente
per generare l’illusione
di averle consegnate.

1.4.25

L’inganno d’Aprile



Aprile
è un rubinetto che perde,
un mozzicone di sigaretta
acceso nella notte umida.

Aprile ti mette in disordine
le coperte, i pensieri, i desideri
e cammina scalzo
nascondendo le pantofole
sotto un letto di malinconie.

Aprile tenta di ingannarti
con i colori a pastello
su logore tende di grigio.

Lui è in buona fede:
lo capisco in ritardo
quando mi ha già lasciato
correndo verso il mare.

26.3.25

Il parco e l’altalena



C’era un’altalena
annodata ai profumi
di un parco antico.

Penzolava attraente
verso sguardi curiosi
e braccia smanicate.

Defilato e trasparente
attendevo anch’io
con sommesse vibrazioni
di vedere il primo salto
su quel sedile di legno.

Furono dei capelli
dal colore di corteccia
che si agitarono
capricciosi sulla schiena
e vidi partire la rincorsa.

Dolci erano gli ondeggi
con le materne spinte
in un trionfo di sorrisi
e la manina sollevata
a fare ciao alle nuvole.

Volli accostarmi
a chiedere con lo sguardo
un segno d’intesa
per aiutare anch’io
a prendere in giro le rondini.

Il mento si abbassò,
il sorriso si divise,
raccontai una storia
di fatine ed aquiloni
e per qualche minuto
il parco ammutolì.

È passato tanto tempo
il parco non c’è più
e nemmeno l’altalena:
oggi c’è una donna
che non ricorda più
e mai ricorderà
chi giocò con lei
in un balbettio
di primavera.

23.3.25

Scritture brevi: Il vecchio molo



Era la fine di aprile. In quel periodo il suo paese si gode lo spettacolo di una primavera in trionfo e di un’estate in embrione, che si prendono sottobraccio come vecchie amiche, scambiandosi i loro migliori doni: i profumi della natura in festa, deliziati da una temperatura gradevole, da apprezzare in una rarefazione di moltitudini.
Il giorno di festa lo sospinse verso il mare.
Il suo luogo preferito era un vecchio molo abbandonato, dove un tempo approdavano mercantili, circondato da una larga cala protetta dal maestrale. Stese il suo telo sulla liscia superficie di cemento e si sedette comodamente in un silenzio surreale. Il sole aveva preso possesso del cielo come un antico feudatario medievale, scalciando via ogni tentativo di nuvole. L’aria era avvolta da una calura inebriante. Il mare aveva apparecchiato una tavola trasparente, sulla quale qualche timida onda si limitava ad accarezzare gli scogli, dove i granchi sgambettavano pigramente. I gabbiani sembravano volare d’inerzia, come cercassero comode amache da occupare con le ali aperte per abbronzarsi.
Da qualche giorno era depresso. Aveva la sensazione che l’amore della sua vita fosse nella fase terminale. Non aveva bisogno di riflettere più di tanto su cosa stava accadendo per una ragione ben precisa: era certo, per com’era la sua indole, che qualsiasi decisione avesse preso, avrebbe finito per distribuire sofferenza sulle persone intorno a lui e i relativi rimorsi lo avrebbero inseguito incessantemente. Sarebbe accaduto anche ove avesse deciso di non decidere. Questo peso lo opprimeva come un macigno sul torace.
Si distese sull’asciugamano e indossò gli auricolari. La musica da sempre aveva il potere di trascinarlo lontano. A volte la cercava per distrarsi. In altri casi per infossarsi ancora di più nel dolore, per escoriarsi l’anima, cercare redenzione o farsi scomunicare dalla vita.

“𝙄 𝙛𝙤𝙪𝙣𝙙 𝙖 𝙡𝙤𝙫𝙚 𝙛𝙤𝙧 𝙢𝙚 𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙙𝙞𝙫𝙚 𝙧𝙞𝙜𝙝𝙩 𝙞𝙣”.

Le note entrarono nei suoi padiglioni con la forza di un ariete. Quella canzone era ormai una hit tra le più conosciute e, come spesso accade, il suo stesso successo la ridimensionava in originalità e trasporto. Ma la musica ha una connessione stretta e dirompente con i momenti topici in cui viene ascoltata. E questo, per lui, era uno di quelli.

“𝙊𝙝, 𝙙𝙖𝙧𝙡𝙞𝙣𝙜, 𝙟𝙪𝙨𝙩 𝙠𝙞𝙨𝙨 𝙢𝙚 𝙨𝙡𝙤𝙬, 𝙮𝙤𝙪𝙧 𝙝𝙚𝙖𝙧𝙩 𝙞𝙨 𝙖𝙡𝙡 𝙄 𝙤𝙬𝙣”.

Il suo cuore iniziò ad accelerare, inciampando e ingolfandosi come un’auto che passasse repentinamente dall’asfalto allo sterrato. Gli si materializzò il volto di lei, sorridente, chino su un orizzonte ignaro e inondato di luce. Il sole intuì di essere d’impaccio e richiamò velocemente un cirro d’emergenza. Ebbe anche la sensazione che i gabbiani, educatamente, scansassero quello spaccato di cielo per non interferire con la sua proiezione.
Pensò che l’amava, oh si! L’amava davvero tanto e non voleva perderla.

“𝙊𝙝, 𝙗𝙖𝙗𝙮, 𝙄'𝙢 𝙙𝙖𝙣𝙘𝙞𝙣' 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙙𝙖𝙧𝙠 𝙬𝙞𝙩𝙝 𝙮𝙤𝙪 𝙗𝙚𝙩𝙬𝙚𝙚𝙣 𝙢𝙮 𝙖𝙧𝙢𝙨 𝘽𝙖𝙧𝙚𝙛𝙤𝙤𝙩 𝙤𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙨𝙨 𝙬𝙝𝙞𝙡𝙚 𝙡𝙞𝙨𝙩𝙚𝙣𝙞𝙣' 𝙩𝙤 𝙤𝙪𝙧 𝙛𝙖𝙫𝙤𝙪𝙧𝙞𝙩𝙚 𝙨𝙤𝙣𝙜”.

Gli venne in mente che aveva sempre desiderato una cosa che non si era ancora potuta materializzare. Voleva ballare con lei un lento come si usava negli anni ‘70, interminabile, guancia a guancia, con i suoi capelli che gli finivano negli occhi, baciandole i lobi delle orecchie, e mormorandole cose ridicole, sconclusionate, poesie di bambini.
Ormai piangeva a dirotto e i gabbiani disegnavano ghirigori in quello spazio vuoto dove si era dissolto il sogno.
Si tolse gli auricolari e notò che il sole aveva riconquistato il suo incontrastato dominio.
Era solo, aggrappato a quel vecchio molo, dove un tempo poderosi natanti avevano ghermito la terra, mentre ora la sua fragile barchetta stava lentamente prendendo il largo verso un misterioso destino.

2.3.25

Scritture brevi: Il giardiniere


Van Gogh: Il giardiniere


“Stai tranquillo”, mi dicevano. E questa cosa, per di più, la leggevo da tutte le parti: sui biglietti dei baci Perugina e tra i versi dei poeti famosi. E forse avevo iniziato un pò a crederci.
Sarà così: Il Tempo ha le sue proprietà taumaturgiche.

“Arriverà ogni giorno come una brezza delicata e un pochino alla volta ti si sfocherà tutto”,

come quelle pellicole Super 8 che giravano sui proiettori decenni fa. E come succede per i “mantra”, la norma non vale per tutti, o forse per pochi o nessuno. Chissà.

Allora io ho provato ad immaginare il Tempo nelle sembianze di un abbronzato giardiniere che un giorno viene a far visita.


- Salve! Come va? Le serve qualche lavoretto?
- No guardi, non credo proprio.
- Sa perché glielo chiedo? Passo spesso di qui e ho notato che il suo terreno è da anni pieno di buche.
- Ha ragione. Ma non ho la forza e neanche tanta voglia, forse, di riempirle.
- Senta, io sono un esperto imbattibile in queste incombenze. Mi chiamano tutti - a volte m’invocano - per provvedere a ricoprire vuoti che, a parte l’aspetto estetico, possono divenire ricettacolo di indesiderabili conseguenze.
- Dice davvero? Lei ha così tali competenze da svolgere in modo semplice ed indolore questo lavoro?
- Assolutamente. Non se ne pentirebbe e mi ringrazierà per aver riportato il suo terreno nelle condizioni ottimali per andare avanti.

Dirò la verità, queste parole mi facevano riflettere. Un giardiniere di quell’esperienza avrebbe potuto fare al caso mio. Quelle buche sarebbero state riempite ed io non sarei stato più costretto a fare giri larghi ogni santo giorno, per scansarle e non doverle incrociare per poi stare a rimuginare.

- Va bene, accetto la sua proposta. Quando intende iniziare?
- Anche subito, se è d’accordo.
- Certamente, prima si incomincia e prima si finisce.

Pausa.

- Allora? Cosa sta aspettando?
- Eh! Mi deve dare gli attrezzi!
- Cosa? Ma che razza di giardiniere è lei? Si presenta senza attrezzi?
- Ascolti, per questo lavoro io ci metto la manodopera fatta di lentezza e accuratezza, non lascio fastidiosi residui, ma lei deve crederci davvero e fornire la necessaria collaborazione.
- Ho capito. E se io non avessi gli arnesi che servano allo scopo?
- Guardi bene. Ce li hanno tutti. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, se li procuri. Deve dimostrare che davvero ci tiene, altrimenti io non posso far nulla.
- Così lei mi sta dicendo che io, in fretta e furia, dovrei affacciarmi alla prima ferramenta e raccattare le prime cose che trovo? Mmmm…sa che le dico? Lasci stare quelle buche. Ormai sono storia e parte della mia terra. E poi, chi mi dice che se le facessi ricoprire non ne vengano poi fuori altre, meno profonde, meno perfette, meno vissute? No guardi, laggiù in fondo a quelle buche, scavando, è venuto fuori quello che sono ora, il vero me stesso. 
- A lei la scelta, io le ho fatto la mia proposta. Mi stia bene.
- Arrivederci.
- Addio.

26.2.25

Try - P!nk



La mia reinterpretazione.


La domanda è sempre uguale:
Cosa starai facendo ora,
proprio ora?
Mi viene di chiedertelo
sotto la cenere
di un fuoco che non smette
non smette mai di bruciare.
Un fuoco che non uccide
perché il suo compito
è solo far soffrire.
Ma perché innamorarsi
se poi si deve bruciare?
Sarebbe più facile scomparire
che stare distesi tra le domande.
Non so se riuscirò ad alzarmi
ma devo provare e riprovare
provare e riprovare
per tornare a camminare
e spegnere questo fuoco.
Provare e riprovare
provare e riprovare
fino a quando tornerò a camminare
fino a quando mi chiederò ancora:
Cosa starai facendo ora?

24.2.25

Abissi di luna



E così, in sincrono
mentre la luna si fa mare
mi assale la tua onda
inabissandomi e frugandomi,
anima dissetante,
densità, unicità, furore,
infine estremo candore,
trabocchi da tutti i pori
a secernere mistero.

18.2.25

Ti riconobbi



Ti riconobbi subito.
Ti portavi il cuore addosso,
cieco ed incredulo.
Strascinavi i pensieri
su letti di lacrime disseccate.
Le tue guance si chiedevano
se davvero
avessero inventato i sorrisi.
Camminavi scalza
sulle spine degli inganni.

Ti riconobbi subito.
Ti avevo baciato la fronte
prima di nascere
sapendo
che saremmo dovuti morire tante volte
prima di incontrarci.

16.2.25

Posso?



Posso slegarti i capelli?
Portarti in bici,
regalarti conchiglie,
sporcarti di sabbia e sogni,
leccarti gli sbuffi di nutella?

Ti va se riavvolgo il nastro
perché non so se ho capito bene
quella volta che mi hai detto
“sono tua”?

Posso, per favore,
dimenticarmi
come ti ho conosciuta,
inciampando nei sorrisi,
per incontrarti di nuovo?

Posso? Su dai facciamolo…

12.2.25

Le dita del poeta



Meteore astrattive
trafiggono orizzonti verticali
indicati da ossessive falangi
mentre il poeta
percuote parole desuete
inesausto carpentiere di sogni
scalpiccia mirabilie
sfaccendato d’amore.