19 settembre 2011

I fuochi di Najm*



La prima volta che Najm alzò gli occhi verso il cielo aveva quattro anni. Il papà lo aveva condotto al limitare del recinto dove il sole rosso inondava la pianura dei suoi ultimi rami sanguinanti.
E dietro quegli ultimi raggi, nella nera metà del cielo che tracimava imponente, si accesero dei fuochi...
Almeno Najm pensava che fossero fuochi. E lo chiese al papà.
"Sono segni della presenza divina, Najm. Noi li adoriamo e li rispettiamo perchè vigilano severi su di noi. Se ci comportiamo bene con loro la nostra vita sarà propizia e le messi rigoglieranno e gli armenti ingrasseranno". Najm, incantato, li fissò per molto tempo, fino a che la voce del padre lo scosse e il collo gli fece male.
La famiglia di Najm viveva in una sperduta landa dell'Asia Minore, agli albori della civiltà. Il papà faceva il pastore, così come il nonno, così come tutti gli antenati, così come tutto il mondo conosciuto, che non era poi grandissimo. Najm sapeva che anche lui avrebbe fatto il pastore e fino al momento in cui guardò per la prima volta il cielo nessun dubbio a tale riguardo aprì una breccia nelle sue certezze.
Da quella sera in poi non andava a dormire senza prima sedersi a cavalcioni sulla recinzione a guardare "i fuochi". Seguiva, spingeva, dolcemente, il sole giù, giù, dietro le colline, e rapidamente abbracciava le altre presenze che incombevano. E così per tante sere, come fosse un dovere. Quando il tempo era inclemente e la notte era nera e spaventosa si accucciava nel suo giaciglio e si concentrava...Immaginava i "suoi" fuochi che solcavano il nero della vita....
Passò il tempo e Najm diventò esperto nell'arte del pascolo. La mattina precedeva di qualche ora il sole e accompagnava il papà nei lunghi percorsi sulle pianure desolate ma ricche di foraggi e sementi. Questi, gli aveva insegnato tutto quello che serviva a condurre le greggi in modo sicuro, autoritario, ma insieme dolce e comprensivo. Quegli animali erano la sua famiglia allargata. "Ricordati che se non ci fossero loro non avremmo ragione di esistere neanche noi", lo ammoniva la voce calda e rasposa del genitore.
Le voci dei pastori hanno questa caratteristica: per anni governano il gregge con comandi vocali la cui intonazione è recepita e riconosciuta al volo dalle orecchie delle bestie; pare che si stabilisca un idioma sconosciuto fatto di gesti e invocazioni, un vocabolario sui generis. Ma alla lunga le corde vocali umane subiscono variazioni morfologiche: esse non vibrano più con la stessa intensità, ma pare si adagino nella culla embrionale del tempo perduto, si schierano in retroguardia, sagge e pazienti.
Le giornate trascorrevano sempre uguali e monotone, ma Najm aveva il suo appuntamento fisso al quale non mancava mai. I fuochi lo attendevano pazienti e il suo arrivo pareva eccitarli: sfavillavano come fiaccole inestinguibili rischiarando la notte silente e tiepida di quelle latitudini.
La sua era una splendida ossessione. Passava da un vertice all'altro del recinto, saliva come un furetto sugli alberi più alti, sporgendosi per cercare di toccarli. Lanciava loro delle pietre, ma piano piano, per paura di spaventarli. Si chiedeva continuamente se fosse vero che decidessero il destino delle persone. Alcuni vecchi del villaggio avevano dato dei nomi di animali ad alcuni di essi, come se incarnassero le loro caratteristiche.
Lentamente si convinse che fosse così. Dentro di lui maturò una decisione. Avrebbe agevolato il loro compito. Nella vita si sarebbe comportato in maniera coerente e leale e li avrebbe amati come se fossero stati dei Grandi Maestri.
Il suo appuntamento serale era così divenuto un'occasione di riflessione e dialogo: con sè stesso e con i suoi Maestri. Rifletteva e spaziava su tutto. Sulla sua famiglia, sul gregge, sul raccolto, sulle stagioni che si susseguivano foriere di buoni o cattivi presagi. E poi ancora più dentro di se: le ragioni della sua esistenza, cosa lo guidava, perchè sentiva dentro di sè sempre una strana sensazione di indomabile anarchia, di orizzonti mai raggiunti....
Una sera si fermò il tempo. Lo chiamarono a gran voce ragazzini giunti stremati al limitare della pianura, dove le greggi riunivano le fila e si preparavano al ritorno. "Corri Najm!" Bastarono queste parole. Mentre divorava la distanza che lo separava da casa percepì che la sua vita era ad una svolta.
Era steso su un giaciglio di povere vesti. Respirava a fatica. La fronte bruciava. Vide Najm, il suo piccolo Najm. "Caro" - ebbe la forza di dire - "Sii forte e fai sempre quello che senti, quello che trovi giusto per te e per chi ti ama". E gli strinse forte le mani.
Non pianse Najm. Scolpì all'interno del suo cuore queste parole e lentamente, allontanando tutti, si recò al suo appuntamento.
Erano lì, come sempre, i suoi fuochi, i suoi Maestri. Parvero ondeggiare e brillare più vivi al suo arrivo. Si mise a cavalcioni, come sempre. Mentre sentiva ancora forti e chiare le parole del papà una brezza improvvisa venuta su da chissà dove, spazzò la pianura e si insinuò lungo la sua spina dorsale. Si accese un altro fuoco in cielo. Una luce brillante si affiancò alle altre. E una lacrima viva scese sulle guance di Najm. Il suo papà era lì con lui.
Da quella sera riconosceva quel fuoco dovunque si trovasse...gli pareva che la sua luce brillasse più viva e le pulsioni del suo cuore corrispondevano alle intermittenze nel cielo. I suoi stati d'animo, la sua collera, la sua tristezza, la sua serenità erano riflessi multicolori nell'immensità. Sapeva di non essere solo e questa consapevolezza lo sosteneva e gli dava forza per affrontare la vita e non perdere mai la voglia di sognare e di volare alto.
La voglia di sognare l’accompagnava da bambino. Si sentiva "diverso", ma nello stesso tempo non voleva sentirsi tale. Anzi il suo desiderio più grande era condividere queste sensazioni con gli altri. Non riusciva ad immaginare come l'umanità fosse totalmente impegnata a rinchiudersi in piccole incombenze materiali. Aprire il cuore alla natura, al cielo, conversare con i "fuochi", non sapevano che cosa si perdevano!
E ogni sera cercava un dialogo più forte, più denso, più intimo con i suoi Maestri. Ora che il suo papà era con loro voleva raggiungerli, toccarli, amarli, voleva fondersi con la loro essenza sovrumana, voleva CAPIRE, finalmente.
Accadde una sera, in autunno avanzato. Raggiunse come sempre il luogo del suo raccoglimento. Salì sull'albero più alto che dominava la pianura. I fuochi tremavano, sfregolando nel buio. Si rivolse a loro pensando ad alta voce: "Il mio percorso è giunto alla fine. Mi avete guidato, amato, istruito. Ora sono pronto. Il mio desiderio è comprendere il senso della mia esistenza. Il mio destino è guidare altre anime alla fonte della vita. Eccomi a voi, eccomi papà, abbracciami!"
Lo attesero per tutta la notte. Il mattino dopo lo cercarono invano e qualcuno pensò che fosse fuggito, lontano dalle sue responsabilità: "E' stato sempre un ingenuo sognatore".
Quel giorno stesso arrivarono al villaggio tre cavalieri. Il loro aspetto era stanco e sofferente. Ma le loro vesti e il loro portamento indicavano che si trattava di personaggi di alto lignaggio. "Ci siamo perduti" - dissero - "Avete cibo e giacigli per farci riposare? Possiamo ricompensarvi".
Il membro più anziano della comunità rispose che per loro l'ospite era sacro e che nonostante la loro povertà avrebbero avuto ciò che desideravano.
Qualcuno chiese loro dove fossero diretti. "Ci hanno detto di seguire un evento meraviglioso che si compirà nei prossimi giorni, verso ovest. Sapevamo di dover fare molta strada, ma ora non sappiamo quando nè dove arrivare." Si fermarono a mangiare e riposare e furono grati a tutti gli abitanti del villaggio.
Qualcuno raccontò loro la storia di Najm. Vollero visitare il luogo della sua scomparsa. La sera stessa erano sul posto. D'improvviso un grande fuoco apparve in cielo. Una luce immensa con una scia abbagliante. 
Si mosse e i tre cavalieri capirono.
Dovevano seguire la stella. Najm gli avrebbe guidati.
I loro nomi erano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

*Najm in arabo significa "stella"

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