9 gennaio 2013

Beatificazione Aldo Moro

Parlare di Aldo Moro è per me un carezzevole deja vu. Bambino mi aggiravo curioso nei saloni gremiti di persone che salutavano il mio babbo e mi calavano una pacca sulla testa. Mi sorrideva e mi abbracciava anche quest’uomo altissimo e dalla voce suadente e pastosa. Nacque un feeling corredato da scambi epistolari. che mi accompagnò qualche anno. Percepii anch’io, nella normale sensibilità fanciullesca, quella grande umanità che lo contraddistingueva. Ora si propone la sua beatificazione. Non entro nel merito squisitamente destinato al vaglio delle coscienze di fede visto che la beatificazione vuole riconoscere formalmente l’ascensione di un’anima al Paradiso e la sua facoltà di intercedere in favore di individui in prece, comprendendo anche l’aspetto martirologico; mi interessa invece considerare l’attività politica di Aldo Moro alla luce di questa proposta. Mi è sembrato interessante quindi, in questa epoca in cui la politica sembra assumere connotati più “geometrici” (“scendere in campo”, ”salire in politica”) che ideali, cercare un confronto tra comportamenti diversi tenuti da Moro appunto e da altre due personalità in occasione di interventi pubblici. Non scandalizzi la scelta di Bettino Craxi, sicuramente agli antipodi per virtù morali, ma in fondo figlio del suo tempo in cui l’etica e la politica iniziavano a divergere irreparabilmente. Più contigua la scelta di Giorgio La Pira, anch’egli cattolico e già proclamato beato.


L’11 marzo 1977 (1 anno prima del suo rapimento) Aldo Moro pronunziò alla camera il famoso discorso sullo scandalo Lockeed, nel quale difendeva a titolo personale il compagno di partito Luigi Gui ex Ministro della Difesa, dalle accuse di aver percepito/favorito tangenti per l’acquisto degli aerei C-130, poi scagionato dalla corte Costituzionale, e soprattutto, difendeva a spada tratta il suo partito, la DC, dalle accuse di essere coacervo di malaffare. Ricordiamo, solo di sfuggita, che in quegli ”anni di piombo” la DC era considerata sul piano internazionale uno dei baluardi contro il comunismo e, sul palcoscenico nazionale il PCI di Berlinguer era in crescita esponenziale, quindi una difesa “ad oltranza” del suo partito era un atto quasi dovuto. Come poi le conclusioni della vicenda giudiziaria dimostrarono, lo scandalo Lockeed fu forse il primo episodio di corruzione a largo spettro che coinvolse la classe politica in modo trasversale.

… Quello che non accettiamo è che la nostra esperienza complessiva sia bollata con un marchio di infamia in questa sorta di cattivo seguito di una campagna elettorale esasperata. Intorno al rifiuto dell'accusa che, in noi, tutti e tutto sia da condannare, noi facciamo quadrato davvero. Non so quanti siano a perseguire un tale disegno politico, ma è questa, bisogna dirlo francamente, una prospettiva contraddittoria con una linea di collaborazione democratica. A chiunque voglia travolgere globalmente la nostra esperienza; a chiunque voglia fare un processo, morale e politico, da celebrare, come sì è detto cinicamente, nelle piazze, noi rispondiamo con la più ferma reazione e con l'appello all'opinione pubblica che non ha riconosciuto in noi una colpa storica e non ha voluto che la nostra forza fosse diminuita. Non accettiamo di essere considerati dei corrotti, perché non è vero….. Abbiamo certo commesso anche degli errori politici, ma le nostre grandi scelte sono state di libertà e di progresso ed hanno avuto un respiro storico, tanto che ad esse deve ricondursi chiunque voglia operare efficacemente nella realtà italiana. Certo un'opera trentennale, per la quale si realizza una grande trasformazione morale, sociale e politica, ha necessariamente delle scorie, determina contraccolpi, genera squilibri che debbono essere risanati, tenendo conto delle ragioni per le quali essi si sono verificati. Ecco perché al balzo in avanti innegabile di questi anni segue una crisi che deve essere diagnosticata con rigore e curata con coraggio. Ma essa non significa affatto che tutto fosse sbagliato, ma solo che vi sono stati eccessi ed errori, in qualche misura inevitabili, in questo processo storico…. Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare. Se avete un minimo di saggezza, della quale, talvolta, si sarebbe indotti a dubitare, vi diciamo fermamente di non sottovalutare la grande forza dell'opinione pubblica che, da più di tre decenni, trova nella democrazia cristiana la sua espressione e la sua difesa. Credo che essa non intenda rinunciare a questo modo di presenza, così come noi non pensiamo di rinunciare a questa forza, ai diritti che ne conseguono ed ai compiti che ci sono affidati. Si tratta di cose estremamente serie, ed è doveroso in questo momento riaffermare le ragioni della libertà e la necessaria integrità del paese nella sua sostanza sociale e politica. Rispettando gli altri, desideriamo essere rispettati a nostra volta in qualsiasi momento, ed in particolare quando esprimiamo un voto di coscienza. Chiediamo di essere rispettati non solo per la imponente quantità di consensi che, sostanzialmente inalterata, noi abbiamo alle nostre spalle, ma anche e soprattutto perché, mentre è in atto una corrosione dei valori e delle strutture della società, una corrosione che dovrebbe fare riflettere seriamente quanti vanno al di là dell'immediato e guardano al domani, noi rappresentiamo non solo dei voti, ma idee, attese, speranze, valori, un patrimonio insieme di innovazioni, di ricchezza umana, di stabilità democratica, del quale il paese, secondo la nostra profonda convinzione, non potrebbe fare a meno.

Il 3 luglio 1992 Bettino Craxi interviene alla Camera nel pieno delle inchieste su tangentopoli che hanno investito in pieno il cosiddetto CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) e lancia il suo “J’accuse” contro il sistema corruttivo imperante nei partiti. Ovviamente il suo ruolo sembra quello più di un Sansone contro i Filistei che quello di un pentito ravveduto, tuttavia, il muro di Berlino era crollato e, non essendoci più un “pericolo comunista” tranne che per il suo pupillo Berlusconi, erano cadute le ragioni di Stato e internazionali che imponessero ancora il bavaglio.

…Certo è che sarà proprio in tutta questa complessa e difficile fase di avvio che si decideranno le sorti della legislatura. Una legislatura che ha un grande dovere cui assolvere e che ha di fronte a sé compiti di eccezionale portata. Sono doveri e compiti che derivano in primo luogo da una crisi che non è una semplice crisi politica di forze e di rapporti e relazioni tra le forze. Essa è in realtà la profonda crisi di un intero sistema. Del sistema istituzionale, della sua organizzazione, della sua funzionalità, della sua credibilità, della sua capacità di rappresentare, di interpretare e di guidare una società profondamente cambiata che deve poter vivere in simbiosi con le sue istituzioni e non costretta ad un distacco sempre più marcato. Del sistema dei partiti, che hanno costituito l’impianto e l’architrave della nostra struttura democratica, e che ora mostrano tutti i loro limiti, le loro contraddizioni e degenerazioni al punto tale che essi vengono ormai sistematicamente screditati ed indicati come il male di tutti i mali, soprattutto da chi immagina o progetta di poterli sostituire con simboli e poteri taumaturgici che di tutto sarebbero dotati salvo che di legittimità e natura democratica. Sono immagini e progetti che contengono il germe demagogico e violento di inconfondibile natura antidemocratica. E’ vero che nel tempo si sono accumulati molti ritardi per tanti fattori negativi, per miopia, velleitarismo, conservatorismo. Tutto ciò è avvenuto in modo tale che il logoramento del sistema ha finito con il progredire inesorabilmente come non era difficile prevedere. Ora non c’è più molto tempo a disposizione, ci sono dei processi di necrosi che sono giunti ormai ad uno stadio avanzato. Il Parlamento deve reagire alto e lontano dando innanzitutto l’avvio ad una fase costituente per decidere rapidamente riforme essenziali di ammodernamento, di decentramento, di razionalizzazione

….. C’è un problema di moralizzazione nella vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. E’ tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile.In quest’Aula e di fronte alla Nazione, io penso che si debba usare un linguaggio improntato alla massima franchezza. Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso, e in certi casi, hanno tutto il sapore della menzogna. Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica. Uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale e ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità. Purtroppo, anche nella vita dei partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette, sia per la impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia, talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E così, all’ombra di un finanziamento irregolare ai partiti, e ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti, trattati, provati e giudicati. E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro. E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali. Per esempio, nella materia tanto scottante dei finanziamenti dall’estero, sarebbe solo il caso di ripetere l’arcinoto “tutti sapevano e nessuno parlava”.

Il 24 settembre 1954 Giorgio La Pira pronunciò un memorabile discorso al Consiglio Comunale di Firenze. Egli era tanto amareggiato per le critiche ricevute a motivo della sua presa di posizione a favore dei licenziati e degli sfrattati e affrontò decisamente l’argomento dicendo:


“Signori Consiglieri,si allude forse ai miei interventi per i licenziamenti e per gli sfratti e per altre situazioni nelle quali si richiedeva a favore degli umili, e non solo di essi, l’intervento immediato, agile, operoso del capo della città? Ebbene, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco, non si interessi delle creature senza lavoro, senza casa, senza assistenza (vecchi, malati, bambini). É il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città - e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina -, dalla mia coscienza di cristiano: c’è qui in gioco la sostanza stessa della Grazia e dell’Evangelo! Quindi, signori Consiglieri, è bene parlare chiaro su questo punto! Ripeto, voi avete un diritto nei miei confronti: negarmi la fiducia: dirmi con fraterna chiarezza: signor La Pira, lei è troppo fantasioso e non fa per noi! Ed io ringrazierò: perché se c’è una cosa cui aspiro dal fondo dell’anima è il mio ritorno al silenzio e alla pace della cella di San Marco, mia sola ricchezza e mia sola speranza! Ed è forse bene, amici, che voi vi decidiate così! Io non sono fatto per la vita politica nel senso comune di questa parola: non amo le furbizie dei politici e i loro calcoli elettorali; amo la verità che è come la luce; la giustizia, che é un aspetto essenziale dell’amore; mi piace di dire a tutti le cose come stanno: bene al bene e male al male. Un uomo così fatto, non deve restare più oltre nella vita politica che esige - o almeno si crede che esiga - altre dimensioni tattiche e furbe! Ma se volete che resti ancora sino al termine del viaggio, allora voi non potete che accettarmi come sono: senza calcolo; col solo calcolo di cui parlava l’Evangelo: fare il bene perché è bene! Alle conseguenze del bene fatto ci penserà Iddio!”.


Singolare vero? Questo discorso del 1954, in piena Guerra Fredda, quando l’Empireo della politica era popolato da anime giuste e da valori fondanti, ci infonde più speranza e fiducia nel futuro che non quelli più recenti, ingolfati da alchimie e sottobosco.


Per chi volesse leggere le versioni integrali ecco i link:

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