24.4.21

Peter Pan


Mi stavo impegnando
a diventar grande
a pensare al futuro
ringuainare la spada
e mettermi seduto
a godermi il tramonto.

Ma non ce la faccio:
sono ancora il bambino
quello che fa i cuori sul diario
quello che imita Sandokan
e spara con le pistole di Buffalo Bill.

Sono sempre infatuato
di quella del primo banco
e di quella del piano di sotto,
quello rapito da Che Guevara
quello che El Pueblo Unido
non sarà mai vinto.

Sono quello del pane tutta crosta
della mozzarella e della pizza
della granita con la panna
di Topolino e Nembo Kid
dei trenini elettrici e dei Lego.

Sono quello che porta nel cuore
i compagni di scuola
che rifarebbe tutto di nuovo
anche gli scherzi ai prof
e i tanti sette in condotta.

Sono quello che s’innamora
delle anime tristi ed incomprese
perché mi ci riconosco
sono quello delle rose rosse
sorprese tra le pagine dei libri.

Sono quello degli altoparlanti sul balcone
quello che scrive sei bella sull’asfalto
quello che corre in piedi sulla moto
sotto le finestre del mio amore
quello che se non soffre non vale
quello delle bugie di un bambino.

E sono quello delle poesie
che mi portano lontano
in luoghi inaccessibili
dove qualcuno si è perso
proprio all’ultimo metro.

Mi stavo impegnando
a diventar grande
ma non ci riuscirò
le mie ali non si chiudono
vogliono giocare per sempre.

Il faro


La fantasia popolare negli anni della mia adolescenza annoverava una costruzione particolare: il faro. Soprattutto quando era posizionato su un’isola dalla quale dominava l’orizzonte, avvisando della sua presenza per miglia e miglia. Il mare, elemento misterioso con le sue calme e i suoi silenzi, con le sue ire e le sue deflagrazioni, circondava la piccola terraferma dove il faro assumeva le vesti di un vero e proprio totem, un misericordioso, simbolico rifugio incarnante le speranze, i desideri, i sogni dei suoi, talvolta, singoli abitanti.
Nel 1967 la RAI trasmise una piccola serie di 4 episodi, nello spazio destinato alla TV dei Ragazzi, che s’intitolava “I racconti del faro”. Protagonisti erano Fosco Giachetti, storico grande attore di teatro, nella parte di Libero (mai nome fu più calzante), responsabile del faro e Roberto Chevalier nella parte di Giulio, suo nipote che lo veniva a trovare sulla sua isola dal continente.
In quell’epoca io ero spesso a casa dei miei zii dove la sorella di papà, Wanda, era maestra e mi faceva doposcuola e il marito Peppino era la persona alla quale mi affezionai tantissimo. Era il narratore di storie avvincenti e pericolose, colui che amava la campagna e la natura e che mi scarrozzava in lungo e in largo per le contrade. Che mi insegnò a nuotare. E che mi presentò la Loggia di Pilato che imparai ad amare.
Ecco, lo zio Libero del faro era la proiezione del mio zio Peppino e le avventure di Giulio, tra tesori nascosti, pirati spietati, messaggi nella bottiglia, naufraghi sconosciuti che approdavano sull’isola, erano le mie avventure, quelle che vivevo nella mia fantasia, insieme a mio zio Peppino che ho amato tanto e che mi ha donato questa casa in questo luogo carismatico che ha qualcosa del faro, nel suo dominio della pianura, nel suo essere al centro degli elementi, nel suo alternarsi di silenzi e bufere, profumi e colori, il sogno dei pittori e dei poeti.

16.4.21

Il barattolo


Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo:
“Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.
E lei non gliene chiese,
gli rispose: “Ti amo”.
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio
e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio.
Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo,
perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

Jonathan Safran Foer

 

Le mie canzoni


Esistono amiche devastanti
che ti rincorrono testarde
sono le canzoni urlate
davanti allo specchio dei ricordi
quelle che sai sillaba per sillaba
quelle che rigano il cuore.

Quelle che batti con il piede
e “la la la” quando c’è solo musica,
quelle che balli e balli
piroettando con le ombre,
quelle che il tempo è fermo lì,
ti aspetta al varco
scippandoti con destrezza
la maschera dello “sto bene”.

Le canzoni che martellano,
scudisciano, soffocano,
quelle che ti lasciano la sera
e tornano la mattina
bagnate di caffè e lacrime.

Le canzoni che trotterellano
insieme al tuo dolore
che invadono le pause
violentano i silenzi
percuotono i falsi sorrisi.

Le canzoni che ti porterai con te
appese all’ultimo tramonto
il tuo prezioso medley
da cantare alle stelle.

12.4.21

La conchiglia blu


Nel mio sogno
c’è una spiaggia assolata
dove mare, cielo e sabbia
in fondo al rigo dell’iride
si confondono di mistero.

E ciabattando tra farfugli
di onde giocanti
ho visto una conchiglia blu.

Le ho prestato il mio desiderio
parlandole come fosse la tua bocca
e il blu vibrava e gemeva.

Non so che poesia fosse
ma erano fuoco e spade,
voli ed uragani.

Attendevo una risposta
accostato a quella porta blu:
ma spirava solo silenzio e salsedine.

L’ho affidata alla corrente:
“Va e porta il mio bagaglio
di stelle marine ed ippocampi
granchi innamorati di sole,
va e porta l’eco del mio sorriso
fluttuante tra le curve ubriache
dei tuoi eterni ritorni”.

Quello che so dell'amore


Quello che so dell’amore
è che un diamante grezzo
nel mio cuore
riflette una luce insopportabile
che solo un caso
nell’imperscrutabile volteggiare delle stelle
può trovare uno sguardo capace di sostenerlo.

Soffiami via

A volte mi ritrovo
bendato
a camminare sull’orlo
del pensiero di te...

Soffiami via...

29.3.21

La notte dei poeti


La notte dei poeti
è un naviglio imbizzarrito
a cavallo di marosi di ghiaccio
è filo spinato intorno all’anima
che fugge graffiandosi di luce.

La notte dei poeti
splende nelle tenebre dell’ignoto
ruggisce nelle paludi del silenzio
è veglia, è sudore, è mito
è lancinante soffio di veleni.

La notte dei poeti
è sporcizia di sogni
bava di rimpianti
unguento di memoria

è l’imbocco per baciarti
per rapirti, per volare
oltre il recinto del buio
oltre i confini del tempo.

Scrive il mio nonsenso


E ancora un altro giorno muore
di un altro anno
di un altro senso
e tu mi frantumi ancora l’anima
con i pezzetti che rotolano in fondo
ad un cassetto tarlato di dubbi:
tu che hai separato
Scilla e Cariddi, Calpe ed Abila,
hai zittito Sibille ed Oracoli,
hai raccontato la storia
per cui si muove l’universo
in un ciclico, rocambolesco,
funambolico combinarsi
di chimiche celesti.

Dove sei? voglio amarti ancora
fondermi nella tua essenza di sole
accoccolarmi all’ombra dei tuoi seni
donarti piacere senza fine
senza tempo senza pause
ancora sentirti mia
tuo oggetto
ancora bere alle tue fonti
mia ultima poesia del mistero
ultima spiaggia del mio mare.

Sommergimi, sporcami di sogni,
avvolgimi di firmamenti
buca le frontiere del tempo
ritorna miracolo primordiale
ritorna a nascere dentro di me.

Anima persa


Hai toccato
la nudità profonda
della mia anima sconosciuta
l’hai portata alla luce
e l’hai posseduta
con spudorata intensità.
Ora essa è sola
e chiede al gelo
dove sia la porta
per rientrarmi dentro.

23.3.21

Festa del papà

Oggi niente versi tristi,
oggi sto con te,
tienimi sulle ginocchia
raccontami una storia
di quelle che finiscono bene
di quelle “felici e contenti.”

Fai solletico alla mia vita
raccontami i miei capricci
le mie marachelle
non i miei silenzi
non le mie assenze.

Tienimi sulle ginocchia
ridammi i nostri giochi
le nostre battaglie coi cuscini
i nostri giochi interminabili
anche quelli che non giocammo
anche quelli che non inventammo.

Tienimi sulle ginocchia
dondolami di abbracci
circondami di sicurezze
raccontami una storia
di quelle che finiscono bene
di quelle che fanno ridere.

Tienimi ancora sempre
sulle tue ginocchia forti
dove mi posso aggrappare
dove mi sento a casa.

Il mio papà mancato
tu, che racconti la mia storia
sul palmo della mano
con la poesia nel vento
e l’amore a picco sulla fronte.

23 marzo

Passi accartocciati
tacchettavano sulle mie ferite
eco di un ritmo stonato:
ti allontanavi senza guardare.

Era già buio dentro:
buio nel buio nel fondo
di un pozzo buio
dove tremavo accucciato
nudo di cancerosa realtà.

Rigagnoli di spuma rossastra
frastagliavano un selciato amaro
fango di sogni sminuzzati
che m’inzaccheravano l’anima.

E immagino quando
mi librerò spirito pacificato,
nebbia sbriciolata,
fanfaluca d’infinito,
ad abbracciare questa valle
multiforme arcobaleno,
per aspera ad astra
alfa ed omega,
significante e significato.

Prima di divenire
indefinita polvere cosmica
passeggerò sul tuo zerbino,
origlierò al tuo cuore
cercando un cenno di luna,
un lampo di flashback,
una pietra lavica di rimpianto.

La mia forma liquida


La mia forma liquida
divino preludio
per farsi mare curioso
schiudere le tue valve,
pudiche resistenze,
penetrare l’alveo divino
conchiglia di sogno,
accarezzare la tua perla,
mantella di sole
cinta d’amore infinito.

 

L'estasi del dolore


Il dolce sedimento
di una memoria uncinante
inferisce avidi tagli
sul mio corpo nudo
offerto al tuo dominio.

Affonda affonda ancora!
Lecca il mio sangue vivo
bèati del mio dolore gaudente:
solo al calar dell’ombra
rinfodera la lama
serbàta per l’alba sanguigna.

18.3.21

Giorni cupi

 

Quando incrociamo un volto
in questi giorni cupi
un volto fotografato
nella memoria iconica
relegato in un cassetto
chiuso di cianfrusaglie

alziamo il cuore
prendiamo lo sguardo
e doniamolo
addolcito accogliente

se ci ha separato
una gretta routine
se ci ha allontanato
una stolida follia
se ci ha ferito
una lama di rigetto

riprendiamo quel volto
spalanchiamo il cassetto
sempre grati al caso
che lo ha incastrato
generoso, scrupoloso
nelle nostre vite.

Aprite quel cassetto


Se al mattino vi svegliate con il sole accartocciato tra le cose inutili
se la vita vi sembra schiacciata su frasi di circostanza
se l’anima fatica a sciogliere ali rattrappite da costrizioni invadenti
respirate
prendete coraggio
aprite quel cassetto
si, proprio quello,
quello che tenete da parte
per i giorni come questi
quello dove riponete le meraviglie
quello dove stipate le volontà
quello dove, in fondo,
ma davvero in fondo,
c’è il miracolo della vostra vita.

Dove inciampano le stelle?


Chissà dove inciampano
le stelle cadenti
quelle che ci sfuggono
saltellando sull’orizzonte:
forse chiedono aiuto
sfrigolando scintille d’argento,
vanno forse a rotolare
in crepacci di rimpianti,
si sfaldano in mille singhiozzi,
rimbalzano tra valli di cobalto
si sciolgono in rivoli di lacrime.

Chissà dove inciampano
i desideri con le ali
le poesie d’amore
i sogni affogati di luce.

L'astronomo e il poeta



Un bel mestiere quello dell’astronomo. Passa una vita a sfruculiare fra le stelle cercando un posto che possa assomigliare alla Terra.
Ogni santo giorno con gli occhi incollati a quelle fantastiche lenti che scorrazzano il buio più nero, tra migliaia di puntolini cercandone uno, uno solo, che parli il tuo stesso linguaggio biologico, che racchiuda in sè le stesse leggi della vita che conosci. Un’affinità. Una simbiosi. Un comune terreno genetico.
Un bel mestiere quello del poeta che indirizza fiori colorati a posti immaginari. Ogni santo giorno a trasformare le sue emozioni in strisce di parole volanti, a ricamare arpeggi destinati ad un’anima sconosciuta, una sola, che parli lo stesso linguaggio del volo, che abiti lo stesso spazio d’infinita bellezza. Alla ricerca di un cielo che possa raccogliere quei versi, prenderne possesso e amarli. Un’affinità. Una simbiosi. Un comune terreno genetico.

Vivere capovolti


A volte ci sembra di vivere capovolti. Con i piedi immersi nel cielo e i sogni sottoterra. Ci sentiamo diversi, fuori posto, confusi. Le voci sono un mormorio indistinto, non leggiamo le espressioni di dileggio o compatimento sui volti della gente che scorre su tante gambe tutte uguali. Nessuno con cui parlare perché saremmo costretti a urlare. Nessuno da abbracciare, nessuno da amare. Poi, un giorno, da lontano, compare un sagoma alla nostra stessa altezza. Un’altra anima capovolta. Che ci sorride. E sorridiamo anche noi. Che ha gli occhi che parlano nei nostri occhi. Allora avviene che i sogni si sollevano da terra e i piedi sgambettano fra le nuvole. Ed il mondo è fra le nostre mani e possiamo raddrizzarlo per sempre.

 

Poteri della notte


La notte se ci pensate ha poteri magici. Possiamo cambiare identità come Clark Kent, indossare il mantello e assumere superpoteri. Nessun luogo è irraggiungibile, nessun ostacolo invalicabile, nessuna persona intoccabile. Tutti i nostri giochi preferiti ritornano a vivere come in un grande, meraviglioso Toy Story. I trenini elettrici, le Barbie, i Lego, i francobolli, Sandokan e Buffalo Bill. Tutti insieme con noi, nella notte delle meraviglie.
E poi lei/lui. Quella del primo banco che non siamo riusciti a conquistare o che ci ha camminato sopra come un tappeto sporco. Quella che non ha letto neanche una poesia che le hai dedicato. Quella che hai visto sempre di schiena. Quella che hai salutato con un “ci vediamo eh?”. Può essere tua, nella notte, su di un cavallo bianco, con la testa sulla tua spalla e il tuo sogno nelle mani.

La scelta del silenzio


Quando ti sembra di non aver nulla da dire in realtà è proprio perché nel recipiente ribollente della tua anima salgono a galla confuse e mixate sensazioni profonde che non riesci a raccogliere senza scottarti il cuore.
Allora scegli il silenzio, abbassando la fiamma del fornello della mente. Che sia rinuncia o che sia espressione di forza è interrogativo soggettivo.
A me accade prima o poi di sollevare quel coperchio perché le bolle si trasformino in desideri, in volontà, in gioia di vivere.

Il meccanismo perfetto


L’universo è una costruzione perfetta nella quale anche gli eventi distruttivi, i cataclismi stellari, le implosioni delle galassie hanno un fondamento; sono carrucole oliate, tiranti tesi, vasi comunicanti, incastro di casualità. In tutto questo caos determinato c’è un unico fattore di disordine: l’Amore, granello di sabbia che inceppa gli ingranaggi, deraglia i destini, frantuma le convenienze, innesca la follia.

Il paradiso


Forse il paradiso è il luogo dove esistono le cose che abbiamo immaginato di fare da bambini: vivere su un’isola con il Faro, mandare messaggi in una bottiglia, cercare un tesoro, le navi dei pirati, i cowboys e le pepite d’oro, gli extraterrestri e il teletrasporto. Il paradiso può essere il Luogo della Fantasia, il Regno di Peter Pan, dove ci si può sporcare di nuvole e abbronzarsi di sogni.

11 di noi


Si dice ci siano 11 di noi
in 11 dimensioni iperstellari
che vivono 11 vite diverse.
Se ci siamo incontrati
e non ci siamo riconosciuti,
in un altro universo
siamo una cosa sola
e le vibrazioni di quell’incontro
ci raggiungono ribaltando
la clessidra del tempo,
la geometria dello spazio,
l’asincronia dei cuori.

Il buio


A volte cerchiamo il buio, anche se ci fa paura, perché lo sfiorarci dell’ignoto, annacqua lo straziante rigirarsi nelle paludi del rimpianto, del falso appuntamento, del sogno sgretolato. La paura sminuzza il dolore e restituisce volontà di resistenza.

Flashes

Spegnete la luce e accendete i sogni.

Stanotte cercate bene sotto il cuscino: troverete le ali che vi servono per raggiungere i vostri sogni.

Tristi? Asciugate le lacrime, stendete i cattivi pensieri, affacciatevi sulla terrazza della speranza, afferrate i bordi della luna e baciatevi.

I pensieri d’amore sono come diamanti, non si possono intagliare, se non con altri pensieri.
E quando accade è un miracolo di perfezione.

1.3.21

Non ti fermare

Emergi dalle schiume
ninfa metropolitana
fragrante di tuberosa
proibita e conturbante.

Non ti fermare
siediti ancora sui miei sogni
portami a spasso fra le nuvole
guidami in un giardino di aquiloni.

Sdraiati sulla mia malinconia
aggancia il carro dell’Orsa
stenditi tra Vega e Andromeda
resta mia Stella Polare.

Non ti fermare
raccogli i colori di cento primavere
posa nuda modella di Velasquez
fatti marmo vivente di Michelangelo.

Martellami ancora le tempie
fatti assaggiare zucchero e fiele
arrotola il mio perenne stupore.

Non ti fermare
uccidimi lentamente
perché possa centellinare
il tuo calpestio impertinente
sul mio cantuccio di vita.

Tipologie di sogni

Il sogno in punta di piedi
è quando mi svegli
facendo finta di non farlo apposta
e mi chiedi “Hai sonno?”
ma conosci la risposta.

Il sogno indelicato
è quando mi stringi
e fai le fusa imbarazzata
e mi chiedi “Ma io ti piaccio?”
ma conosci la risposta.

Il sogno scalmanato
è quando non ti vedo più
ma ti sento, ti respiro,
ti porto dentro di me
mi porti dentro di te
esplosione di baci
fusione di carezze.

Il sogno infinito
è quando ti addormenti
mentre ridi e ridiamo
e il mondo è fatto a spicchi
e il tempo è un giocattolo
e siamo dentro una cosa strana
che si chiama felicità.

22.2.21

Esiste un punto

Esiste un punto
alla latitudine del tuo sguardo
dove s’intrecciano miracoli
recitano schegge impazzite
promanano essenze
rubate ad angelici pittori

un punto al rovescio del tempo
cucito sulle labbra dei venti
impronta d’infiniti karma
vertigine di sensuali promesse

un punto dove
è placido inarcarsi
per suggere ambrosia
dalla brocca del cielo.

E' sempre notte



Quando sarai alba
sarò valle di cielo
quando sarai zenith
sarò cascata d’asfodeli
quando sarai tramonto
sarò culla di mezzaluna
quando sarai notte
- ed è sempre notte -
sarà tutto un sogno
che attende il mattino.

17.2.21

Rincorrendo Pessoa

Ho scritto poesie d’amore
che fanno tanto ridere
e non potrebbe essere altrimenti:
le vere poesie d’amore
fanno ridere
fino alle lacrime
sono versi senza fronzoli
dettati dalle nostre anime nude
senza orpelli e metafore
senza marchingegni o allusioni
sono diretti al centro della felicità
e come non si può ridere
quando si fa solletico al cuore
quando sono ciambelle di baci,
caffellatte di sguardi,
caramelle di sogni.

Anche io ho scritto
poesie che ridono
di una meravigliosa stupidità
di un incredibile idiozia
di un’irripetibile ingenuità
ma rido ancora sempre
fino alle lacrime.

Intubato d'amore

In questo bailamme
il mondo rotola di colori
striscia di urla e gode
di attimi sbriciolati d’inedia.

In questo fragore metropolitano
dove il circo è parvenza e oblio
mi piace guardarmi il cuore
e le falsità che lo corazzano.

Dentro me palpita un firmamento
che preme dalle mie ciglia bagnate
fuoriesce meccanica celeste
alchimia di venti e poesia
io, pagliaccio intubato d’amore.

Sogno ricorrente

Ballare con te
è sogno ricorrente:

un inchino al tuo splendore,
il mio braccio ti circonda
e giriamo giriamo
al ritmo di sospiri
ticchettio di sguardi

giriamo giriamo
occhi intrecciati
mani fra le mani

giriamo giriamo
trottole di luci
onde di desideri
miscela di passione

giriamo giriamo
cavalcata di sogni
concerto di stelle
si sfiorano i fianchi
petto su petto
si toccano i cuori

giriamo giriamo
valzer di libellule
ghirigori di gabbiani
evoluzioni di delfini

giriamo senza fine
avvolti di cielo
abbraccio di comete

tracciamo piroette
tra Pleiadi e Cassiopea
saltiamo sui poli
rotoliamo sull’Equatore

giriamo per sempre
con mille caroselli
fino alla fine dei tempi
fino alla soglia del paradiso.

I baci

Le anime si fondono
all’incrocio di due labbra,
sono congiunzione di miracoli
bagnati di nettare divino.

I baci sono cabrate di cielo
capitomboli di sogno,
riverberi di luna,
sinfonie di fiaba.

I baci allargano il tempo
fino alle porte dell’eterno
rimbalzano giocosi
sulle rampe dell’universo.

I baci non finiscono mai
le anime non si staccano,
si librano dai corpi
e si baciano per sempre.

9.2.21

Ho sistemato il tramonto


Ho sistemato il tramonto
di colori più tenui e delicati
ho riordinato le corolle dei fiori
salutato cicali e farfalle
ho steso un cuscino di nuvole
per baciarti sulla fronte
con un pizzico di meraviglia.

Intreccio di luci

Sei intreccio di luci
ricamo di stelle
svolgerò il tuo gomitolo
per scoprire il tuo segreto
nuda fata sguainata
culla dei miei desideri.

Non parlare

Non parlare.
Sto leggendo lo spartito,
la musica celestiale
che proviene dal tuo cuore.

Metto in ordine
le pagine dove hai messo
le linguette per segnare
le frasi che ti hanno ferito,
gli sguardi che ti hanno insultato,
i sogni che ti hanno strappato.

Non parlare.
Chiara mi giunge
la voce della tua anima
quella volta che ti sei vergognata
quella volta che ti sei pentita
quella volta che non ti sei perdonata.
quella volta che hai sprecato l’amore.

E le frecce che ti dilaniavano
tu in quanto donna
sempre in salita,
sempre in ostaggio,
sempre imputata.

Non parlare.
Ti accarezzo l’esistere,
ti bacio il resistere,
ti prendo in braccio
insieme ai tuoi bagagli
di cenere e di dolore.

Non parlare.
Stiamo distesi nel silenzio
Tra di noi la voce delle stelle,
i canti della poesia,
l’anello dell’infinito.

Disegno di Francesco Avella

Nastro di cielo


Hai slegato un nastro bianco
e son volati i miei pensieri:
li tenevi prigionieri
in una gabbia di cielo.

Radente formazione,
turbinio d’ali giocose,
trottole d’amore
rotoleranno al tuo indirizzo.

Busseranno alla tua sorpresa
s’inchineranno alla tua bellezza
ti scaleranno l’iride
e baceranno i tuoi desideri

Nudo di sogni

Aggrappato sto
nudo di sogni
uncinato dal maestrale
graffiato di speranze
alla finestra del dubbio
ossidata di rimpianti

Donna o sirena


Non è da tutte
racchiudere il mare dentro
sbattere, accarezzare,
sommergere, scavare,
ferirsi di sanguigna schiuma,
per poi risalire
nuda conchiglia
accogliere il sole.

Donna o sirena
galleggi sul mondo,
boa meravigliosa
t’intravedo, azzurra,
annegata di cielo
in fondo alla mia tempesta.

29.1.21

Poesia su Venere

Volevo regalarti
il più bello dei miei tramonti
quello dei colori inventati
dei sogni che camminano
dei baci che ubriacano.

Volevo accarezzarti
col più strano dei miei pensieri
quello delle follie improvvisate
delle corse in riva al mare
delle fantasie più sfrenate.

Volevo dedicarti
la più bella delle mie poesie
quella che ho scritto su Venere
quella che mi recita il silenzio
quella che non esiste senza te.

Volevo rabboccarti
le coperte della vita
quelle che ti tengono al caldo
quelle che ti arrivano agli occhi
perché la paura resti fuori
e il letto sia un girotondo.

Volevo trasformarti
da idea a fuoco di cellule
da sogno ad angelo di carne
farti bussare alla finestra
e volare nel mio tempo vuoto.

Vorrei prendermi cura di te


Vorrei prendermi cura di te
fra i mille aculei
che ti hanno ferito

vorrei prendermi cura di te
fra i mille sospiri
che ti hanno ucciso dentro

vorrei prendermi cura di te
e poi sparire nei tuoi abbracci.

Foto Fabio Lizzi

23.1.21

Cioccolatini di gioia

Le mie giornate
esorbitanti spazi
di mera sopravvivenza,
gesti di assuefazione,
dondolii di limbo,
perifrasi di nonsenso
truccati e organizzati.

Poi inaspettate crepe
sul muro grigio bulimico:
ed ecco che sei ombra viva
catturi quegli spazi
mi trasporti nel tempo
che non è mai trascorso.

Parliamo, voltiamo pagine di tutto,
la spesa, l’auto che non parte,
il vicino che urla, il mondo fuori
che puó rompersi in mille pezzi
ma che c’importa? siamo tu ed io
a tenerci la mano, condire l’insalata,
un bicchiere di vino e un verso di Neruda.

A raccontarci la vita che scorre
su tornanti impraticabili,
salite aguzze sanguinanti
e allora ci voliamo sopra
folli di risa, di lacrime da bere
insieme, sottobraccio al fuoco
del camino sfrigolante d’amore.

Spicchi delle mie giornate
che scappano via dalla fantasia
corrono in fondo a corridoi
dove li riprenderò umidi di sogno
per ricominciare all’infinito
rintocchi di beatitudine
cioccolatini di gioia.

Il mito degli androgini. Platone - Simposio




Gli esseri umani erano sfere perfette che roteavano nel Creato. Erano di tre generi, rotondi come i loro genitori: le donne figlie della Terra, gli uomini figli del Sole e gli androgini, che avevano caratteristiche di entrambi gli altri due generi, figli della Luna. Erano dotati di quattro braccia, quattro gambe, quattro orecchie e due volti. Essi sfidavano la potenza degli Dei e Zeus decise di punirli per tale arroganza. Ne volle limitare la forza perciò li divise, sezionandoli. Incaricò Apollo di curare loro le ferite provocate da tale operazione e il Dio le suturó con un nodo sull’ombelico. Inoltre Zeus, per ricordare loro per sempre la punizione, disse ad Apollo di girare i loro visi sul davanti, lasciando che si vedessero le rughe sul ventre. Ma le creature non si davano pace, cercando continuamente la loro metà e per questo non si nutrivano e finivano per morire di fame e di noia. Zeus si mosse a compassione e spostó loro gli organi sessuali sul davanti consentendo così la procreazione. Inizió così la ricerca della propria anima gemella. Più precisamente, gli uomini che si innamoravano delle donne e le donne che si innamoravano degli uomini provenivano dal sesso androgino; mentre gli uomini che derivavano completamente dal sesso maschile e le donne che provenivano interamente da quello femminile appartenevano alla categoria degli omosessuali. Questi ultimi, non potendo procreare, comunque erano felici al completamento della loro ricerca, contribuendo così alla serenità della comunità. 
La felicità, l’amore e quindi il desiderio di ognuno di noi di completarsi nell’altra metà non sono affatto motivati esclusivamente dall’attrazione sessuale, ma anche da qualcosa che cerchiamo nell’anima della persona amata e che è inesprimibile, nonostante lo percepiamo dentro di noi. 
Per riunirsi nel segno dell’Antica Perfezione sono quindi le anime a doversi reincontrare e riconoscersi.

19.1.21

Vidi una perla

Vidi una perla
nel fondo del fondo
dei miei pensieri aggrovigliati
e m’immersi
incantato da trasparenze
bozzolo d’armonia celeste.

Eri divina placenta
accomodai i miei sogni,
distesi le mie volontà
supine al tremolar dell’onda.

Oblio della terraferma
mi lasciai trasportare
concerto di sirene
baciai le tue valve
dove perla bluastra
lampeggiava suadente.

Cantai al popolo sommerso
la congiunzione dei pianeti
la sincronia delle maree
il perfezionarsi del mito.

Ma fu cinico inganno
lacerante metamorfosi,
effimero contrappasso,
mi ritrovai branchiale
su spiaggia di catrame
tra le mani piagate
carbonizzata perla.

Deserto

Brancolo
ramingo ed assetato,
fradicio di rena bruciante,
respinto ondivago
ai margini desertificati
di un tempo rubato al Nulla,
cercando una voce d’oasi
nella tenerezza di uno sguardo,
nel raggomitolarsi di un cenno,
nell’invocazione di un sogno.




12.1.21

Ti verrò ad amare


Ti verrò ad amare
in mille forme diseguali
mi farò plasma di collina
curvatura di onde
soffice ombra di sorriso
brezza d’aurora
unguento di tramonti.

Ti verrò ad amare
ogni giorno di mille anni
ogni vita di mille vite
sorgerò in eterno
ti sfiorerò le labbra
sole fisso del tuo cielo.

Lo scherno alla tempesta


A volte accade che di proposito 
volti la schiena alla tempesta:
ella vuol ghermir la preda
e non tollera il mio scherno,
urla, ruggisce, bestemmia
mi lambisce, mi rincorre.

A volte soave m’illude
con tropicali calme
solo cinici espedienti
per poi proiettare
neri arabeschi di morte.

Ma io sfuggo in alto
dove mi porta la poesia,
vette inarrivabili al tormento
che s’arrende rarefatto.

E lo sguardo va oltre il tempo
riporta essenza di sole
indimenticabili fremiti d’oriente
profumi e aromi di sirene.

Ma se il rotear di mondi
ha un senso definito
altre rive son da consegnare
alla giustizia del destino:
io volo, invento traiettorie,
cavalco stormi di comete
traccio iperbole d’argento,
altri strisciano falsi,
incapaci di lasciar la terra
nullità rotolanti nel fango.

7.1.21

Surplace


In equilibrio sto
fermo sulle tue labbra
curva del tempo
estasi verticale
infinito surplace.

Trasparenti


Trasparenti.
Sostiamo sulla soglia della notte.
Mentre il Nulla scorre
incollato a mosaici di buio.
Vocifera inconsistente un fiume di forse.
Sostiamo appoggiati ad inclementi deja-vu.
Roteano irridenti vortici di perché.
Musica e poesia aprono squarci di luna,
riportano consistenza ad abulici pensieri.
Cosa siamo se non particelle elementari
allume di sogni, orfani di comete?
Cosa siamo?
Trasparenti.
Sostiamo sulla soglia della notte.

L'aquilone

La terra umida stamani
brilla di luce struggente
ed io - sodale -
m’adagio nel silenzio.

Il vento calato
sul grembo fresco della collina
freme al ricordo:
faceva l’amore con l’aquilone
rutilante nel proibito volo.

Volteggiava multicolore
docile solo alla passione
il cavo tirato a sangue
assecondavo felice
il suo possesso del cielo.

Pareva non aver limiti
nè confini nè latitudini
gareggiava con i falchi
giocando a nascondino
fra nuvole impazzite.

Si spezzò quel cavo
e non vidi che riflessi di grigio
strappate ali di plastica
da sismiche vibrazioni
che mi scavarono i palmi.

Ora sciolgo annodati dubbi
quando soffia impetuoso
il vento del ricordo
che spazza la collina.