28.7.21

Mano nella mano

 

Io e te
mano nella mano
era calma di luna
tacchi dolci di vento
mentre sulla piazza
ci invidiavano gli angeli

Mano nella mano
saltavamo su marciapiedi
di zucchero filato
bevendoci gli occhi
ridendo di gusto
di chi non conosce la follia

ci alzavamo dai crateri di Venere
su dischi volanti vestiti a festa
irridendo alle invidie
di chi non sa sognare.

Mano nella mano
era luce dipinta di cielo
sulle labbra oasi d’amore
ballavamo su cerchi perfetti
le nostre canzoni a memoria.

Ora cerco la tua mano
e afferro fantocci sgualciti
sfaldati disegni d’aurora
morte celata da sorrisi.

Anime perse

Quando incontrerò la tua anima
vagante nel villaggio dei “forse”
accarezzerò i tuoi capelli
guidandoti nella casa dei “perché”
chiuderò i tuoi bagagli di paure
nella stanza degli “osiamo”
ti prenderò in braccio
varcando la soglia dei “mi fido di te”
e bacerò il tuo risveglio di fata
librandoci nel cielo dei “per sempre”.

Dopo di te

Dopo di te
inanello poesie alle nuvole
cercando squarci di cielo
dove s’affacci il tuo viso
ed io possa raggiungerti
a cavallo di una falce di luna

15.7.21

In punta di piedi

 

In punta di piedi
stenderò un tappeto rosso
dove barcollano le tue paure
fino alla cantina dell’oblio.

In punta di piedi
spalancheró le finestre dell’anima
per soffiare fuori i tuoi rimpianti
e portarli oltre il tramonto.

In punta di piedi
coprirò con petali di rose
le tue verità nude
perché divengano il mio tesoro
che nessuno mai profanerà.

Un solo posto nel mondo


C’è un solo posto nel mondo
dove si parla coi gabbiani
dove la notte ha tre lune
scorrono fiumi di cioccolata
e i grilli s’innamorano al tramonto
è il luogo dove sboccia il tuo sorriso,
e la mia anima appoggia le sue labbra.

Ti cerco ancora
nelle piaghe dei versi feriti
che urlano fra zolle spaccate
quando il sole è una spada furente,
brace viva sulla mia vita.

Esse aspettano
di germinare da sementi rare
baciate da divine rugiade
il fiore rubato alla mia vista
dal giardino dell’Eden.

E ci ritroveremo ancora
sdraiati fra cuscini di stelle
dissetati dall’umore dei sogni
fra risate di nuvole
danza di vento
carezze sui nostri corpi
avvinghiati all’infinito.

Quel giorno

 

Quel giorno
hai girato il cucchiaino del caffè
hai diviso il cornetto
sparso briciole di pane
e hai morso il boccone.

Quel giorno
hai rivoltato il mio stupore
hai diviso la mia paura
sparso petali di sogni
e mi hai morso il cuore.

3.7.21

Life di Teodoro Fuso: la mia presentazione.

 


Stasera sono stato invitato dall’amico Dodò a parlare del suo romanzo. Ma Teodoro Fuso, nella veste di scrittore, ci presenta solo una delle sue metamorfosi. Egli si può definire un artista completo. Completo ma non compiuto. Perché sono convinto che altre sorprese ci attendono, plasmate dalla sua enorme capacità creativa. La potenza dell’Arte si può paragonare all’energia che risiede nell’atomo. Come la fissione dell’atomo produce la sua divisione, così lo spirito artistico deve cercare di esprimere la sua travolgente carica in diverse forme di espressione. Pertanto, dal nucleo primordiale che ha generato il musicista è poi nato il video maker, il pittore e poi lo scrittore. (se non ho dimenticato qualcosa).
Ed in tutte queste attività Dodò è riconoscibile: la sua identità e la sua impronta sono inconfondibili e ci trasportano sui suoi binari emotivi di riflessione e interpretazione del mondo. Anche il suo romanzo è intriso di sé, del suo modo inconfondibile di pensare e riferire i suoi sentimenti.
Hemingway diceva che “gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade.” E il nostro beneamato comandante Che Guevara potrebbe fare la sua chiosa aggiungendo che “la qualità più bella di un rivoluzionario è sentire nel più profondo di noi stessi ogni ingiustizia commessa, contro chiunque nel mondo.”
Dodò sembra aver incarnato questi due assunti quando ci racconta nel suo incipit (e non solo in questa ultima sua opera) l’ultimo periodo nel quale l’idea rivoluzionaria è sembrata tanto vicina da poter essere toccata e realizzata.
Life in sostanza è un racconto che cuce due epoche. Una breve prima parte che si dipana con tutti gli ingredienti di un romanzo storico calato in quella straordinaria parentesi, qual è stato il ‘68, con le sue vicende, le sue impennate, le sue contraddizioni, e con la sua meravigliosa volontà di far salire l’immaginazione al potere. Dodò ci ricostruisce le colonne sonore di quegli irripetibili anni in cui i ragazzi di Liverpool, partendo da seminterrati, percorsero la strada che li portò ad essere il fenomeno musicale del secolo ed il punto di riferimento di quella che venne chiamata la “beat generation”. Veniamo poi trasportati nella turbolenza delle strade avvolte da fumogeni dove schiere di ragazzi manifestavano contro le guerre, contro l’arroganza del Potere, per rovesciare tutte le gerarchie dominanti, dalla cultura all’istruzione, dalla filosofia al costume che ne erano asservite e complici. Qui vengono tracciate le personalità di alcuni protagonisti. Personalità ispirate ed allenate ad un sistema di valori e ideali che - scopriremo - resteranno pietre miliari della loro esistenza. In questi frangenti Dodò non manca di darci elementi sicuramente autobiografici come i prodromi della sua arte di musicista, il suo impegno politico, la sua militanza sul campo, la sua coerenza intellettuale. Egli si muove con padronanza su un terreno più volte esplorato, analizzato e metabolizzato.
Il lettore si aspetta pertanto che la narrazione evolva verso un canovaccio ancorato a quelle situazioni, con le enormi scosse emotive ed adrenaliniche che le accompagnarono e le definirono.
Invece no. Dopo i primi due capitoli si affronta un imprevisto salto attraverso un varco temporale. Ma ciò che avvenne tanti anni prima rimane sempre sullo sfondo, e di tanto in tanto i suoi venti di passione spirano qua e là tra i capitoli del romanzo. Veniamo catapultati in un’attualità non ben precisata, anche perché il contesto storico generale non è più globalizzante e dirimente sulle vicende dei personaggi, i quali sono diventati maturi nelle loro storie personali, nelle loro scelte lavorative e sentimentali. Però essi vengono affiancati ed attorniati dalla generazione successiva. E qui devo sottolineare che la penna dell’autore fornisce le sue più interessanti evoluzioni, in quanto le vicende individuali, variegate e curate nei particolari, riescono a trascinare il lettore senza un attimo di pausa. Precipitiamo nella curiosità di conoscere passo passo dove Dodò ci vuol condurre e, soprattutto, quale sia il filo che lega queste due epoche.
Ebbene il nesso è dentro i personaggi. Tutto il mondo fuori è cambiato. Ma non nel senso e nelle speranze che erano alla base di quel ‘68 che elaborò e cercò di realizzare una palingenesi della società. Il mondo è cambiato, ma non è riuscito ad anestetizzare le loro coscienze. Non è riuscito a penetrare come virus nelle loro anime, generando i disvalori propri del nostro tempo. Quelle fiammelle accese nel passato ardono sempre nel loro profondo e consentono di fare scelte meditate, ma pur sempre coerenti con il background costruito negli anni giovanili. E i ragazzi venuti dopo di loro sembrano leggere, comprendere ed ereditare il messaggio. Essi si muovono sul palcoscenico della vita con le loro contraddizioni, difficoltà, inesperienze. Non ci sono rivoluzioni globali da preparare, ma ci sono i drammi che caratterizzano la nostra attualità da affrontare con coraggio e determinazione. Si trovano a frequentare storie di emigrazione, la tratta delle donne, la schiavitù della prostituzione. Life stessa sperimenta sulla sua pelle quanto sia difficile far emergere il talento per una donna, senza subire ricatti sessuali. Essi sono soggetti alle stoccate ed ai rimbalzi inesplicabili ed imprevedibili dei sentimenti che non hanno percorsi vincolanti di sesso, differenze di età, pregiudizi. Ma sono illuminati da un sentiero di luce aperto da altri tanti anni prima, che non si è mai fatto oscurare dalle tenebre dell’egoismo e dell’indifferenza e sul quale vengono accompagnati e tenuti per mano.
E questo sentiero di luce ha un solo traguardo possibile: un epilogo che ci lascerà emozionati e saturi di gratitudine.
E ditemi, cosa dobbiamo chiedere di più ad un romanzo se – leggendolo - ci siamo arricchiti di bei ricordi, di forti idealità, di travolgenti passioni, di ottimismo? Alla fine, siamo sicuramente esseri migliori di prima, con il sorriso incastonato sui nostri volti.
Questo è Life: un urlo di speranza che salutiamo a braccia e cuore aperti.
E non a caso Dodò ha voluto che Life fosse il nome della protagonista. Perché i nomi di persona si scrivono con la lettera maiuscola. E noi dovremmo sempre tenere scritto nei nostri cuori Life - cioè Vita - con la lettera maiuscola. Perché la Vita non sia mai sprecata, disattesa, mortificata; perché essa sia cenacolo di giustizia, fonte di fratellanza, coraggio di ribellione, quando occorre; ma soprattutto perché venga condotta e percorsa in quel meraviglioso cerchio multicolore, in quel roteare sublime e irripetibile, miracolosamente e splendidamente governato dall’Amore.

Il faro - dedicata ai miei figli Remigio e Valerio

 

Un giorno ti sveglierai
e ti sentirai diverso
un piccolo fiore divenuto tronco
in una foresta di giganti.

Avrai una domanda
e cercherai la mano
che ti correva sulle spalle,
ma sarai solo sugli scogli della vita.

Allora sii faro
nelle notti senza luna
quando l’anima s’infrange
e gli squali accorrono feroci
annusando l’odore del sangue.

Sii faro
per tagliare le nebbie del futuro
quel futuro in mano agli arroganti
agli intolleranti e agli indifferenti,
ai signori della morte.

Sii faro
per guidare le barchette indifese
spalanca le tue braccia di luce
nel tuo mare di accoglienza
ascolta tutte le lingue del mondo,
ma parla sempre quella della bontà.

Sii faro
alza il cono oltre l’orizzonte
proietta i tuoi sogni all’infinito
perché essi sfidino le tempeste
perché non si viva nel torpore
ma si lotti contro l’ingiustizia.

Sii faro
più e meglio di quanto lo sia stato io
troppo corta la mia portata,
il mio raggio intermittente
è inciampato nelle secche
e ha provocato naufragi.

Sii faro
lascia in penombra
ricchezza, fama e potere
sono mezzi e non il fine
domina i marosi dell’invidia
illumina i corridoi di felicità.

Sii faro
a testa alta, a cuore aperto
sii esempio e riferimento
alzati sempre in volo
ma tieni d’occhio la terraferma,
non farti mai spegnere la fiamma,
traccia sempre la rotta dell’Amore.

Passeggiando per il paese che non c'è più: il Capitolo

 

Di buon grado, anche sollecitato da amici, metto in ordine qualche ricordo di adolescenza sul Capitolo. Negli anni 70 l’estate monopolitana era frequentata da monopolitani. Punto. Qualche barese e qualcuno dei paesi viciniori. E i proprietari delle ville sul mare che erano un mix di tutti questi. Per noi ragazzotti il Capitolo era un gioioso prolungamento della città, una ludica periferia
da visitare con desiderio di divertimento, ma con tranquillità nostra e dei nostri genitori.
Io a 14 anni avevo un problema. Tutti i miei amici avevano il motorino (oltretutto andavo un anno avanti a scuola quindi loro ne avevano 15). Io ero a piedi o quasi. Ciao, Si, Dollaro Vespa e poi Caballero, Corsarino scodinzolavano per le strade del paese e facilmente percorrevano i 6 km o poco più che distanziavano il Capitolo. E io? Bici solo bici sempre bici! Oppure motostop. Le prime due estati furono faticose e mi fecero odiare la bici che ripresi solo moltissimi anni dopo. Finalmente nel 1975 compii 16 anni e, minacciando il suicidio, convinsi mio zio Peppino a comprarmi il tanto desiderato mezzo di locomozione. Lunga trattativa con Amodio che aveva l’officina dove ora c’è la pizzeria dei Portici. Alla fine si accordarono per 320 mila lire. E io ebbi (dopo inaudito sperpero di lacrime) il mio sospirato Moto Morini Zeta Zeta di colore blu. E indovinate dove feci il mio viaggio inaugurale? Si proprio al Capitolo. Mi sentivo Giacomo Agostini. E pensavo dentro di me: “ora sì che si rimorchierà un po’..”
Illusioni da prime tempeste ormonali.
Comunque le mie estati cambiarono di segno. Il programma prevedeva la sveglia alle ore 9.00 e l’arrivo in loco con parcheggio in villa di amiche. Pallone e costume da bagno, non serviva altro. Spiaggia semideserta si poteva giocare anche sette contro sette: gli unici a protestare erano i granchi. Le ragazze venivano coinvolte loro malgrado in una confusione di braccia, gambe, scivolate e regole che cambiavano a seconda del soggetto preso di mira. Altro sport erano i gavettoni. Mai restare fermi al sole per più di un quarto d’ora. C’era una catena umana che partiva dal rubinetto più vicino della villa fino ad arrivare al malcapitato prescelto.
Altra occupazione in voga era andare a prendersi di nascosto i vestiti delle ragazze, indossarli e tuffarsi in mare. Uno spettacolo.
Pausa pranzo e poi si ritornava la sera. Per fare cosa? Discoteche quasi zero. C’era il mitico Duna, ma le ragazze avevano il coprifuoco. Allora il punto di ritrovo era il Bar Capitolo del buon Ubaldo. Flipper, bigliardini e tanto, tanto ma tanto jukebox. Che splendido apparecchio! Tutta la hit parade del momento era presente in quei 45 giri! Se si conosceva la canzone preferita della ragazza “posteggiata” era un continuo refrain. Mi ricordo in particolare “Ti amo” di Tozzi e “Luna” di Gianni Togni, i cui dischi forse non avevano più i cerchi, tanto erano consumati. In alternativa qualche volta si andava in un gruppo di ville dove si proiettavano film all’aperto. Brandonisio si chiamava, non ho mai capito se fosse il nome di uno dei proprietari. E poi passeggiate su e giù con le inevitabili “imboscate”. Allora tra Lido Azzurro e la caletta sotto l’Ancora era un viavai.
Una volta organizzammo una caccia al tesoro. Furono coinvolte anche le masserie della zona dove andammo a depositare i biglietti con gli indovinelli. I residenti giocavano con noi suggerendo e offrendoci da bere. Entusiasmante.
Questo era il nostro semplice modo di divertirci.

Anni ‘70 Capitolo. Bei tempi.

10.6.21

La mia notte


Dietro le quinte della notte
s’appropinquano schiere di mostri
vampiri sanguinolenti
lupi saccenti e iene gaudenti
giunti ad afferrarmi per i piedi l’anima
per trascinarla nello Stige.

Ma la mia notte è diversa
è ascesa, è respiro
è propulsione funambolica
tramonto di mille soli
genetliaco di vulcani.

La mia notte è scala di stelle
rapimento mistico
genesi di follia
è rotolarsi di corpi astrali
falene impazzite di luce.

La mia notte sciama d’amore
scrive poesie oltre l’orlo del tempo
invita a danzare la Luna
porge fiori al firmamento
annega di luce, afferra colori.

La mia notte è una cornice di smeraldo
dove s’incastrano miracoli
è un silenzio imbevuto d’infinito
che solleva il sipario sul tuo viso
raccontandomi la storia del nuovo giorno.

Pioverti addosso


Chiedo un passaggio
ad una nuvola
per pioverti addosso
insinuarmi goccia curiosa
fra i declivi dei tuoi seni
scivolare lentamente
fino alla porta del sole

e sciogliermi in te.

Solo un gradino


C'è un gradino.
Sei sotto, ce la fai.
Un passo e sei sulle tue paure.
Un passo e via.
Un volo di un secondo.
Un concerto di violini.
Un tuffo in un lago di rose.
Un gradino e ce la fai.
Anche scalzo ce la fai.
Anche ferito ce la fai.
Da solo ce la fai.
Un tappeto di ricordi
da lasciare all’indietro.
Un ombrello chiuso
da agganciare ad una cometa.
È solo un maledetto gradino.
Ce la fai.

Titanic


Abbracciami
sempre controvento
scompigliami i capelli di baci
canteremo
tra bianchi cincischi di spuma
l’orchestra batterà
i colpi misteriosi dell’amore
tu ed io
al timone della vita
leggendoci poesie senza senso
ridendo al culmine delle onde
niente potrà affondarci
perché siamo essenza di sogno
e spiccheremo il volo
ad ali unite.

Il cielo è sempre più blu


Voliamo con un’ala spezzata
zoppicando sul presente
con le stesse scarpe
con la toma firmata
e l’anima sdrucita
separiamo mondi e culture,
bestemmiamo fedi
...ma il cielo è sempre più blu.

Schiavizziamo popoli
con la religione del consumo
anneghiamo fratelli
ammazziamo bambini
brutalizziamo emozioni
che dichiariamo anormali
violentiamo donne
sotto il balcone di Giulietta
...ma il cielo è sempre più blu.

Ci ammaliamo di solitudine
di ricchezze inutili
di noie pandemiche
frequentiamo bordelli
di lurida politica
ci facciamo gregge
indifferenti e opportunisti
...ma il cielo è sempre più blu.

E ci precipiterà d’amore.

26.5.21

Bacio di farfalla


Da quando
un maglio cruento
ha frantumato alberi e mare
dipinti sulla tela della mia vita
trascino ciottoli di silenzio
che mi lapidano il cuore.

Mi avvicino cauto
ad anime roteanti
in punta di piedi
avendo paura di sfiorarle
come un bambino incantato
guarda le ombre sul muro.

Vorrei essere farfalla
sbattere le ali senza rumore
fermarmi sulla soglia
dei tuoi pensieri tremanti
bussare con versi leggeri
alla finestra del tuo rifugio
carezzando senza toccare
il tenero virgulto del tuo essere.

20.5.21

Cammina Maestro


Il sole è tramontato
dietro le Ande ed i Balcani
accarezzando i Pirenei
titillando l’Himalaya

tu sei in viaggio Maestro
metafisico nel corpo e nello Spirito
concettuale nel dialogo
con gli Sciamani e i Tibetani.

Cammina Maestro cammina
sulle dune del Sahara
tra Piramidi e Biblioteche,
governa il vento del Simun
saluta il Profeta con un cenno.

Cammina Maestro cammina
verso le culle della Civiltà
dove tutto è incominciato,
dove tutto finirà
e le lingue si riuniranno.

Cammina Maestro cammina
fin dove si battono i Samurai
dove s’incagliò l’Arca
l’Uomo si riprese il Mondo
e tutto divenne sterco.

Cammina Maestro cammina
vai a toccar la Luce
vai a scovare il Senso
di questa trottola di stelle
di questa pioggia di arcobaleni
che si chiama Amore e solo Amore.

In memoria di Franco Battiato

Il bacio del passante


Non indosso
il costume dorato
trapuntato di gemme.

Non viaggio
sul cavallo bianco
che ha le ali nascoste.

Non ho il mare
che colora i miei occhi
nè biondi ricci cascanti.

Non ho spade
magiche da sguainare
contro draghi e streghe.

Ma se vorrai
sveglierò il tuo sonno
con il bacio della poesia

ti racconterò
la storia della luna
che fa l’amore con Terra

da quando un Principe
vestito da passante
fu toccato dal miracolo
raccolse al volo una stella,
la depose sulla tua fronte
e si spostò in paradiso.

Quello che manca


Quello che manca
non è un sentimento
etereo, evanescente
un teorema di circostanza
una divisione di noia,
ma un rullo compressore
di baci e di passione,
una devastazione di carezze,
un’amalgama di sudore carnale,
un picco da raggiungere insieme
io e te
con un salto sulla Luna.

Felici senza saperlo


Quando un nodo
risale veloce
le scale del respiro,
quando l’iride
secerne lampi struggenti
e scatena nubi di lacrime

è l’ora di liberare
l’anima senza dettami
scioglierla in nebbia
lucenti particelle d’argento

che giungano infine
dove scoprimmo mari
che mai navigammo
dove toccammo il paradiso
e fummo felici senza saperlo.

E' maggio


È maggio
ed è dolce addormentarsi
in un carosello di Pleiadi
mentre astronavi di smeraldo
solcano cieli intinti di rose.

La pianura chiama il sole
con la sua voce di terra grassa
e il desiderio corre a piedi scalzi
incontro ad un’alba di passione.

Un mare di bianchi amuleti
accarezza le caviglie delle Dee
e la vita si allunga sugli scogli
ridente, giocosa, selvaggia.

Profumi di corpi inarcati
divelgono memorie incatenate
sull’erba rotolano dubbi
e sfrigola la fiamma del peccato.

È maggio
e i miei versi prendono il volo:
studieranno la mappa del cuore,
porteranno un fiore in bocca,
si poseranno sulle labbra del fato.

28.4.21

28 aprile


Mi trastullo di pindarici voli,
circonflesso di Vuoto cosmico
avvinghiato all’ultima rupe,
nudo alla grandine della resa.

Poi il decollo di un pensiero
sulle ali di giocose falene
incastonato tra cento righe,
estatica frantumazione di coralli,
a liberare due gabbiani impazziti.

Ma un infame rituale
mi costringe a picchiare
su tastiere inanimate
lettere sfiancate
che girano in tondo
ostaggio dei miei silenzi,
cilicio delle mie notti.

Riemergono nomignoli
accademia di una tenera crusca
dolcezze in forma di fiaba,
ingressi profumati in te,
adorazioni della tua essenza.

I miei versi erano
vestiboli di carezze
sui tuoi palpiti vitali,
parallasse di sguardi
sui tuoi pensieri profondi,

sul tuo corpo chiaro
disegnavo arcobaleni,
componevo sinfonie,
scolpivo vibrazioni

ed eri foce del mio fiume.

24.4.21

I poeti non si prendono


Non cercate di prendere i poeti,
perché vi scapperanno tra le dita.

Alda Merini.

...ma se qualcuno ci riesce, 
richiudete le mani con delicatezza
e custoditeli con tutto l’amore che potete.

 

Fermo


Sei lì fermo
inchiodato al Nulla
nudo alla grandine della resa
poi a volte basta un sorriso
incastonato tra cento righe inutili
che tocca in profondo
e lega due anime in un sogno.

Peter Pan


Mi stavo impegnando
a diventar grande
a pensare al futuro
ringuainare la spada
e mettermi seduto
a godermi il tramonto.

Ma non ce la faccio:
sono ancora il bambino
quello che fa i cuori sul diario
quello che imita Sandokan
e spara con le pistole di Buffalo Bill.

Sono sempre infatuato
di quella del primo banco
e di quella del piano di sotto,
quello rapito da Che Guevara
quello che El Pueblo Unido
non sarà mai vinto.

Sono quello del pane tutta crosta
della mozzarella e della pizza
della granita con la panna
di Topolino e Nembo Kid
dei trenini elettrici e dei Lego.

Sono quello che porta nel cuore
i compagni di scuola
che rifarebbe tutto di nuovo
anche gli scherzi ai prof
e i tanti sette in condotta.

Sono quello che s’innamora
delle anime tristi ed incomprese
perché mi ci riconosco
sono quello delle rose rosse
sorprese tra le pagine dei libri.

Sono quello degli altoparlanti sul balcone
quello che scrive sei bella sull’asfalto
quello che corre in piedi sulla moto
sotto le finestre del mio amore
quello che se non soffre non vale
quello delle bugie di un bambino.

E sono quello delle poesie
che mi portano lontano
in luoghi inaccessibili
dove qualcuno si è perso
proprio all’ultimo metro.

Mi stavo impegnando
a diventar grande
ma non ci riuscirò
le mie ali non si chiudono
vogliono giocare per sempre.

Il faro


La fantasia popolare negli anni della mia adolescenza annoverava una costruzione particolare: il faro. Soprattutto quando era posizionato su un’isola dalla quale dominava l’orizzonte, avvisando della sua presenza per miglia e miglia. Il mare, elemento misterioso con le sue calme e i suoi silenzi, con le sue ire e le sue deflagrazioni, circondava la piccola terraferma dove il faro assumeva le vesti di un vero e proprio totem, un misericordioso, simbolico rifugio incarnante le speranze, i desideri, i sogni dei suoi, talvolta, singoli abitanti.
Nel 1967 la RAI trasmise una piccola serie di 4 episodi, nello spazio destinato alla TV dei Ragazzi, che s’intitolava “I racconti del faro”. Protagonisti erano Fosco Giachetti, storico grande attore di teatro, nella parte di Libero (mai nome fu più calzante), responsabile del faro e Roberto Chevalier nella parte di Giulio, suo nipote che lo veniva a trovare sulla sua isola dal continente.
In quell’epoca io ero spesso a casa dei miei zii dove la sorella di papà, Wanda, era maestra e mi faceva doposcuola e il marito Peppino era la persona alla quale mi affezionai tantissimo. Era il narratore di storie avvincenti e pericolose, colui che amava la campagna e la natura e che mi scarrozzava in lungo e in largo per le contrade. Che mi insegnò a nuotare. E che mi presentò la Loggia di Pilato che imparai ad amare.
Ecco, lo zio Libero del faro era la proiezione del mio zio Peppino e le avventure di Giulio, tra tesori nascosti, pirati spietati, messaggi nella bottiglia, naufraghi sconosciuti che approdavano sull’isola, erano le mie avventure, quelle che vivevo nella mia fantasia, insieme a mio zio Peppino che ho amato tanto e che mi ha donato questa casa in questo luogo carismatico che ha qualcosa del faro, nel suo dominio della pianura, nel suo essere al centro degli elementi, nel suo alternarsi di silenzi e bufere, profumi e colori, il sogno dei pittori e dei poeti.

16.4.21

Il barattolo


Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo:
“Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.
E lei non gliene chiese,
gli rispose: “Ti amo”.
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio
e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio.
Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo,
perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

Jonathan Safran Foer

 

Le mie canzoni


Esistono amiche devastanti
che ti rincorrono testarde
sono le canzoni urlate
davanti allo specchio dei ricordi
quelle che sai sillaba per sillaba
quelle che rigano il cuore.

Quelle che batti con il piede
e “la la la” quando c’è solo musica,
quelle che balli e balli
piroettando con le ombre,
quelle che il tempo è fermo lì,
ti aspetta al varco
scippandoti con destrezza
la maschera dello “sto bene”.

Le canzoni che martellano,
scudisciano, soffocano,
quelle che ti lasciano la sera
e tornano la mattina
bagnate di caffè e lacrime.

Le canzoni che trotterellano
insieme al tuo dolore
che invadono le pause
violentano i silenzi
percuotono i falsi sorrisi.

Le canzoni che ti porterai con te
appese all’ultimo tramonto
il tuo prezioso medley
da cantare alle stelle.

12.4.21

La conchiglia blu


Nel mio sogno
c’è una spiaggia assolata
dove mare, cielo e sabbia
in fondo al rigo dell’iride
si confondono di mistero.

E ciabattando tra farfugli
di onde giocanti
ho visto una conchiglia blu.

Le ho prestato il mio desiderio
parlandole come fosse la tua bocca
e il blu vibrava e gemeva.

Non so che poesia fosse
ma erano fuoco e spade,
voli ed uragani.

Attendevo una risposta
accostato a quella porta blu:
ma spirava solo silenzio e salsedine.

L’ho affidata alla corrente:
“Va e porta il mio bagaglio
di stelle marine ed ippocampi
granchi innamorati di sole,
va e porta l’eco del mio sorriso
fluttuante tra le curve ubriache
dei tuoi eterni ritorni”.

Quello che so dell'amore


Quello che so dell’amore
è che un diamante grezzo
nel mio cuore
riflette una luce insopportabile
che solo un caso
nell’imperscrutabile volteggiare delle stelle
può trovare uno sguardo capace di sostenerlo.

Soffiami via

A volte mi ritrovo
bendato
a camminare sull’orlo
del pensiero di te...

Soffiami via...

29.3.21

La notte dei poeti


La notte dei poeti
è un naviglio imbizzarrito
a cavallo di marosi di ghiaccio
è filo spinato intorno all’anima
che fugge graffiandosi di luce.

La notte dei poeti
splende nelle tenebre dell’ignoto
ruggisce nelle paludi del silenzio
è veglia, è sudore, è mito
è lancinante soffio di veleni.

La notte dei poeti
è sporcizia di sogni
bava di rimpianti
unguento di memoria

è l’imbocco per baciarti
per rapirti, per volare
oltre il recinto del buio
oltre i confini del tempo.

Scrive il mio nonsenso


E ancora un altro giorno muore
di un altro anno
di un altro senso
e tu mi frantumi ancora l’anima
con i pezzetti che rotolano in fondo
ad un cassetto tarlato di dubbi:
tu che hai separato
Scilla e Cariddi, Calpe ed Abila,
hai zittito Sibille ed Oracoli,
hai raccontato la storia
per cui si muove l’universo
in un ciclico, rocambolesco,
funambolico combinarsi
di chimiche celesti.

Dove sei? voglio amarti ancora
fondermi nella tua essenza di sole
accoccolarmi all’ombra dei tuoi seni
donarti piacere senza fine
senza tempo senza pause
ancora sentirti mia
tuo oggetto
ancora bere alle tue fonti
mia ultima poesia del mistero
ultima spiaggia del mio mare.

Sommergimi, sporcami di sogni,
avvolgimi di firmamenti
buca le frontiere del tempo
ritorna miracolo primordiale
ritorna a nascere dentro di me.

Anima persa


Hai toccato
la nudità profonda
della mia anima sconosciuta
l’hai portata alla luce
e l’hai posseduta
con spudorata intensità.
Ora essa è sola
e chiede al gelo
dove sia la porta
per rientrarmi dentro.

23.3.21

Festa del papà

Oggi niente versi tristi,
oggi sto con te,
tienimi sulle ginocchia
raccontami una storia
di quelle che finiscono bene
di quelle “felici e contenti.”

Fai solletico alla mia vita
raccontami i miei capricci
le mie marachelle
non i miei silenzi
non le mie assenze.

Tienimi sulle ginocchia
ridammi i nostri giochi
le nostre battaglie coi cuscini
i nostri giochi interminabili
anche quelli che non giocammo
anche quelli che non inventammo.

Tienimi sulle ginocchia
dondolami di abbracci
circondami di sicurezze
raccontami una storia
di quelle che finiscono bene
di quelle che fanno ridere.

Tienimi ancora sempre
sulle tue ginocchia forti
dove mi posso aggrappare
dove mi sento a casa.

Il mio papà mancato
tu, che racconti la mia storia
sul palmo della mano
con la poesia nel vento
e l’amore a picco sulla fronte.

23 marzo

Passi accartocciati
tacchettavano sulle mie ferite
eco di un ritmo stonato:
ti allontanavi senza guardare.

Era già buio dentro:
buio nel buio nel fondo
di un pozzo buio
dove tremavo accucciato
nudo di cancerosa realtà.

Rigagnoli di spuma rossastra
frastagliavano un selciato amaro
fango di sogni sminuzzati
che m’inzaccheravano l’anima.

E immagino quando
mi librerò spirito pacificato,
nebbia sbriciolata,
fanfaluca d’infinito,
ad abbracciare questa valle
multiforme arcobaleno,
per aspera ad astra
alfa ed omega,
significante e significato.

Prima di divenire
indefinita polvere cosmica
passeggerò sul tuo zerbino,
origlierò al tuo cuore
cercando un cenno di luna,
un lampo di flashback,
una pietra lavica di rimpianto.

La mia forma liquida


La mia forma liquida
divino preludio
per farsi mare curioso
schiudere le tue valve,
pudiche resistenze,
penetrare l’alveo divino
conchiglia di sogno,
accarezzare la tua perla,
mantella di sole
cinta d’amore infinito.

 

L'estasi del dolore


Il dolce sedimento
di una memoria uncinante
inferisce avidi tagli
sul mio corpo nudo
offerto al tuo dominio.

Affonda affonda ancora!
Lecca il mio sangue vivo
bèati del mio dolore gaudente:
solo al calar dell’ombra
rinfodera la lama
serbàta per l’alba sanguigna.

18.3.21

Giorni cupi

 

Quando incrociamo un volto
in questi giorni cupi
un volto fotografato
nella memoria iconica
relegato in un cassetto
chiuso di cianfrusaglie

alziamo il cuore
prendiamo lo sguardo
e doniamolo
addolcito accogliente

se ci ha separato
una gretta routine
se ci ha allontanato
una stolida follia
se ci ha ferito
una lama di rigetto

riprendiamo quel volto
spalanchiamo il cassetto
sempre grati al caso
che lo ha incastrato
generoso, scrupoloso
nelle nostre vite.

Aprite quel cassetto


Se al mattino vi svegliate con il sole accartocciato tra le cose inutili
se la vita vi sembra schiacciata su frasi di circostanza
se l’anima fatica a sciogliere ali rattrappite da costrizioni invadenti
respirate
prendete coraggio
aprite quel cassetto
si, proprio quello,
quello che tenete da parte
per i giorni come questi
quello dove riponete le meraviglie
quello dove stipate le volontà
quello dove, in fondo,
ma davvero in fondo,
c’è il miracolo della vostra vita.

Dove inciampano le stelle?


Chissà dove inciampano
le stelle cadenti
quelle che ci sfuggono
saltellando sull’orizzonte:
forse chiedono aiuto
sfrigolando scintille d’argento,
vanno forse a rotolare
in crepacci di rimpianti,
si sfaldano in mille singhiozzi,
rimbalzano tra valli di cobalto
si sciolgono in rivoli di lacrime.

Chissà dove inciampano
i desideri con le ali
le poesie d’amore
i sogni affogati di luce.

L'astronomo e il poeta



Un bel mestiere quello dell’astronomo. Passa una vita a sfruculiare fra le stelle cercando un posto che possa assomigliare alla Terra.
Ogni santo giorno con gli occhi incollati a quelle fantastiche lenti che scorrazzano il buio più nero, tra migliaia di puntolini cercandone uno, uno solo, che parli il tuo stesso linguaggio biologico, che racchiuda in sè le stesse leggi della vita che conosci. Un’affinità. Una simbiosi. Un comune terreno genetico.
Un bel mestiere quello del poeta che indirizza fiori colorati a posti immaginari. Ogni santo giorno a trasformare le sue emozioni in strisce di parole volanti, a ricamare arpeggi destinati ad un’anima sconosciuta, una sola, che parli lo stesso linguaggio del volo, che abiti lo stesso spazio d’infinita bellezza. Alla ricerca di un cielo che possa raccogliere quei versi, prenderne possesso e amarli. Un’affinità. Una simbiosi. Un comune terreno genetico.

Vivere capovolti


A volte ci sembra di vivere capovolti. Con i piedi immersi nel cielo e i sogni sottoterra. Ci sentiamo diversi, fuori posto, confusi. Le voci sono un mormorio indistinto, non leggiamo le espressioni di dileggio o compatimento sui volti della gente che scorre su tante gambe tutte uguali. Nessuno con cui parlare perché saremmo costretti a urlare. Nessuno da abbracciare, nessuno da amare. Poi, un giorno, da lontano, compare un sagoma alla nostra stessa altezza. Un’altra anima capovolta. Che ci sorride. E sorridiamo anche noi. Che ha gli occhi che parlano nei nostri occhi. Allora avviene che i sogni si sollevano da terra e i piedi sgambettano fra le nuvole. Ed il mondo è fra le nostre mani e possiamo raddrizzarlo per sempre.

 

Poteri della notte


La notte se ci pensate ha poteri magici. Possiamo cambiare identità come Clark Kent, indossare il mantello e assumere superpoteri. Nessun luogo è irraggiungibile, nessun ostacolo invalicabile, nessuna persona intoccabile. Tutti i nostri giochi preferiti ritornano a vivere come in un grande, meraviglioso Toy Story. I trenini elettrici, le Barbie, i Lego, i francobolli, Sandokan e Buffalo Bill. Tutti insieme con noi, nella notte delle meraviglie.
E poi lei/lui. Quella del primo banco che non siamo riusciti a conquistare o che ci ha camminato sopra come un tappeto sporco. Quella che non ha letto neanche una poesia che le hai dedicato. Quella che hai visto sempre di schiena. Quella che hai salutato con un “ci vediamo eh?”. Può essere tua, nella notte, su di un cavallo bianco, con la testa sulla tua spalla e il tuo sogno nelle mani.

La scelta del silenzio


Quando ti sembra di non aver nulla da dire in realtà è proprio perché nel recipiente ribollente della tua anima salgono a galla confuse e mixate sensazioni profonde che non riesci a raccogliere senza scottarti il cuore.
Allora scegli il silenzio, abbassando la fiamma del fornello della mente. Che sia rinuncia o che sia espressione di forza è interrogativo soggettivo.
A me accade prima o poi di sollevare quel coperchio perché le bolle si trasformino in desideri, in volontà, in gioia di vivere.

Il meccanismo perfetto


L’universo è una costruzione perfetta nella quale anche gli eventi distruttivi, i cataclismi stellari, le implosioni delle galassie hanno un fondamento; sono carrucole oliate, tiranti tesi, vasi comunicanti, incastro di casualità. In tutto questo caos determinato c’è un unico fattore di disordine: l’Amore, granello di sabbia che inceppa gli ingranaggi, deraglia i destini, frantuma le convenienze, innesca la follia.

Il paradiso


Forse il paradiso è il luogo dove esistono le cose che abbiamo immaginato di fare da bambini: vivere su un’isola con il Faro, mandare messaggi in una bottiglia, cercare un tesoro, le navi dei pirati, i cowboys e le pepite d’oro, gli extraterrestri e il teletrasporto. Il paradiso può essere il Luogo della Fantasia, il Regno di Peter Pan, dove ci si può sporcare di nuvole e abbronzarsi di sogni.

11 di noi


Si dice ci siano 11 di noi
in 11 dimensioni iperstellari
che vivono 11 vite diverse.
Se ci siamo incontrati
e non ci siamo riconosciuti,
in un altro universo
siamo una cosa sola
e le vibrazioni di quell’incontro
ci raggiungono ribaltando
la clessidra del tempo,
la geometria dello spazio,
l’asincronia dei cuori.

Il buio


A volte cerchiamo il buio, anche se ci fa paura, perché lo sfiorarci dell’ignoto, annacqua lo straziante rigirarsi nelle paludi del rimpianto, del falso appuntamento, del sogno sgretolato. La paura sminuzza il dolore e restituisce volontà di resistenza.

Flashes

Spegnete la luce e accendete i sogni.

Stanotte cercate bene sotto il cuscino: troverete le ali che vi servono per raggiungere i vostri sogni.

Tristi? Asciugate le lacrime, stendete i cattivi pensieri, affacciatevi sulla terrazza della speranza, afferrate i bordi della luna e baciatevi.

I pensieri d’amore sono come diamanti, non si possono intagliare, se non con altri pensieri.
E quando accade è un miracolo di perfezione.

1.3.21

Non ti fermare

Emergi dalle schiume
ninfa metropolitana
fragrante di tuberosa
proibita e conturbante.

Non ti fermare
siediti ancora sui miei sogni
portami a spasso fra le nuvole
guidami in un giardino di aquiloni.

Sdraiati sulla mia malinconia
aggancia il carro dell’Orsa
stenditi tra Vega e Andromeda
resta mia Stella Polare.

Non ti fermare
raccogli i colori di cento primavere
posa nuda modella di Velasquez
fatti marmo vivente di Michelangelo.

Martellami ancora le tempie
fatti assaggiare zucchero e fiele
arrotola il mio perenne stupore.

Non ti fermare
uccidimi lentamente
perché possa centellinare
il tuo calpestio impertinente
sul mio cantuccio di vita.

Tipologie di sogni

Il sogno in punta di piedi
è quando mi svegli
facendo finta di non farlo apposta
e mi chiedi “Hai sonno?”
ma conosci la risposta.

Il sogno indelicato
è quando mi stringi
e fai le fusa imbarazzata
e mi chiedi “Ma io ti piaccio?”
ma conosci la risposta.

Il sogno scalmanato
è quando non ti vedo più
ma ti sento, ti respiro,
ti porto dentro di me
mi porti dentro di te
esplosione di baci
fusione di carezze.

Il sogno infinito
è quando ti addormenti
mentre ridi e ridiamo
e il mondo è fatto a spicchi
e il tempo è un giocattolo
e siamo dentro una cosa strana
che si chiama felicità.