7.10.24

Convogli d’autunno



Ottobre
sale sul predellino
di un trenino di nuvole.
Cincischia il sole,
e ciarla di calma sopraffina.

Solo il mio cuore
rumoreggia scomodo
innervando versi
genuflessi al ricordo
d’irripetibili stagioni.

5.10.24

Ecchimosi



Il tuo passaggio
fu squarcio
di tela frusta
argine e stallo
di anonimo fluire.

Fu trionfo
di sapide baccanti,
inverso costrutto
del tempo mortale.

La tua presenza
fu dieresi
d’insipidi monologhi
dolce ablazione
di morti continenti.

Fu ganglio
di carnosi artigli
viluppo di braci
catartica nemesi.

Il tuo dissolversi
fu squarcio di lama
aneddoto del Diavolo
torsione bulimica
di Spazio e Tempo.

Ora accarezzo
le ecchimosi del cuore
e le mostro al mondo
con le braccia sollevate
nel cielo della poesia.

4.10.24

Recensione del romanzo "Amen" di Teodoro Fuso

 

Friedrich Nietzsche teorizzava l’impossibilità dell’uomo di sfuggire al proprio destino.
Nella circolarità del tempo egli, per quanto teso verso un percorso di progresso, si ritroverà ad incrociare le sue paure, i suoi desideri, le sue pulsioni. È la teoria dell’”eterno ritorno”. Dodò in questo romanzo mi ha spiazzato: non mi aspettavo dalla sua penna il parto di una “crime story”. L’eterno ritorno è quello del protagonista – Cesare, alias Aldo – svezzato e cresciuto in una Napoli assediata dalla camorra e segnato da una ascendenza che fa riferimento al ventennio fascista. Viene cooptato in un modus vivendi fatto di violenza, malaffare e sudditanza ai capibastone, ma mantiene un suo aplomb costruito sul rispetto conquistato sul campo e anche su un background culturale che ha modo di forgiare in prigione, dove diviene picciotto del bibliotecario, un mammasantissima, che intravede in lui doti non comuni. Tra queste doti c’è anche la sensibilità che, ad onta del contesto da cui è circondato, lo porta ad essere e sentirsi “diverso”. Il destino insegue quindi Cesare come un mastino insaziabile. Lo irride offrendogli occasioni di riscatto e redenzione, come l’amore di una donna proveniente da un mondo completamente diverso ed opposto al suo. Le vicende si susseguono ad un ritmo incalzante e il protagonista è costretto ad emigrare verso lidi più sicuri dove altri intrecci lo attendono al varco, prima che il cerchio si richiuda ancora, in una nemesi rigenerante.
Ormai so che, quando leggo Dodò, devo prepararmi una sedia comoda, popcorn, immaginarmi una bella colonna sonora, magari qualche fazzolettino (non si sa mai mi finisca male un amore); insomma è come andare al cinema sapendo che il film parlerà di qualcosa che ho dentro, come lo hanno dentro molti che condividono con lui un certo humus storico e culturale, e quel qualcosa mi riaccenderà zone rimaste al buio, angoli nascosti, piazze di ragazzi, profumi di rivoluzione. Lo stile di Dodò è quello di uno sceneggiatore prestato alla scrittura. Il ritmo, i dialoghi, i salti temporali come quelli di una cinepresa, la suspense, sono gli ingredienti tipici di trame cinematografiche di successo. E le pagine girano vorticosamente con una leggerezza che consente solo qualche respiro ogni tanto, perché non vedi il momento di sapere “come va a finire”.
Inoltre in quest’opera in particolare ho apprezzato moltissimo sia le ambientazioni della Napoli dei vicoli e bassifondi con il gergo e i soprannomi tipici dei camorristi e, soprattutto, Dodò mi ha accarezzato con le proiezioni di una Parigi ferma nel tempo, con l’alone bohemienne degli artisti del primo novecento, gli scrittori, i filosofi e i poeti maledetti. Grazie all’autore e…il mio desiderio, e lui lo sa, sarebbe vedere un vero film tratto da un suo scritto.

12.9.24

Tu mi disegnavi



Tu mi disegnavi
ed io correvo
correvo forte
per raggiungermi
in una vita diversa
scartoffie di poesie
una collina generosa
un prato testardo
e un giardiniere
ancora più testardo.

Tu mi disegnavi
ed io correvo
tanto forte da decollare
e guardarmi da lassù
in una vita ben messa
poesie sporche di caffè
e del tuo rossetto dolce
il caminetto sempre acceso
noi sotto una coperta
e una sveglia fracassona
gettata di lato.

Tu mi disegnavi
ed io correvo
tanto piano da sognare
e ridermi addosso da lassù
in una vita normale
dove c’è il cane
ma anche il gatto
o entrambi con un coniglietto
e le melagrane con i fichi
e l’odore della pioggia.

Tu mi disegnavi
ed io correvo
senza girarmi indietro
tanto ti sapevo dietro
ma forse eri avanti
troppo avanti
per le mie poesie
le mie fanfaluche
il giardino e il caminetto
il caffè e le melagrane
e l’amore gettato di lato
con la sveglia fracassata.

11.9.24

In cerca di parole



Trovare le parole
per sfiorare
epidermidi lacerate
dai “per sempre”,
incatenate agli angoli
dai desideri inghiottiti
per soffocare i brividi

trovare le parole
anche per chi
con le parole gioca
come un bimbo
nel suo parco di sogni.

Dove trovo le parole
che mi sono rotolate via
su strade senza uscita
quelle che zampillavano
da fontane di cristallo

trovarle per te
che sei un’estranea
che forse conosco
da una vita precedente
in cui eri stella
ed io cometa

e mi piaceva
precipitarti addosso
con la leggerezza
di un amore senza paracadute.

27.8.24

Cesare Pavese 27 agosto 1950



Ragnatela di sogni
ferma in un angolo di noia
la tortora scuoteva il capino
incapace di sorridere.

La collina s’agghindava i fianchi:
ed albeggiava un sospiro di sole
tepore da riporre con cura
come garza sugli occhi stanchi.

Eri tu bella ed assurda
a scuotermi la vita
prima che rotolasse in basso.

19.8.24

Potessi essere nuvola



Potessi essere nuvola
mi disegnerei all’infinito
elastico d’amore,
amplesso di cieli,
rotolando divertito,
altalena di temporali.

Potessi essere nuvola
ti sbircerei discreto
in oasi di tramonti
aspettando il dono
di un tuo sguardo,
domanda curiosa
verso la collina.

13.8.24

Tra una riga e l’altra



Ti osservo sottecchi
inseguendoti invano
con una matita spuntata
mentre continui
a passeggiare ridendo
negli spazi bianchi
schivando righe
ubriacando accenti
e sbeffeggiandomi sempre
i punti a capo.

10.8.24

Poesia senza scrivere “stella”



Una poesia può 
arricciarsi il naso
e truccarsi le labbra
senza per forza scriver “quella”.

Può precipitare e assolversi
brillare di nerofumo e vino
può ignorarsi
per non imporsi di scriver “quella”.

Perché “quella” si è stufata
di tanti coccodrilli blasfemi
e di conseguenza si risparmia
vagonate di glitter all’ingrosso.

“Quella” di lì “quella” di là…
piuttosto si mimetizza
in un cuore di cielo rosso
perché è lì che la scova
chi la poesia la prende per mano.

29.7.24

Sazio di te



Cromatico guitto
ballonzolo sui tramonti
dove hai lasciato
i tuoi occhi adoranti,
capricci di sole

mai più cercherò
altre gemme rosa
sono sazio di te
continuo a divorare
anfiteatro generoso,
le tue gambe accavallate.

23.7.24

La masseria Minutillo

Masseria Minutillo

Contrada Conchia - Monopoli


Un tempo vi fu un viandante
dubbioso nell’incedere
che seguiva i sentieri scontrosi
di una tiepida collina
tronfia di ulivi,
ebbra di macchie,
gravida di sole.

Comparve una casa
solinga e maestosa,
avvitata nel verde,
orgoglio di breccia
con le bianche pietre
esondanti sacralità.

Il viandante chiuse gli occhi
e tese le orecchie.
Si poteva ascoltare
nel vento carezzevole
il fremito di genti antiche,
l’eco di bimbette scalze,
trebbiatrici e gallinelle,
le mani di una madre
dal grembiule indaffarato.

Ora una quiete dolente
avvolge le mura,
il grembiule è fermo
e la madre dalle braccia tese
è un’ombra evanescente.

È vitreo il tramonto
sui ciottoli scomposti;
il viandante stanco
s’appoggia al parete
tergendosi la fronte.

Nell’ora che muore
la casa si è fatta madre
e benedice i viaggiatori:
quelli che passano
e si fermano,
quelli che partono
e si perdono,
e quelli che per sempre
ricordano.

Marilena Tropiano

20.7.24

Rabdomante di versi



Non conoscevo arsura
per i miei vaneggiamenti
fonte inesauribile
poesia sorgiva
mi zampillavi dentro.

Ora vago
a fronte bassa
rabdomante di versi
in un deserto di folla.

11.7.24

Noi poeti



Noi poeti,
noi danzatori
sulle punte dell’assurdo,
noi inutili
sbeffeggiatori dell’ovvio,
noi linguacce alla morte,

siamo merce avariata
siamo scarti senza etichetta,

noi infedeli e blasfemi,
noi Donchisciottini,
sfoderiamo armi di pane
molliche d’amore diffuso
briciole di follia.

7.7.24

Il lato fresco



Il lato fresco
e silenzioso
concavo di colori
tramestio di mondi alati
mi solleva il petto.

Quasi mi attendo
il tuo caffè scalzo
orlato di un bacio,
il tuo dono perfetto.

Mentre tutto è fermo
domande stropicciate
ti cercano ancora
e non mi resta
che guardarti svanire
in quel punto misterioso
dove pregano le falene
con le ali al pianto.

16.6.24

Concavità



La concavità
è la mia postura.
Semicerchio di braccia,
scavo di scogli
a formare porto,
cesura di vento
a colmare vuoti.

Attendo deliri
incastrato
alla superficie del cuore
lì dove s’infossa l’amore
e s’intenerisce la tempesta.

Accumulo relitti
ma non muterò forma
fino all’ultima poesia.

6.6.24

Parole



Fu un eterno fa
nuda nel tuo cliché
ti ho vestita di parole
di un idioma sconosciuto
parole che facevano l’amore
sopra di noi
dentro di noi
parole impudenti
dolci come fragole
pure come angeli
desuete e perdute
echi ormai
della tua assenza.

2.6.24

Domenica



La domenica
si snoda con lentezza
abita un cesto di spine,
vimini intrecciati
di insano tepore,
uggiola, implorante.

Vorrebbe poche briciole,
un fuocherello distante,
nuvole d’inchiostro dorato
dove intingere l’anima,

tornare a scrivere d’amore
volatilizzando ombre,
frantumando specchi.

28.5.24

Contatti profondi



Il bacio
più indecente
non si ferma
ai fuggevoli
declivi del corpo
ma scala montagne
di silenzi e paure
penetra nelle crepe
dove l’anima è barricata
e la libera per sempre.

23.5.24

Il nodo dell’anima



La cruna
su cui m’annodo
è il tempo del pianto
profuso
dalle tue vibrazioni
o il tempo delle risa
che bevo
dalle tue labbra.

Fra questi poli
distendere
un lenzuolo d’amore
dove accarezzare
le tue fantasie.

16.4.24

Foglio bianco



Sono solo uno spazio bianco
che brama uno struscio di penna
come una chiglia tremante
all’ingiuria dell’onda
o una corolla vezzosa
alla visita dell’ape.

Attendo, m’attardo
m’inchino deferente.

Allorché mi ferirai -
- ancora, poesia
sanguinerò di gioia
anche fosse
l’ultima riva
del mio inquieto mare.

1.4.24

Rincorrendo Pessoa (2)



L’io sensibile
si nutre di dolore
imbavagliato;
è l’unico ponte
tra coscienza di se
e percezione di non se.

Sorvola.
Osservandosi.
Da un’altra prospettiva.

30.3.24

Un crocifisso fuori posto



Padre
schiodami
da questa croce:
infima è la penitenza
di questo sangue
colato sul Nulla.

Sottraimi
agli sguardi pietosi
dissolti dopo l’altare.

Portami laggiù
nelle steppe sarmatiche
dove l’uomo
calpesta se stesso
dove piangono le madri,
riportami a casa
dove abbatte il capo
mia madre.

Il mio Golgota
nelle carni smembrate
di una Terra malata.

23.3.24

Gli invadenti



Genìa insopportabile
gli invadenti.

Ce ne sono di furbi.
Anzi, il più scaltro di tutti
è quello che,
travestito della mia ombra,
ha la mia voce,
usa il mio mp3,
ruba le mie poesie
e - che stress! -
mi riporta in casa
tutti i rifiuti
che scientificamente,
ammonticchio a distanza.

Mi riporta la tua voce
ballerina, un pó raschiata
da fumatrice
ogni tanto pentita,
ogni tanto depressa.

Mi ripresenta
la tua seducente ambiguità,
il candore affettato,
il tuo sapermi rapire,
ingabbiare, cucinare.

Mi riesibisce
la tua nonchalance
la “grandeur” della scollatura,
la gonna troppo corta
che facevi finta di tirar giù.

Mi squaderna
le tue incoerenze multiple,
le contraddizioni comode,
a gara con le mie,
ma sempre vincenti.

E quelle tenerezze,
quel farmi tuo strumento
quel voler essere te
- e me, e te, e noi.

E me, lasciandomi fuori,
in quanto inutile
casaccio di atomi
se coagulato in te,
se parte, infima parte,
di un tutto che riempiva
il nulla, il vuoto
e ne faceva cielo,
crepa di faglia,
plasma di roccia.

Et voilà!
L’invadente
ha svuotato la discarica:

- Và via ora! -
Non ho abbastanza tempo,
nè voglia di sopportarti:
amerò questi rifiuti
orrende contumelie
che m’ingombrano il cuore.

16.3.24

Sei incancellabile tu: C. Bukovski



Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?
Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?
Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.
Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore. È che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.
C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.
Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.
Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.
Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.
Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.
Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?
Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.
Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.
Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.
Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.
Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.
A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.
Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.
Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.
Sei incancellabile tu.
Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?

10.3.24

Sei parole in cerca di poesia



Sei parole rabberciate
girano a vuoto,
si sentono
lettere a caso,
disfunzionali,
costrette in ipallage,
eterodirette in litote.

Sei parole in trenino
vagoncini deragliati
su binari del nonsense,
percosse e spuntate
graffiano palati
privi di saliva,
secche ed assetate.

Sei parole orfane
di una direzione,
spente di follia,
scucite di enfasi,
spogliate di un concetto
inservibile e atono.

amoreeternitàricordocuorevitapassione

Sei parole in fila
disoccupate
o sovraesposte,
sei parole mendicanti
in cerca di poesia.

25.2.24

La domenica del passeggio



La domenica
non aveva il vestito buttato addosso,
ma la lentezza del suo dipanarsi,
l’armonia di un brano “soul”
ritmato su caldi polpastrelli.

Passeggiava su chianche riconoscenti
la cui eco era concerto di vicoli
sguardi levigati di voci
cenni del capo alla comunanza.

La domenica
era sorriso solo al pensiero,
lo sfottò alle divagazioni sportive,
pregusto di timballo
baci sulla fronte dei ragazzi
che attendevano i pasticcini.

Era pensare ai genitori soli
sentire l’insoddisfazione di un saluto
che per loro era uscio sull’allegria.

La domenica
questo strano rito
che ci portava indietro
nella calma di un sogno antico.

L’equatore



L’intersezione perfetta
dei nostri desideri
paralleli e confluenti,
incastro di linee,
ridondanza di aurore,
amplesso di zenith.

Sei tu l’equatore
dove ruota
pallido
il mio pensiero.

11.2.24

La cartolina






Nel mio viaggiare
su inasfaltate strade,
ponti sull’assurdo,
mari e ghiacciai
ho un impegno fisso:
mandarti una cartolina di quelle
che camminavano lente
“a te pensai
oggi, sempre ed oramai”.

Una cartolina in bianco e nero
macchiata di polpastrelli
con le rughe di una canzone
che amai tanti singhiozzi fa.

Oh! si ti amai
ma solo nei miei viaggi
quando legavi le mie valigie
con i lacci della poesia
quando eri il necessario
tu, lo spazzolino e l’aria.

E te lo rammento
con quei saluti
solo su una cartolina
che spedisco
senza francobollo
perché non ti arrivi mai
prima dei miei pensieri
appiedati nei sogni.

6.2.24

Vestita di poesia



Avevi solo un modo
per diventare eterna:
finire sulle mie righe
sconclusionate
vestita
di sola poesia.

22.1.24

L’insano fardello



Vorrei chiederti
come ti permetti?
- ignara -
portare di qua e di là
il mio cuore
insano fardello?

Ma mi rispondo:
- altrove -
palpiterebbe d’inerzia
senza fremiti e fiamme.

Sarebbe capace di fermarsi
senza neanche
farsene accorgere.

17.1.24

La morte delle parole



Le parole muoiono
dopo lunghe agonie
in debito d’amore.

Poesia piccina



Voglio scrivere una poesia
piccina piccina
solo uno scarabocchio
in mezzo a un grande spazio
un immenso spazio bianco
dove vivi tu
con la mia confusione
e una matita spuntata.

9.1.24

Impronte di labbra



Quella sera
era accesa di stelle
fiammiferi distratti
ruzzolavano sul parabrezza.

Ti avevo perso ad una curva
- che non sembrava
fosse davvero così curva -
finché non mi bucò le palpebre.

La notte ormai
mi era scesa nelle tasche
ero chino sul volante
a guardare la vita slacciata
quando sentii bussare
tanto da ingoiare il cuore.

Le tue labbra rosse
erano disegnate sul vetro
e ne sentii il sapore
l’ultima volta
prima di nascere.

6.1.24

Lo scorpione



Penso a chi va per mare,
e a dritta
ha sempre un altro orizzonte,
a chi ha un’ala nascosta
sotto il cappello,
agli esploratori di sè,
ai minatori di carezze.

Penso agli affamati di sogno
a chi dorme
sotto i ponti dell’assurdo
ai matti che parlano
il linguaggio dei gabbiani.

Penso a chi viene punto
dallo scorpione della poesia
e non aspetta altro
che il veleno lo uccida.

3.1.24

L’aratro del Tempo



Pingue di boria il Tempo
ignora la mia destrezza
e tenta la connessione
con pusillanimi recettori:
la Ragione ed il Buon Senso.

Abbaiano - loro -
ad una luna epicurea
che li gabba di luce.

Io viandante di alfabeti
m’aggiro in crateri illuminati
sull’Oceano delle Tempeste
dove affonda la tua ombra.

Sei dall’altra faccia
dove il Tempo non arriva:
il suo aratro è fermo
e tu continui a rifiorire
eterno bocciolo di rosa.

27.12.23

Il dolore delle pause



Il dolore più sordo
è quello
nello spazio bianco
che si coagula
tra i versi impigliati
nel reticolo del pensato.

È proprio lì
che la sinestesi
imprigiona la percezione
dell’amore perduto.

23.12.23

I sentieri della luna



Era una sera di quelle speciali
quella in cui qualcosa pesa
negli interstizi tra dubbi e fole
fra le inevase tortuosità
in cui s’annebbia il passo.

Allora ti può accadere
seduto in grembo al Nulla
che luna ti tocchi la spalla
chiamandoti per nome:
“Non tutto è da buttare”
- dice -
con un lampo d’argento.

E tu ti sollevi e torni a camminare:
quei riflessi di metallo
sono sentieri nel cielo
di una storia che attende
il suo momento per brillare.

15.12.23

La devozione delle reti



Frange rosse sulla banchina
noi figli del mare
pescatori di lacrime
le mani rigate,
sangue rappreso
su tonfi di onde.

Pescatori di sogni,
farfalle senz’ali,
abbiamo posato la vita
grati nel porto
dove s’accosta il miracolo.

10.12.23

Il poeta cieco



Soldatini impettiti
gli anni si allineano
marciando spediti
sulle righe della memoria.

Da quel giorno
le parole bruciano
per farsi inseguire
da un poeta cieco
che vuole amare il sole.

3.12.23

Ciottoli



Ciottoli smarriti 
i miei versi…
disequilibri rotolanti
su chine incolori.

Mete ignote,
bussole infrante,
solo propendo
verso l’infinito.

22.11.23

Ho sempre tutto in ordine



Ho sempre tutto in ordine.
Sistemo il sole la mattina
fra due pensieri taglienti
e lui s’adegua sbuffando un pò.

Le persiane sbadigliano
con le bocche impastate
di foglie e di rugiada.

Il letto gigioneggia nell’attesa
di essere rimboccato.

Nello specchio qualcuno
mi osserva distratto
e un cucchiaino di jazz
si perde nel caffè.

Anche la polvere
sa come farsi trovare
e ride, la stronza.

Qualche poesia mi va stretta,
ma poi la stiro meglio.

Tutto ha il suo senso
nella giusta collocazione
fra stomaco e nervi.

Poi mi accade la sera
esaurita l’agenda
nei luoghi dell’inerzia
di tornare verso casa
con i pugni sul petto
chiedendomi perché
in quest’ordine sublime
manca tanto lo sgambetto
del tuo facile disordine
a farmi ruzzolare il cuore.

20.11.23

Recensione “Jupiter IRBM” di Beppe Stallone



Beppe Stallone, giornalista, collaboratore del “Nuovo Quotidiano di Puglia” esordisce come scrittore con una raccolta di racconti brevi intitolata “Jupiter IRBM”. In essa “non esiste un filo conduttore vero e proprio” dichiara l’Autore stesso, “essendo un contenitore di vari spunti derivanti perlopiù dall’attività professionale, ma anche da spaccati di vita più intimistica”.
In effetti dalla lettura, sempre gradevole, di questi testi ci sono evidenti tematiche traslate da cronaca e reportage frutto del suo lavoro, intermediate con cornici emotive che possono assumere risvolti talvolta thriller, talvolta ironici, talvolta di amare prese d’atto.
Tuttavia se si vuol estrarre un tema dominante, emerge certamente quello della complessità dell’umanità a ridurre le tensioni verso i conflitti, soluzione invece che, se fosse in mano ai bambini, troverebbe vie d’uscita molto più semplici e accessibili. Così è per la Guerra Fredda, rievocata nel racconto principale , “Jupiter IRBM” e in “Ù biliz” dove la famiglia di un bambino viene segnata da un’esperienza di criminalità e pentimento di un genitore.
In “Balaton”, altri fatti storici - la repressione della rivolta ungherese del ‘56 - sono lo sfondo di una bella e commovente saga familiare.
Particolare e intrigante l’incursione che l’Autore compie nella fisica quantistica, ne
“Tutta colpa dei neutrini”, vere e proprie “schegge” di scrittura aforistica, dove si immagina il permanere della vita in forma non visibile, al termine di quella terrena, sotto forma di fasci di particelle, pensanti e senzienti. Iconiche, sono inserite rievocazioni delle tradizioni religiose popolari dell’approdo della zattera della Madonna della Madia a Monopoli e la trasposizione onirica delle reliquie di San Nicola a Bari nel racconto “Nicola mio fratello”, in chiave quasi psicanalitica.
In conclusione, addentrarsi nella lettura di questa raccolta è un percorso mai scontato, poliedrico, istruttivo, per l’evidente approfondimento professionale di fatti poco conosciuti, spesso con finali inaspettati e vibrazioni emotive.
Un esordio promettente che apre le porte a possibili evoluzioni dell’Autore verso forme espressive più ampie come il romanzo, la sceneggiatura o anche la drammaturgia teatrale.

17.11.23

Stelle cieche



Le mie poesie
sono stelle cieche
affamate di luce,
traiettorie di alfabeti
orfane di gravità.

Le metto in fila
zingare tristi
in un cielo bugiardo.

Mi attardo ad origliare
il silenzio che addenta la gola.

3.11.23

Le cose semplici



Mi sono sempre piaciute
le cose semplici
le persone semplici
quelle che hanno
pensieri semplici
su argomenti complessi
che hanno poche
risposte semplici
ma tante tante domande
fuori dai libri
fuori tema
fuori di testa.

Tu mi facevi
tante domande
e leggevi le risposte
sulle labbra del cuore
tutte risposte
di cui sapevi la direzione
il vento
il sogno
che ti avrebbero portata
in paesi lontani.

E viaggiavamo
insieme
su barche di cartone
con ali ridicole
verniciate di silenzi
su nuvole di parole inutili
senza senso
perché
ci mangiavamo di parole
ad occhi nudi.

Eravamo
un miracolo semplice
bastava pensarci
senza sforzarsi
un miracolo
così semplice
che durò
la vita di una bolla
nel fiato di un bambino
che ti soffiò via.

29.10.23

Sangue sulle parole



Il poeta
si consuma di parole
si onanizza per un desueto,
vaga per mondi
mordendo metafore
ossimori e fonemi,
si taglia le vene
per un’iperbole,
muore su ogni luna
che eclissa il suo amore,

ma sull’orribile mattanza
circumnaviga il Nulla
satellite disperato,
le parole sono meteore
schizzi di sangue
sul volto di Dio.

25.10.23

Rifugio



Notte umida
d’un ottobre inutile
le tue mani sagole
con cui annodo il senso
ghermente il profondo

m’alcovo fra i tuoi seni
ancillari penisole
innocenze rifrangenti
dove abbevero
purezze neonatali.

17.10.23

Autunno



Mansueto
è l’autunno
affine
sintonia,
mi si siede
accanto,
tutto
evanescendo
tutto
smorzando.

Restano
i contorni
mossi di pioggia
che non cerco più
di afferrare.

13.10.23

Il mondo chiuso fuori



Posare
le mani
sul capo
del mondo

ti amerò
nel solco
dei neuroni
impazziti
di luce e sangue

noi chiusi
in conchiglia
avvampata di mare
per sempre,
per mano,
per infiniti cieli.

9.10.23

Guerra, ancora




Le categorie di scorta
esaurite
sconfitte,
canovacci ruminanti
parafasie croniche.

La guerra
ha un palmare griffato
i tasti sulle teste,
somministra sulfamidici
e prepara la pace antigenica
per i pagliacci sui troni
che stiperanno il pianeta
nel loro portafoglio di sterco.

1.10.23

Il mondo dei Puri



Il mondo è dei Puri
quelli sul soglio
con l’indice congelato

i navigatori del senno
che ordiscono la trama
dei dimenticatoi

quelli che esortano
per il tuo bene
a differenziare i calzini bucati
insieme ai cuori logorati.

Io sono restato impuro
con una fanghiglia addosso
che è diventata una lavagna
su cui cerchio ghirigori:

sono il nome di una ferita
che amo vedere sanguinare.