31.12.24

Scritture brevi: SHARIMA HA FATTO GOL



Sharima stava dormendo e sognava. Il suo era un sogno ricorrente e riguardava la sua passione più grande: si trovava nel cortile dietro casa sua dove pochi ciuffi d’erba sopravvivevano a stento a cumuli di pietre, buche, masserizie sparse. Quel campo dove zampettavano galline e coniglietti era il posto dove si giocava a calcio. Si riunivano lì i bambini del quartiere e lei, la più piccola, dava lezioni a tutti, anche ai maschi più grandi. Purtroppo da quando era scoppiata la guerra, gli incontri si erano via via diradati, fino a sparire del tutto. Perciò lei li sognava. Era brava, Sharima. Saltava tutti come birilli, poi tirava in porta e, quasi sempre, segnava. Fuori dal campo il suo tifoso più accanito era lo zio Kemal, che rischiava sempre di strangolarsi per urlare: “Sharima ha fatto gol! Sharima ha fatto gol!” Il suo papà non c’era più. Era stato inghiottito dalla guerra precedente, ma lei sperava in cuor suo, che anche lui facesse un tifo sfegatato.
Ora cercava di addormentarsi piu spesso che poteva, per poter continuare a giocare in sogno. Le sue gambette magre scalciavano nel letto e la sua testolina girava di qua e di là per tutti i dribbling che le riuscivano.
Improvvisamente però fu svegliata di soprassalto da uno scoppio seguito da un rombo. Sentì la mamma che la chiamava disperatamente e, dopo qualche secondo, venne da lei, la prese in braccio e si precipitò verso l’uscita di casa. Lei non ebbe paura, ma provò solo un gran fastidio per aver interrotto il suo sogno. Appena fuori casa, di nuovo un grande, tremendo scoppio e tanta, tanta polvere. Lei, a quel punto, decise che si sarebbe riaddormentata, nonostante tutto quel rumore.
È così fu. Riprese il sogno da dove si era interrotto, ma ora era tutto diverso. C’era un grande prato verde con delle strisce bianche e due porte vere da calcio. C’erano tutti i suoi amichetti, anche quelli che non vedeva più da tempo. Prese il pallone e cominciò a dribblare. Tunnel, veronica, rabona e via di corsa verso il portiere. Un calcio fantastico sotto la traversa!
E Zio Kemal che esulta.
Ma incredibile! C’era anche suo papà: “Sharima ha fatto gol! Sharima ha fatto gol!”.

Dedicata a tutti i bambini. Che possano cessare tutte le mattanze e i sogni ricominciare a camminare sulle strade del futuro.

24.12.24

Scritture brevi: La processione di Natale



Ricordo che ci rimasi davvero male. A scuola andavo un anno avanti e ci sono state sempre forti probabilità che fossi il più piccolo della classe. “NON ESISTE! È TUO PADRE!” È giù tante risate di scherno. Mi rifugiavo in un sorriso forzato, ma non mi convincevano. Non mi hanno mai convinto con le loro certezze spudorate. Cominciai a investigare da qualche giorno prima di Natale per captare dei movimenti sospetti in casa, o per cercare dei nascondigli dove potevano trovarsi dei pacchetti. Ma se avevo chiesto dei regali ingombranti, dove diamine potevano conservarli? Mmmm. No, questo provava che solo qualcuno capace di miracoli poteva riuscirci. E quelli stupidi potevano ridere quanto volevano. Evidentemente loro erano stati mascalzoni per anni, ed erano stati giustamente ignorati. Comunque per sgombrare tutti gli equivoci, la sera della vigilia mi tenni all’erta. La visita veniva preceduta da una processione con mamma nelle vesti di capostazione del trenino ed io a fare la locomotiva con il bambinello nelle mani. Cantavamo tutti, e le stelle scendevano ugualmente, nonostante le stonature che le avrebbero potuto scoraggiare. Dopo aver depositato l’infante nella culla, mamma ordinava le preghiere. Qualcuno che aveva scordato il catechismo inciampava e balbettava o muoveva solo le labbra. Io rischiai lo strabismo con un occhio al presepe ed uno alla porta d’ingresso. Di solito lui scampanellava dopo l’Eterno Riposo. Non so perché mio fratello ogni anno doveva andare in bagno. La mamma comandava l’evacuazione del salone perché le visite, secondo lei, dovevano avere un clima di privacy. Io volevo resistere, ma mi veniva velatamente suggerito di obbedire, altrimenti il visitatore poteva prendere altre destinazioni. E puntualmente il campanello avvisava che qualcosa era successo e mio fratello tornava dal bagno, ogni volta più sollevato. Mannaggia, visto che avevo ragione! I pacchi erano lì sotto l’albero e mio padre sulla poltrona! Ero trionfante! Sarei tornato a scuola senza dir nulla, ma con quell’aria di superiorità che spetta di diritto a chi mantiene salde le proprie ideee contro tutto e tutti.

E ancora oggi quando qualcuno mi vuol far credere che non ci sia più nessuno intorno all’albero e al presepe, sono io che rido e li sberleffo. Sono tutti lì presenti e chi non li vede è un vecchio mascalzone. E il pacchetto, ogni anno, io lo ricevo. È pieno di parole nuove da mettere in fila per giocare e descrivere il mondo, le cose belle e brutte, le gioie e i dolori, l’Amore che vince e la vita che continua.

19.12.24

Da dove viene la poesia

Picasso: Il poeta


La poesia
s’erge da una pulsazione
vibrante in un buco nero
che dallo spazio profondo
precipita in terra
in indefinite forme
roteanti casualità.

E tu sei predestinato
a subirne l’abuso
che fruga sotto pelle
estrania e arde
supplizia e geme
fino alla trasecolata
esplosione in verso.

30.11.24

Up Where We Belong - Joe Cocker



La mia reinterpretazione:

Era buio in fondo
con il sole sprofondato
nella terra dei dispersi
sembrava lontano lassù
una sfera di fioca luce

ma l’amore all’improvviso
un potere straordinario.

Scala le montagne
solleva dagli inferi
l’amore ci trasporta
ci solleva come aquile
per riportarci lassù
dov’è il cielo è casa.

Poco alla volta
non ne abbiamo coscienza
ma il cuore scala gradini
una forza meravigliosa.

E possiamo toccare
quella luce lassù
ai confini del tempo
perché l’amore ci artiglia
e ci posa sulla cima.

24.11.24

Vertigine di fuoco



Solo a te uomo
concederò il dono
delle piroette,
sollevarmi in cielo,
adorarmi inchinato,
stringermi il petto
e congiungere le guance.

Solo per te amore
prenderò il ritmo del peccato,
la mia pelle brucerà
e volteggeremo insieme
fino all’estasi strenua dei sensi.

20.11.24

Scritture brevi: la cena




Il ristorantino era imbracato tra due vicoli oscuri, tristi, tanto che parevano vestirsi a festa solo nel piccolo angolo illuminato dall’insegna.
Lei camminava svelta e la voce schioccante dei suoi tacchi rimbalzava tra chianche e tufo, in contrasto assoluto con il mio passo, lungo e silenzioso. Avevano scelto quel posto cercando di ridurre al minimo la possibilità di essere visti e riconosciuti. Scelsero un tavolino defilato dove il vibrato di un violino si strusciava tra gambe e tovaglie con un’eco malinconica. I suoi occhi erano appiccicati a lei con un mastice impastato di cuori.
Fu così che quando il cameriere chiese loro cosa preferissero bere, lui - senza distogliere lo sguardo - rispose: “Faccia lei. Un vino che sia…ADEGUATO”. 
Dopo una pausa che sembrò durare un secolo, nella quale tutti i tavoli si erano fatti orecchie, lei scoppiò a ridere e, fuori, i vicoli si illuminarono a giorno.
Lui sente ancora quella risata e quel malinconico violino in quelle sere smozzicate in cui sorseggia la sua vita annaffiata con un vino di cui non ha più saputo il nome.

19.11.24

Scritture brevi: i portici



Andavamo mano nella mano sotto i portici.
La luna si era agghindata d’argento e scherzava con le pozzanghere, graffiandole di strisce luminose. Un cane sfaccendato annusava i marciapiedi e s’incuriosì di noi. Guardavo le nostre ombre che sembravano correre più veloci. Erano felici, inconsapevolmente, come noi.
Andavamo. I portici ci tenevano per mano.
E il cane guaì, nella notte.

12.11.24

Senza esagerare



Mi piace immaginare
che tu possa
portarti in giro
- sottobraccio -
le mie cadute
e le mie sopravvivenze
e che così
- senza esagerare -
tu mi possa immaginare
di star vivendo in un mondo
che non fu mai creato.

9.11.24

Un pensiero di passaggio



Ho chiesto un passaggio
ad un pensiero.
Era un po’ claudicante
volava basso
forse nel raccogliermi
ha anche inciampato.

Gli ho dato il tuo indirizzo
- via dei Vetri Appannati -
e gli ho raccomandato
di fermarsi sotto il tuo respiro
e di raccontarti una favola
dove due non si smarriscano
dove non esista la parola fine.

4.11.24

Il bacio sulla guancia



Quel bacio sulla guancia.
Leggero, soffice come una piuma.
Come il passo dell’avventore che entra per la prima volta nell’anticamera di una casa mai frequentata.
È un messaggio dove c’è scritto che - stando alle apparenze - mi sei simpatica, mi hai incuriosito, ma sono solo alla copertina di un libro che qualcuno - in terra o in cielo - mi ha consigliato, e ho bisogno di sfogliarlo con calma. E tutti i libri vanno trattati con cura, almeno all’inizio. Poi, alla fine, puoi decidere se trovargli un posto, più o meno ordinato, in mezzo a tanti altri.
Oppure puoi decidere se lasciarlo lì, a portata di mano, sul tavolino del salotto o in braccio all’orsacchiotto che hai sul letto. Per riprenderlo subito, domani, ora. Perché non hai compreso bene, forse ti è sfuggito qualcosa. Oppure quel passaggio ti ha accarezzato e lo desideri ancora e ancora. E c’è quel profumo particolare, che magari è dentro tutti i libri del mondo, ma accostato a lei, con la sua voce, il suoi punti interrogativi ed esclamativi, i suoi silenzi chiassosi, chissà perché, ha una fragranza speciale, sa di pane, cioccolata e tramonti.
Tutto questo in quel bacio sulla guancia.
Dove le labbra e i sogni hanno preso la stessa direzione, tenendosi per mano.

Total eclipse of the Heart - Bonnie Tyler



La mia rivisitazione:

Un tempo
ero il tuo pianeta
e ti giravo intorno
pensavo fosse per sempre
per sempre.

Ora mi piovono lacrime
ora cado a pezzetti
e non posso dire nulla
non posso fare nulla
posso solo scrivere di te.

Ho paura di quest’ombra
mi uccide il buio
di questa eclissi totale
il mio cuore era acceso
negli occhi del tuo sole
ora il gelo è sceso
in questa eclissi totale.

Dimmi che tornerai a girare
che mi stringerai forte
dimmi che girerai ancora
che scaccerai quest’ombra
dimmi che sarà per sempre.

2.11.24

Recensione di “Limiti” di Lorenzo Di Bello




Il link per scaricare l’e-book:


La “comfort zone” di un poeta è astrazione, levitazione, appropinquarsi ai bordi resi ottenebrati da mediocri sopravvivenze, quasi invisibili ai più. Lorenzo Di Bello in quest’ultima opera è sempre proteso verso i confini frastagliati e ruvidi di una lettura spietata di sé stesso e del mondo. Spietata perché genuina, mai blasfema verso i propri ideali, le pulsioni, la sua visione insieme apodittica e apocalittica, ma che – raschiando il fondo – cela briciole non banali, anzi, salvifiche, di escatologia cosmica. Si pone Quesiti – l’Autore – e non rinuncia a spianarsi estuari verso il mare delle risposte non evasive. “Siamo ciò che riusciamo a mettere/sotto i piedi senza calpestarlo/ciò che ci illumina la via senza accecarci nel/camminamento.” 
Ma nel marasma delle contraddizioni che “l’animus poetandi” raccoglie, emerge – e non può essere diversamente – la leggerezza dei sentimenti puri, alieni da falsi pudori, elevati alla sommità dell’empireo assoluto. In “Assalire il tuo corpo” pare affacciarsi il Lucio Dalla di “Futura”. Si ondivaga quindi tra i ricordi adolescenziali, la “pax maturitatis”, il primato della memoria ancestrale su quella tecnologica. Se dovessi estrarre numi ispiratori – peraltro comuni nella sua storia poetica – citerei la lapidaria determinatezza di Arminio, contaminata a volte dalla fustigante ironia del Prevert non romantico, ma militante. E poi il meraviglioso Calvino con le sue metafore tra fantasy e simbolismo. Pasoliniane le “full immersions” nella natura, che Lorenzo espone nella sua serra privata: agavi, fichi d’India, calle, abeti, pini loricati, nello struggente desiderio di ritorno alle origini in cui poco o niente era corrotto, molto o tutto era innervato di semplicità. Non poteva mancare il pungiglione che offende e tormenta qualsiasi animo sensibile in questo declino di umanità contemporanea: il rifiuto della guerra e di una sua inconcepibile comprensione, con la sentenza inappellabile verso chi la nutre di bulimica violenza. Questa deriva accende nell’Autore il riferimento storico ai briganti dell’ottocento e alla loro volontà palingenetica.
E qual è, “in limine” – appunto, il ruolo dei poeti in questo scenario? Lorenzo lo suggerisce con dei versi stupendi: “Ma i poeti non dormono aspettando l’alba/i poeti non addormentano i sogni/i poeti sono due su mille/gli altri sono personaggi/in cerca d’autore.”

In definitiva, accogliamo con piacere questo “e-book” di Lorenzo Di Bello, sottolineando la scelta di divulgazione gratuita, cosa che in un attuale panorama editoriale autoreferenziale/narcisistico/mercantilistico è una nota di merito, che tende a materializzare la poesia come “dono” per la fruizione più larga possibile.


Amo la tua tristezza



Amo la tua tristezza
quella che ti si appende al labbro
e ti nereggia lo sguardo.

Amo la tua resistenza
quel “non ti preoccupare”
chiuso in un pugno ribelle.

Amo le tue rinascite,
le lenzuola attorcigliate
intorno ai fianchi,
il tuo sapore vermiglio,
la luna che ti ho legato
baciandoti il collo.

Amo la tua tristezza
sempre perdente
che s’arrende sotto i tacchi
mentre balli al tramonto
e copri il mio cielo di rosso.

1.11.24

Everybody hurts - R.E.M.



La mia rivisitazione:

Ci sono giorni in cui
ci sono montagne
davanti a te
e tu pensi di non farcela

ti vorresti rassegnare
e piangi
ma poi pensi
che tutti piangono un pò
tutti soffrono

senti una voce
che ti chiama da lassù
e alzi la mano
si c’è qualcuno lassù

eri certo di essere solo
ma ti sbagli
e ti commuovi
perché sei vivo

piangere è giusto
quando si è vivi
tutti piangono
tutti soffrono
perché sono vivi.

29.10.24

Slegata



Ti tenni stretta
tanto stretta
da farmi male ai sogni
con il cuore slegato
volasti via
col vento della poesia.


18.10.24

La bolla



Nel grigiore sanguigno
di una masticata routine
mi soffiasti come bolla
avvinta da meraviglia.

Con le pupille avvampate
mi tenesti negli occhi
fino al deflagrarmi.

Ti sembrò doloroso
per il tempo infinito
della vita di una bolla.

16.10.24

Sutura



Due corsie. Il deserto delle fazioni, chiasso di sabbie verbali, frolla intorno. La miopia non permette di capire che, in fondo, c’è una sutura.
Il miraggio di procedere verso un sole menzognero, contro una reale retromarcia di barbarie.
E tu sei lì, percepisci l’orrenda bellezza della foto.
Forse capitoli, ti arrendi, forse accelleri a cuore stanco, ad occhi sbarrati.
No non puoi, hai delle lame sotto pelle, nello stomaco, qualcosa che ha la fragranza del Fuoco primordiale. Qualcosa che sa di Terra.
E scrivi, come ti viene, come detta il pianto dell’Anima.

10.10.24

Intarsio di mani



Frango le mani
d’armonie disattese
esacerbate note
su accartocciati pentagrammi.

Ma vi fu un tempo
di mani anelanti
precisi incavi di falangi
che tenevano stretta
la musica del fuoco
l’avvitamento di corpi
perifrasi di sensi sfiniti
danzare a tempo sul mondo.

7.10.24

Convogli d’autunno



Ottobre
sale sul predellino
di un trenino di nuvole.
Cincischia il sole,
e ciarla di calma sopraffina.

Solo il mio cuore
rumoreggia scomodo
innervando versi
genuflessi al ricordo
d’irripetibili stagioni.

5.10.24

Ecchimosi



Il tuo passaggio
fu squarcio
di tela frusta
argine e stallo
di anonimo fluire.

Fu trionfo
di sapide baccanti,
inverso costrutto
del tempo mortale.

La tua presenza
fu dieresi
d’insipidi monologhi
dolce ablazione
di morti continenti.

Fu ganglio
di carnosi artigli
viluppo di braci
catartica nemesi.

Il tuo dissolversi
fu squarcio di lama
aneddoto del Diavolo
torsione bulimica
di Spazio e Tempo.

Ora accarezzo
le ecchimosi del cuore
e le mostro al mondo
con le braccia sollevate
nel cielo della poesia.