10 maggio 2020

La saga di Gilgameš



Era distratto
quel giorno Gilgameš
scrutava i confini del mondo
palleggiando con la Terra
sui gradini del tempo
freestyle in canotta
la grazia di un bulldog.

Sotto gli Archi di Vanagloria,
Mestizia e Furore
tiravano a dadi
la sorte degli apogei:

“lei è morta ma non sepolta
lei è sepolta ma non è morta
lei è morta ma non sepolta
lei è sepolta ma non è morta”.

E un Sudario
infracidito di Senso Comune
organicamente spaiato
copriva vergogne sataniche.

“Ma qual è il geomètra
chetuttosaffige?”

Sbalestra la bussola
puntando la prora decisa
sulla rotta dove Angeli e Demoni
si rincorrono su dune di corallo.

Ištar sporge i seni
offrendo voluttà
ma i denti da vampira
affondano nel cuore.

Hubaba lo spaventa
nella Foresta dei Cedri,
lo bracca il Toro Celeste
sul Mare della Morte.

“Ho ucciso divinità
per fuggire dal dolore:
dove sei Utanapistim?
hai sconfitto il Diluvio
rovescerai la mia clessidra.

Ma il serpente ha divorato
la Pianta della Gioventù:
sono solo Gilgameš
e non sarò immortale
non posso più giocare
con la Terra e con il Fato.

Enkidu, amico mio,
mi hai letto deferente
la scritta sul fondale
del Tempio dei Morti
dove stalattiti di ghiaccio
colavano pece fumante
su piaghe purulente:

lei è morta ma non sepolta
lei è sepolta ma non è morta
lei è morta ma non sepolta
lei è sepolta ma non è morta”.

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