25 dicembre 2021

La collezionista di sogni

 

La vidi la prima volta mentre correvo affrontando uno dei miei percorsi preferiti.
Quando il tempo non è eccessivamente umido mi piace battere sentieri misti dove il fuoristrada ti resetta i polmoni e i giochi di luce e ombra creano effetti stupendi. Su uno di questi sterrati si deve passare sotto un vecchio ponte in muratura che unisce gli orli di un terreno padronale. È un breve tratto di un antico torrente di acqua piovana, oramai secco, forse inghiottito dal cemento, quelli che chiamiamo “mene” in vernacolo.
Da lontano mi parve di intravedere un sacco sotto il ponte. Quando raggiunsi gli ultimi cespugli mi resi conto che si trattava di qualcos’altro.
C’era un corpo seduto avvolto da una coperta.
Mi fermai, un po’ incerto e curioso. Il corpo apparteneva ad una donna. Me ne resi conto dai lunghi capelli neri, abboccolati in un inestricabile caos riccioluto, che circondavano un viso aggrottato, appena visibile dalla coperta color marrone pallido.
Ma quello che aveva colpito in modo singolare la mia attenzione, era una seconda coperta, stesa a terra a fianco alla donna, sulla quale, ammassati, c’erano tanti libri. Mi avvicinai. Libri di poesie. Prevert, Neruda, Baudelaire, Pessoa, Merini, Garcia Lorca…
La donna, che pareva assopita, alzò il viso e mi fulminò con due opali che parvero farmi una radiografia.
“Ciao” - le dissi - “Vendi libri usati?”
“Colleziono sogni.” - rispose.
Si liberò dalla coperta e mi indicò i libri.
“Ognuno di loro ha sparpagliato sogni nell’etere e io li raccolgo e li porto con me”.
Vidi che indossava una felpa e dei pantaloni di due misure più grandi, scoloriti e sdruciti. Ai piedi aveva degli scarponi di due colori diversi, uno dei quali aperto da un lato. Ma non riuscivo a comprendere come mai non emanasse trascuratezza, ma anzi, una forza attrattiva inesplicabile.
“Anch’io scrivo poesie” - dissi.
“Lo so, ecco perché mi hai trovato” - rispose.
Doveva avere qualche rotella fuori posto, pensai. Così la salutai e mi rimisi a correre.
Da allora ogni volta che calcavo quel percorso, lei era sempre là con i suoi scarponi, i suoi capelli ricci, la sua aura indefinibile e la sua coperta di libri. Solo che essi erano sempre meno numerosi e ogni volta diversi.
Un giorno portai con me il mio libro di poesie.
Corsi fino al ponte e lei era là. Ma quella volta era in piedi e sembrava attendermi.
“Ti ho portato il mio libro.”
“Ci hai messo tanto” - mi disse - “io l’ho già letto, ma era necessario che lo avessi qui con me.”
Ma come poteva averlo già letto? Mah! Era proprio un pò svanita!
Le lasciai il libro e ripresi la corsa, ma poi mi voltai e vidi che mi salutava con il braccio alzato.
Era la vigilia di Natale quando decisi di rifare quel percorso. Arrivai nei pressi del ponte ma non c’era nessuno. Mi fermai per cercare delle tracce di una sua recente presenza. Nulla.
Poi alzai gli occhi e vidi la scritta.
Con una grafia incerta sul muro dove lei si sedeva c’era una frase:
“Papà tuo ti saluta”.
Rimasi a lungo sotto quel ponte.
Si mise a piovere sui cespugli e sulla vita intorno, ma quelle che bagnarono i miei occhi furono lacrime di gioia.

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