Quella sera si dovevano vedere. E in lui si agitavano onde contrapposte. Come sempre. Era trascorso un pò di tempo dall’ultima volta e non vedeva l’ora di toccarla, di sentire il suo profumo, di farla divertire e donarle attimi di felicità. Erano momenti in cui chiudevano il mondo fuori, insieme alla precarietà e le contraddizioni proprie di un rapporto costretto a nascondersi alla luce del sole. D’altra parte, forse anche per le problematiche di quella situazione, quando si dovevano incontrare, lui si faceva inchiodare dall’ansia. Percezione di inadeguatezza, paura di deluderla, sensi di colpa mai sopiti. Lei però aveva la capacità di azzerare tutto, rivoltando le sue paure come calzini e sistemandogli i pensieri nella mente con una metodica che applicherebbe una governante in un disordinato ripostiglio.
Si tranquillizzò un pò pensando che, sicuramente, anche questa volta sarebbe andata così.
Salì velocemente a piedi le quattro rampe di scale, entrò nell’appartamento e si chiuse la porta alle spalle.
Il suo sorriso lo accolse come un vento fresco in una torrida giornata estiva.
La baciò, prima sulla fronte, poi sul naso e poi sulla bocca. Odorava di massa e glielo disse.
“Si, in effetti ho preparato una pizza.”
“Ma l’hai fatta riposare sulla pancia?”
“Scemo!”
Risero e fu subito casa, sincronia, complicità. Le aveva portato un gelato, alla frutta, cosa che la faceva impazzire.
“Mmmmm! Grazie amore!”
Si sedette a tavola e notò la TV accesa. Stavano trasmettendo un documentario.
“Cosa stai guardando?”
“Niente di che, parlano dei fenicotteri.”
La voce fuori campo stava dicendo:
“…e si fermano in gruppi anche numerosi tutti su di una sola zampa…”
“Hai sentito? Che strano.”
“Si” rispose lei con voce annoiata “sembra che riescano a riposare meglio così.”
La spiegazione sembrò soddisfare la curiosità e l’aroma della pizza s’impadronì dell’attenzione generale.
Le loro conversazioni sfioravano appena le vicende di tutti i giorni, salvo non fosse accaduto qualcosa di veramente importante. Lui lavorava come capo servizio nelle ferrovie, ma fin da bambino amava la pittura e aveva anche esposto opere in qualche galleria locale. Lei insegnava inglese alle scuole medie, ma nei ritagli di tempo, suonava il violino. Per questo quasi sempre finivano per far l’amore dopo che lui le mostrava qualche bozzetto e lei gli strimpellava sopra, ispirata dai suoi soggetti.
Si amavano con la dolcezza e la furia che le loro anime dettavano ai corpi.
Lui, immancabilmente, alla fine piangeva, come se non ci fosse stato domani.
Quella sera però accadde che mentre si preparava per andar via, chissà per quale motivo, gli tornò in mente il documentario con quelle strane immagini dei fenicotteri tutti inquadrati in file ordinate e tutti che si reggevano su di una zampa.
Si salutarono con la solita passione. Non pensò più ai fenicotteri.
Ma fu anche l’ultima volta che la vide.
Erano passati anni e lui era sempre rimasto con una nuvola di domande in testa che lo seguiva dappertutto. Aveva ormai rinunciato a cercare ostinatamente delle risposte a quelle domande, ma, se avesse potuto, le avrebbe volentieri cancellate battendo ferocemente la “x” sulla tastiera della sua vita. Non si era mai più innamorato e i suoi disegni facevano una ben triste fine nel cestino della carta straccia. Vagava spesso per le strade del paese e ogni strada, ogni vicolo, ogni piazza, persino ogni marciapiede lo rincorreva con la frase: “Qui sei stato con lei, ricordi?” Si, purtroppo ricordava tutto con precisione. Ogni gesto, ogni battuta, ogni risata, erano maligni scherzetti che lo attendevano al varco.
Una mattina si ritrovò sul molo del faro, circondato da gabbiani querulanti. In lontananza potè scorgere una figura eretta sull’orlo della banchina. Si avvicinò e si rese conto che era una ragazza con accanto una sedia a rotelle. Ma la ragazza era in piedi e si reggeva su di una sola gamba! Con cautela le si accostò. Poteva avere una quindicina d’anni. Quando si accorse della sua presenza, le rivolse la parola.
“Buongiorno, ti serve aiuto?”
“No grazie, è molto gentile, ma sono a posto.”
“Ma come fai a resistere?”
“Non è difficile. Lo faccio spesso.”
“Cosa ti è accaduto?…se posso chiedere…”
“Ho avuto un incidente anni fa. Ho fatto tanta riabilitazione, ma in realtà non era solo l’esercizio fisico la cosa di cui avevo più bisogno.”
“E di cosa?”
“Avevo perso un pezzo di me, importante, quasi fondamentale. All’inizio mi sentivo persa, non avrei più camminato, la vita mi sembrava una cosa ordinaria, senza più slanci. Poi all’improvviso ho capito che dovevo rialzarmi, che quel pezzo di me in realtà non l’avevo perso, ma l’avevo solo accantonato e la mia anima lo aveva conservato. Ora ogni volta che voglio ringraziarla, questa meravigliosa vita, mi alzo sulla gamba rimasta e ne sento di nuovo due, saluto il cielo e ritorno a sorridere.”
Lui la guardò con ammirazione e, come d’incanto, gli tornò in mente il documentario.
“Ti ringrazio tanto, posso abbracciarti? Non sai che regalo mi hai fatto oggi”.
Si allontanò con una nuova luce negli occhi: aveva scoperto la lezione dei fenicotteri.