29.1.25

Dimmi se hai sete



Questa notte
raccontami di te
del rossetto sbavato,
di quel tacco spuntato
e di quegli spaghetti improvvisati
un pò scotti ed un pò tristi.

Raccontami del tuo orgoglio
masticato con gusto,
e di quel bacio sulla fronte
alla bambina cresciuta in fretta.

In questa notte inutile
di lacrime e preghiere
dimmi se hai sete,
se ti serve un ritornello,
se cerchi ancora
un brivido sottolineato
al quarto verso
della nostra poesia.

24.1.25

Il bar delle briciole



Dopo tanti anni
sono tornato in quel bar
dove ci rubavamo gli sguardi
e le dita si sfioravano
su tazzine compiacenti.

Avevamo poco tempo,
sempre poco, maledetto tempo,
ma che importava,
se ci attendeva il “per sempre”.

Un caffè decaffeinato per te,
il mio cappuccino,
ed il malizioso cornetto
diviso in due baci.

Che bizzarro quel bar
dove ci guardavano tutti,
ma non c’era nessuno.

Che teatro quel bar
dove ci ignoravano tutti,
ma era pieno di occhi.

Andavamo via
con le briciole addosso
che ci rammentavano
per tutto il giorno
di esserci amati lì,
in quel bar
sotto il tavolino
tra i benpensanti.

Dopo tanti anni
sono tornato in quel bar.
Ma non c’era più il bar,
nè le tazzine,
nè le briciole.
La gente aveva altro da fare.

Non c’eri più neanche tu
anche se,
guardando meglio,
ti baciavo ancora.

Parole senza meta

📷 Jean Cocteau, Il sangue di un poeta, 1930


Inaridirsi di parole
anarchiche
è chiacchiericcio
senza meta,
bulimismo stoico,
riflesso condizionato
dal rifluire
in un Nulla cosmico
dove Ulisse
annega
nell’assenza di Penelope.

19.1.25

Le poesie si scrivono da sole. (Rincorrendo Bukovski)



Sai che mi succede?
Non come fanno altri che si siedono sotto un albero, guardano la luna e poi pensano: “Ora le scrivo qualcosa di bello.”
No no, per niente.
A me accade che trovo una tavola apparecchiata di parole, musica e tanto profumo di te. E non parlo di Chanel, io dico il tuo sudore, il tuo stupendo odore di donna scalza e spettinata dopo una notte d’amore e barzellette sconce. Non devo fare nessuno sforzo, tipo mettere una parola di qua ed una di là, inventare verbi o piazzare metafore e ossimori. Le parole prendono un disordine preciso seguendo le nostre follie, girano in tondo al tuo corpo, si bevono tutto il vino, si sparpagliano come sale, si mescolano e vibrano. Oh, quanto vibrano. Mi portano via lontano, in alto, ma sempre con la tua mano nella mia mano. E non so mai dove arriveremo, amore mio. Ma qualunque posto sia, anche l’inferno, troveremo lì pronte le nostre poesie, ad aspettarci, a prenderci in giro, a disegnare sogni, a danzare su fogli imbrattati di stelle.

Le lacrime della luna



Le poesie
sono lacrime raccolte
dalle guance della luna
una sull’altra
fanno una scala d’argento
per raggiungere
le dimore celesti
degli amori dispersi.

Siamo ciò che si vede?



La nebbia
iato tra l’essere e il possibile,
oscuro attonito frantumarsi,
elisione di pulsioni,
costrizione a fermarsi
sull’orlo del dubbio
tra ciò che vorremmo scrutare
e l’infinita probabilità
di più mondi invisibili
dove nuota l’amalgama
di anima e materia.

12.1.25

Scritture brevi: La lezione dei fenicotteri



Quella sera si dovevano vedere. E in lui si agitavano onde contrapposte. Come sempre. Era trascorso un pò di tempo dall’ultima volta e non vedeva l’ora di toccarla, di sentire il suo profumo, di farla divertire e donarle attimi di felicità. Erano momenti in cui chiudevano il mondo fuori, insieme alla precarietà e le contraddizioni proprie di un rapporto costretto a nascondersi alla luce del sole. D’altra parte, forse anche per le problematiche di quella situazione, quando si dovevano incontrare, lui si faceva inchiodare dall’ansia. Percezione di inadeguatezza, paura di deluderla, sensi di colpa mai sopiti. Lei però aveva la capacità di azzerare tutto, rivoltando le sue paure come calzini e sistemandogli i pensieri nella mente con una metodica che applicherebbe una governante in un disordinato ripostiglio.
Si tranquillizzò un pò pensando che, sicuramente, anche questa volta sarebbe andata così.
Salì velocemente a piedi le quattro rampe di scale, entrò nell’appartamento e si chiuse la porta alle spalle.
Il suo sorriso lo accolse come un vento fresco in una torrida giornata estiva.
La baciò, prima sulla fronte, poi sul naso e poi sulla bocca. Odorava di massa e glielo disse.

“Si, in effetti ho preparato una pizza.”
“Ma l’hai fatta riposare sulla pancia?”
“Scemo!”

Risero e fu subito casa, sincronia, complicità. Le aveva portato un gelato, alla frutta, cosa che la faceva impazzire.

“Mmmmm! Grazie amore!”

Si sedette a tavola e notò la TV accesa. Stavano trasmettendo un documentario.

“Cosa stai guardando?”
“Niente di che, parlano dei fenicotteri.”

La voce fuori campo stava dicendo:

“…e si fermano in gruppi anche numerosi tutti su di una sola zampa…”

“Hai sentito? Che strano.”
“Si” rispose lei con voce annoiata “sembra che riescano a riposare meglio così.”

La spiegazione sembrò soddisfare la curiosità e l’aroma della pizza s’impadronì dell’attenzione generale.
Le loro conversazioni sfioravano appena le vicende di tutti i giorni, salvo non fosse accaduto qualcosa di veramente importante. Lui lavorava come capo servizio nelle ferrovie, ma fin da bambino amava la pittura e aveva anche esposto opere in qualche galleria locale. Lei insegnava inglese alle scuole medie, ma nei ritagli di tempo, suonava il violino. Per questo quasi sempre finivano per far l’amore dopo che lui le mostrava qualche bozzetto e lei gli strimpellava sopra, ispirata dai suoi soggetti.
Si amavano con la dolcezza e la furia che le loro anime dettavano ai corpi.
Lui, immancabilmente, alla fine piangeva, come se non ci fosse stato domani.
Quella sera però accadde che mentre si preparava per andar via, chissà per quale motivo, gli tornò in mente il documentario con quelle strane immagini dei fenicotteri tutti inquadrati in file ordinate e tutti che si reggevano su di una zampa.
Si salutarono con la solita passione. Non pensò più ai fenicotteri.
Ma fu anche l’ultima volta che la vide.

Erano passati anni e lui era sempre rimasto con una nuvola di domande in testa che lo seguiva dappertutto. Aveva ormai rinunciato a cercare ostinatamente delle risposte a quelle domande, ma, se avesse potuto, le avrebbe volentieri cancellate battendo ferocemente la “x” sulla tastiera della sua vita. Non si era mai più innamorato e i suoi disegni facevano una ben triste fine nel cestino della carta straccia. Vagava spesso per le strade del paese e ogni strada, ogni vicolo, ogni piazza, persino ogni marciapiede lo rincorreva con la frase: “Qui sei stato con lei, ricordi?” Si, purtroppo ricordava tutto con precisione. Ogni gesto, ogni battuta, ogni risata, erano maligni scherzetti che lo attendevano al varco.
Una mattina si ritrovò sul molo del faro, circondato da gabbiani querulanti. In lontananza potè scorgere una figura eretta sull’orlo della banchina. Si avvicinò e si rese conto che era una ragazza con accanto una sedia a rotelle. Ma la ragazza era in piedi e si reggeva su di una sola gamba! Con cautela le si accostò. Poteva avere una quindicina d’anni. Quando si accorse della sua presenza, le rivolse la parola.

“Buongiorno, ti serve aiuto?”
“No grazie, è molto gentile, ma sono a posto.”
“Ma come fai a resistere?”
“Non è difficile. Lo faccio spesso.”
“Cosa ti è accaduto?…se posso chiedere…”
“Ho avuto un incidente anni fa. Ho fatto tanta riabilitazione, ma in realtà non era solo l’esercizio fisico la cosa di cui avevo più bisogno.”
“E di cosa?”
“Avevo perso un pezzo di me, importante, quasi fondamentale. All’inizio mi sentivo persa, non avrei più camminato, la vita mi sembrava una cosa ordinaria, senza più slanci. Poi all’improvviso ho capito che dovevo rialzarmi, che quel pezzo di me in realtà non l’avevo perso, ma l’avevo solo accantonato e la mia anima lo aveva conservato. Ora ogni volta che voglio ringraziarla, questa meravigliosa vita, mi alzo sulla gamba rimasta e ne sento di nuovo due, saluto il cielo e ritorno a sorridere.”

Lui la guardò con ammirazione e, come d’incanto, gli tornò in mente il documentario.

“Ti ringrazio tanto, posso abbracciarti? Non sai che regalo mi hai fatto oggi”.

Si allontanò con una nuova luce negli occhi: aveva scoperto la lezione dei fenicotteri.

4.1.25

Scritture brevi: Tu sei così fragile



Un giorno potrebbe accadere che vi siano rivolte queste parole. Allora fermate con una mano il tempo e lasciatevi toccare con dolcezza dalla delicata sinestesia innescata dalle labbra che le ha pronunciate. 
Improvvisamente tutte le maschere, le corazze, i volti, le resistenze di cui avete dotato il vostro background vengono oltrepassate. È tutto un ferrovecchio, un superfluo, un armamentario desueto. Chi vi ha guardato in trasparenza ha delle facoltà che credevate appartenere alla sfera dei miracoli.
Tenetevi stretta quella persona che ha rinvenuto la chiave della vostra serratura più intima. Quella chiave che avevate scagliato via con rabbia tra le onde di una spiaggia deserta e senza luna.
Tenetevi strette quelle dita che hanno scavato l’argilla nel vostro cuore, tirando fuori quel piccolo, piccolo “meglio” che sopravviveva, tra mille stenti e rimpianti.
Tenetevi stretta la lente di quell’anima che ha osservato i minuscoli pezzetti in cui si era frantumata la vostra fantasia e li ha ricomposti sul palmo della mano, con la colla dell’affinità, perché li ha riconosciuti simili ai suoi.
Tenetevi stretti quegli occhi che hanno guardato lontano per scoprire nudità che erano vicinissime, ma che neanche voi immaginavate potessero ancora esistere.
“Tu sei così fragile” è la mano che ti accarezza le ombre, la sutura delle ferite nei tuoi pensieri, la cieca fiducia che avevi nascosto chissà dove.
“Tu sei così fragile” è la parola “fine” che manca nelle vecchie poesie e insieme la parola “ancora” che manca in quelle nuove.