18.3.22
Pareti di cristallo
Districarsi
tra ombre impaludate
è sovrumano
per l’ergersi quotidiano
dell’alato senso.
Avvezzo allo spazio
da decifrare in volo,
mortifico il canto
libero e folle
dell’usignolo in amore.
Pareti di cristallo
mi circondano l’ego
che annaspa incredulo
della pochezza umana
farcita di tragedia.
Tornare ad abitare
la magione del sogno,
bucare la corteccia
custode di intimità
nude di ingenuo furore,
è missione salvifica
dell’eterno poeta,
straziato dal pantano
dove muore la missione
di rincorrere le rondini.
Cjà succèsse a ‘stu mōnne (Cosa è successo al mondo)
Cjà succèsse a ‘stu mōnne
nan ng’é chēnòssceme chjù
nan sime chjù frète
cum vulêve u Crïetóre
nan sēpìme vulêrce béne
nan ng’é salutème chjù
i né stēme a preghè a mòrte!
Tòtte stì crístiéne che fóscene
j-índe ù frídde sòtte a nêve
sènze mangè sènze vèvre
sènze chjù ‘nē chèse
sènze ‘nē chērèzze i ‘nu vèse.
I chidde peccìnne
nan tenêne chjù lácreme
nan sēpene chjù scjuchè
cjà fìne ana fē?
Mē cjà succèsse a ‘stu mōnne
addò se sckaffète l’ēmóre?
Addò se àcchje Críste?
Fàtte vedê! Dìne qualchi còse!
Chènge a chèpe di crístiéne
appècce ne lúsce de sópe
purcê stēme a u scúre
i nan putême scé ‘nnènze!
Cosa è successo al mondo
non ci conosciamo più
non siamo più fratelli
come voleva il Creatore
non sappiamo volerci bene
non ci salutiamo più
e ci stiamo augurando la morte!
Tutta questa gente che fugge
nel freddo, sotto la neve,
senza mangiare nè bere,
senza una casa,
senza una carezza e un bacio.
E quei bambini
non hanno più lacrime
non sanno più giocare
che fine faranno?
Ma cosa è successo a questo mondo?
dove si è nascosto l'amore?
Dove si trova Cristo?
Fatti vedere! Dì qualche cosa!
Cambia la testa delle persone
accendi una luce da lassù
perchè qui siamo al buio
e non possiamo andare avanti!
Ho paura
Ho paura.
Stringimi
fammi entrare
nella culla del tuo sorriso.
C’è un’onda
al sapore di latta
che attanaglia le viscere.
Ho paura.
Parlami
coprimi il capo
cantami la gioia
del vento di primavera.
C’è rumore di tacchi
calpestano fotografie
in rosse pozzanghere.
Ho paura.
guardami
baciami i capelli
raccontami il mare
le tue impronte sulle mie.
Ci sono fulmini
che spaccano il mondo
silenzio di corpi
bambini volanti.
Ho paura.
Tienimi amore
tienimi i sogni
in braccio con i tuoi
lanciamoli lontano
oltre questo buio
di sassi e di coltelli.
Il giorno dopo la nevicata
Il giorno dopo la nevicata
il cielo si siede paziente
avvolge i suoi rimbrotti
in un silenzio autorevole.
Nei nidi le mamme
spazzolano le ali
che coprivano i piccoli
cinguettando d’amore.
I colori appena sbocciati
si guardano attorno
increduli e timidi.
Precipita la pace
in un invaso di tuono
e vorremmo donare
questo spicchio di calma
al mondo che rugge.
2.3.22
Le mani di Kiev
Ci sono tante mani nella notte di Kiev.
Mani che stringono fianchi
che incoraggiano, che aiutano.
Mani che dirigono orchestre
di strumenti mai visti
che scrivono versi rubati
alla paura del buio.
Mani sudate, mani callose
mani giunte,
mani vuote di senso
mani piene di sogni.
Ci sono piccole mani
che hanno appena
imparato a giocare
e si asciugano gli occhi.
Ci sono mani che salutano
e che segnano la strada.
Mani che disegnano ombre
sui muri dell’ignoto.
Mani che si fanno brocca
mani che lanciano baci.
Mani intrecciate
a forma di cuore,
mani che scavano fosse.
Tante mani nella notte di Kiev.
Vorrebbero raccogliere stelle
e farne corone di speranza.
Ma dal cielo spargono briciole di morte
e le mani fuggono abbracciate.
Ci sono tante mani nella notte di Kiev
e fuori nel mondo
tante mani che lavano mani.
25.2.22
Visita gradita
Quando alla tua porta
bussa la malinconia
sii gentile
falla accomodare
è molto stanca
dopo aver percorso
chilometri fatti pensieri
offrile
una tazza piena
di colori e ritornelli
falle visitare
i ripostigli del tuo cuore
dove hai stipato la dolcezza
apri le finestre
riempile i polmoni di vita
falla passeggiare
nei profumi ammalianti
della gratitudine
ti lascerà delicata
voltandosi sulla soglia
con la promessa di rivedersi
quando ti perderai di nuovo
dietro le curve del silenzio.
14.2.22
Ti amo donna (S.Valentino 2022)
Ti amo donna
partorita dai sogni
essenza di giubilo
vera come una ferita
gracile come quercia
ti amo donna
eleganza di stella
docente d’amore
brio e follia
fragranza d’eterno
ti amo donna
per le tue piaghe
per la tua tana
scavata da bruti
per le tue sconfitte
per le tue risurrezioni
ti amo donna
perché comandi le nuvole
in un cielo rattristito
per le tue tempeste
che preludono le albe
ti amo donna
per tutti i tuoi giorni
quelli pieni e quelli vuoti
per la tua testa alta
per i tuoi slanci
e per le tue picchiate
ti amo donna
per esistere nel mondo
e camminare sui carboni
roventi di rabbia
e innaffiati dalla tua grazia
ti amo infine
per la tua somiglianza
ad un miracolo
nascosto immacolato
nel cuore dell’universo.
12.2.22
Le mie dita
Le mie dita
tamburellano
sul bordo mistico
dove incrociano
amore e follia.
È un ritmo maniacale
che alterna
corsi e ricorsi
un ritornello d’avanzi
consumato in fretta
prima di farsi letale.
Continuo
ad assembrare lampi
in un cielo viziato
brulicante nemesi
in fragore di vuoti.
Ci fu un tempo solare
in cui le mie dita
disegnavano mappe
sulla tua schiena
stracciando il futuro
appallottolato
in confusione di baci
avidamente sperduti
in celesti labirinti
senza fine.
Sorridimi
Sorridimi
quando rulla
il crudo tamburo
del silenzio
e striscia l’ombra nera
avvinghiata alla persiana
quando mi sporgo
dal parapetto della noia
tentato dal tuffo
che rincorra il mio sogno
sfuggito come rondine.
Sorridimi
in equilibrio sul crinale
dove s’addormentano i venti
appollaiato
al fragile quotidiano
che m’inabissa di sale.
Sorridimi
e navigherò felice
sulle tue labbra
sciogliendomi di rosso
al sapore di fragola.
4.2.22
Lampare
Quando stai
per svoltare
la pagina della notte
umetta
i polpastrelli del sogno
ti aspetta
il capitolo più bello
quello del volo radente
a picco sul mare
dove si accendono
le piccole lampare
della poesia.
Decolli
Il vento
ha un senso
se girovaga
nelle anse
del rimpianto
se rinfocola
capillari lesi
dall’assenza
se intona
concerti
al titubante
decollo
dell’anima.
ha un senso
se girovaga
nelle anse
del rimpianto
se rinfocola
capillari lesi
dall’assenza
se intona
concerti
al titubante
decollo
dell’anima.
Non sarà
il tempo che passa
a sgualcire
i cuscini di stelle
dove riposa
perenne il ricordo
della tua vita
incastrata
sulla mia orbita.
Verrà un tempo (2)
Verrà un tempo
che ti vedrà
sul dondolo dell’attesa
cestino di rughe scomposte
sfruculiare foto sbiadite
malìa d’incensati anni.
Sul capo un pendolo
di forsennati dubbi,
levigate piattezze
dove hai consumato
grevi trionfi di Nulla.
Ci giravi in tondo
con mefistofelici tocchi
gaudente di maschere,
betoniera di sogni,
ancella di vanità e vacuità.
Sul tuo ultimo dondolìo
comprenderai attonita
che smarristi l’unico sarto
che t’avrebbe vestita di poesia,
l’unico magico elisir
che avrebbe trasformato
le tue rughe in sentieri d’argento,
scolpita d’alabastro,
bella, tremendamente bella
per sempre.
29.1.22
L'ultima pagina
L’ultima pagina da sfogliare
ti capita
quando il mattino
non ha fate sorridenti,
carrozze e cavalli bardati,
cappelli di Merlino,
astronavi e sottomarini.
L’ultima pagina
ha righe veloci
troppo lunghe da inseguire
e tu provi affanno
ritornelli afoni
e la fantasia fulminata.
Ecco perché
apro gli occhi
con la giusta titubanza
felice di trovarmi
a frequentar le favole.
Il dono della Luna
Quando guardi dalla finestra
cercando risposte
con le tue volontà appannate
disegnando alfabeti sconosciuti
con le dita umide di tristezza,
non aver paura
di spalancare il tuo cuore:
qualcuno sta aspettando lì fuori
per regalarti la luna.
A Lorenzo (In morte di Lorenzo Parelli, 18 anni caduto sul lavoro il 21 gennaio 2022)
Così sarai pronto
ti dicevano
ad entrare nel mondo
non certo a uscirne.
Questo indecente tritacarne
che macella a cottimo
vecchi e giovani cuori.
Così sarai pronto
giacula il verme liberista
la mano inguantata
sulle leve dell’ingranaggio
che ti ha mangiato l’anima.
Potevi essere l’ingegnere
di altre macchine perfette
potevi scrivere di sole e di vento
o insegnare a parlare i pettirossi.
Potevi saltare nello spazio,
innamorato fino all’osso
e guardare negli occhi
le code delle comete
come fanno di solito gli angeli.
Ma ti dicevano che
così potevi esser pronto.
E ora la polvere insensata
copre i tuoi passi di gioia
e la melma dell’indifferenza
avvolge i Palazzi del potere.
Quella parte nascosta
La mia sfida
è sempre stata
svelare
la parte nascosta:
quella faccia di Luna
che occhieggia
fra crepe di dolore.
Le offro ogni giorno
i miei fiori di versi
scegliendo i più semplici
quelli che si reggono da soli
sulle gambe dell’infinito.
Mi accaso recidivo
al suo balcone invisibile
per le mie ridicole serenate
e ogni sorriso che cade
sulle mie labbra perse
mi porta per mano
alle porte del firmamento.
Gelide attese
Fiori di ghiaccio
coprono esauste corolle
e il vento geme
nordiche fantasie
incartate e imbevute
d’irreale silenzio.
Ovattato
il mio frugare illuso
tra dune nebbiose,
perversione di flashback
mi percorre il dorso.
Attendo
una stagione lontana
che tracimi rose
su di un corpo dorato
ampolla di sogno.
Sulle spalle
Mi stanco - Anchise -
di portarti sulle spalle
oberato di ricordi,
mezzelune che fendono
le mie false verità.
Allora ti getto da un lato
come un tappeto srotolato
e mi spazzolo la noia.
Mi spazzolo e mi spazzolo
ancora più in profondo
là dove s’aggrappano
tentacoli disperati d’inedia.
Ma niente:
è polvere radioattiva,
pulviscolo grondante sale,
ruggine di gigabyte.
Sono io, il tappeto.
E ti guardo e mi piango.
Mi salto sulla schiena
e riprendo a trascinarmi:
le ferite sono cunicoli
dove trovo casa
barricandomi di buio.
Vienimi a trovare
Vienimi a trovare
nelle notti di rughe
sui guanciali dell’opaco
nelle ragnatele di bambagia
fra le voci avvizzite delle ombre.
Vienimi a toccare
sulle labbra alle finestre
sulle foto raggelate alle pareti
sulle costole marchiate di finzione
sui polsi ammanettati di vento.
Vienimi ad accarezzare
sulle guance di tempesta
sui pensieri gabbiani fuori rotta
sui sogni ruzzolati dalle tasche
sulle vertebre dei pentimenti.
Vienimi a salutare
prima d’impallidire
prima di svoltare le colline
prima di dimenticarmi.
14.1.22
Presentazione di "Dissonanti sinapsi" - Biblioteca Rendella - Recensione Lorenzo Di Bello
Ferruccio, che io conosco dall’infanzia e con cui sono cresciuto, ha avuto la fortuna di avere due straordinari genitori: sua madre Gemma e suo padre Remigio.
Gemma, una donna che Ferruccio celebra e descrive pubblicamente come donna coraggiosa, dal carattere forte e con animo nobile e spirito antifascista nei versi, non compresi in Dissonanti Sinapsi, "C’era la guerra / c’erano le bombe/ poco più che ragazzina/ hai salvato tanti soldati/gli hai portato vestiti, pane, acqua/ li hai nascosti / li hai protetti/ …… mi hai donato la vita/ mi hai donato la tua forza/ ……grande donna, grande anima".
Remigio, il padre Professore, Avvocato, Sindaco di Monopoli, letterato e apprezzato Poeta. Due genitori che risultano essere stati protagonisti della storia democratica della ricostruzione post bellica della nostra Monopoli.
Ferruccio ha sempre vissuto nella sua Monopoli tranne gli anni di studio a Siena per il corso di laurea all’università, per cui è senza dubbio un Monopolitano verace.
La raccolta Dissonanti Sinapsi è stata elaborata nel corso degli ultimi dieci anni, nella piena sua maturità, con sincera onestà intellettuale e morale.
Affascina e coinvolge da subito il lettore che agevolmente senza sforzo si accorge in un crescendo boleriano della autenticità e della originalità del suo pensiero e della sua filosofia sottesa in ogni verso.
La sua è essenzialmente poesia passionale e di speranza in un sempre migliore esito delle umane sorti e progressive, ed alcuni versi in particolare sono emblematici e significativi che mi piace richiamare tra questi:
In IL TRAPEZISTA pag. 13: “…sono pronto mi lancio con te nell’infinito amico trapezio ignaro del mio folle desiderio” che ricorda l’uomo sul filo del padre Remigio.
In DISSONANTI SINAPSI pag. 53: “la notte farfuglia blesa, sminuzzata sotto estranee coltri balbetto inerme scriccioli d’ansia”.
In LA MIA ULTIMA NOTTE CON TE pag. 52 dove la notte ha tirato il sipario sulla scena del poeta: "ora il proscenio attende l’ingresso della vita”.
Ma con una totale voglia, forza e interesse a riprendere all’alba il suo percorso in L’ULTIMA POESIA pag. 39: “Quando scriverò l’ultima poesia non lo saprai ma te la canterò per sempre all’alba di un sole malato radioso di piattezza grigia”.
Per ritrovare luce in ESISTE UN LUOGO pag. 73: "non rassegnandosi al buio incendiandosi e ardendo di piombo fuso squarciando le vene donando passione e piacere fino all’ultimo sussulto”.
E Ferruccio non delude nel volersi esprimere senza riserve intero, integro e ignudo.
Ciò rileva una ricerca di affermazione di libertà che trasuda nei versi e presidia la sua esistenza di uomo e di poeta libero da infingimenti e contaminazioni dell’etica perbenista, e senza il timore di urtare la suscettibilità del potere costituito.
Lontano da Ferruccio è il bisogno di fede nell’assoluto come di lanciare superiori ed estremi messaggi filosofici e meno che mai operare un sindacato verso i limiti della società.
Le sue osservazioni sulla finitezza dell’uomo e di sé stesso sono protese a cogliere i limiti dell’esistenza con uno slancio verso l’ALTRO con cui non vi è soltanto il comune dannato destino da vivere, ma una visione onirica con una linfa speranzosa e ottimistica per il futuro del mondo.
La sua poesia è foriera di una sconvolgente rappresentazione poeticamente ed efficacemente direi su/realistica che viene ad emergere con tutta la forza dell’anima e delle esperienze vissute.
Una poesia non ermetica ma più vicina al surrealismo e nella quale l’aspetto fondamentale del suo pensiero è dato dal trasformare l’uomo e il mondo in uno slancio centripeto verso la progressiva offerta di umanità e nel sentimento catalizzatore della fraternità umana con una pelvica e sotterranea vena di ricerca per la conservazione dei valori nel confronto con la donna complice.
Ferruccio che ha avuto un destino maschio con un fratello Furio e due figli maschi, Remigio e Valerio, riesce ad esprimere una costante lucida capacità di comprendere la forza della donna quale rappresentante dell’amore universale e complice femminile nella ricerca delle risposte da dare con i suoi versi.
I suoi versi che si sviluppano come lampi illuminanti nella escatologica corrispondenza costante con una LEI quale compagna di viaggio e complice rassicurante per la sua esistenza, ma invero, sottacciono una evidente finzione. Infatti, non è la donna (il mondo femminile) ma la realtà sociale e le vicende e i sentimenti comuni che rappresentano la ragione dei suoi pensieri. Ciò attraverso immagini in cui vengono figurati, sebbene in formato dialogante e nel confronto con l’ALTRA, trasmodanti visioni persino cosmiche dove trovare soluzioni e risposte. La donna viene raffigurata nella femmina-natura, in colei che nelle sue ardenti contraddizioni raduna in sè e concilia ogni aspetto della vita cosmica.
E tale obiettivo viene perseguito con i logos delle libere sequenze strofiche della corrente inesauribile delle immagini della Sua poesia al fine di rendere la trama delle immagini composita ed assicurare un giusto risalto delle singole immagini. Egli si pone il problema della punteggiatura la cui tendenza è a limitarne decisamente l’uso per garantire il tono e la durata della pronuncia nel susseguirsi di immagini/universo che vengono costantemente utilizzate.
Il tono della ricerca intorno e dentro di sé, tra cui il mare/terra/cosmo che Lui solca per conoscerli e consegnarceli, lo conduce a cogliere proprie profonde risposte rassegnate nel pensiero districato e liberato dai guazzabugli della mente e dalla lucida vivisezione delle realtà circostanti del mondo.
E il suo approccio è sempre permeato da un animo laico distante dai tradizionali moralismi, con una spinta ad una ricerca costante di condivisione dei sentimenti di solidarietà e delle condizioni di vita altrui, delle passioni della vita e del piacere del comune vivere, sinanco diventando poesia sociale e civile con un pensiero rivolto ai mali del mondo.
E ci consegna immagini a spron battuto ma con sempre lievi soffici baci sulla fronte e strette al cuore per il lettore, confermandoci che il poeta è colui che ispira più che colui che è ispirato.
E per ispirare Lui ha dovuto digerire l’abbondanza dei grandi tra cui sicuramente: Rimbaud, Baudelaire, Prevert, Eluard, Borges, Lorca, Eliot, Pavese, Montale, Pasolini e Alda Merini cui riserva una poesia ai quali non ha rubato niente, ma che nei rivoli dei suoi versi li ritroviamo mescolati magicamente.
Ma a ben vedere si tratta di una poesia che è intrisa nello stesso tempo di chi canta amandoli i grandi cantautori: Dalla cui è dedicata una poesia, Battiato, Guccini, De Andrè, Venditti, De Gregori, ecc. con le cui loro immagini lui ha convissuto senza mai rimuoverle dal cuore.
A ciò si aggiunge la sua passione per la cinematografia e l’arte pittorica.
Ci perviene una poesia che sviluppa non l’insieme “dorsale” dei grandi maestri ma diagrammi che raggiungono un punto di equilibrio sempre nuovo, non solo musicale e non solo sensazionale per la maestria dei versi, ma per la perforante forza e instancabile attenzione delle Sue riflessioni che ad esempio ritroviamo:
In PERCEZIONI DEL NULLA pag. 113: “Cerco di galleggiare in oceani di rabbia mi chiedo il senso se ci sia un dunque al termine del dolore”
In STORIA D’INVERNO pag. 35: “Quando si nasce è come un miracolo che portiamo dentro …il miracolo viaggerà lieviterà e inietteremo linfa vitale a chi la sta perdendo …”.
In PERTUGIO pag. 106: “Ma salgo cado risalgo presto la luce ferirà un pertugio resiliente spaccato sul tramonto e mi fermerò assorto a rimirare gioia”.
In IL CAMPO DEI MERLI pag. 99: “Signore libera questo cielo sanguigno che vomita fuoco e morte quaggiù nel campo dei Merli dove i merli non fischiano più”.
In FEMMINICIDIO pag. 93 “Solo tu donna di strada indosserai quei versi carezze di sole intoccabile al mondo”.
Lui ricerca le proprie guide virgiliane con la coscienza e consapevolezza della conoscenza e maturità delle idee e dei valori di riferimento di un maturo ancorchè incontaminato ed entusiasta poeta. E ciò lascia il segno di come si dovrebbe vivere la poesia: con sforzo, con impegno per profonde riflessioni per accarezzare non tanto e non solo l’orecchio ma l’anima e l’intelletto.
Ferruccio si rappresenta (e non da solo) in un pozzo senza fondo di sensazioni, emozioni e riflessioni che lo rendono poeta del suo tempo ma soprattutto poeta amico e non poeta vate, in un modello concettuale e poetico verso un meglio che deve ancora venire, sia che si è in due o sia che sia un esercito a condividere l’attesa del sogno comune.
E tali sono la Speranza di passione e la condivisione di vita:
in INFERNO di CATARSI pag. 58: “perdendomi con garbo nel tuo labirinto di passione amando la tua profondità sciogliendomi esausto nella tua totalità…Che cos’è la felicità se non trovarsi in cima al poggiolo del tempo che ferino incalza e tracima ipnotica ambrosia essenza globale di te”.
“Ombra che viaggia sui treni del tempo nella speranza di buona vita ovunque sia la tua stazione…” in BINARIO MORTO pag. 70.
E la potenza espressiva e per immagine dei suoi logos tra cui il MARE e il MAESTRALE quale altra significativa costante nelle poesie:
In MAESTRALE pag. 69: “Portami sul dorso del senso fugace rigenera smorte cellule alzami benigno in cima al destino”.
In L’INCROCIO DI DUE FIAMMELLE pag. 74: “La chiave del mio destino affidata al maestrale e chi la raccoglierà…offrendosi alla mia tenerezza cibandosi della mia passione.”
In IL NOSTRO MARE pag. 83: “stretto in mezzo a due braccia i vecchi conoscono i capricci del mare…Accende e spegne rosso e verde…ma quanti soli devono ancora tramontare?”.
In LA PENTIMA pag. 86: “Ansa del mio letargo nicchia della memoria serva delle stagioni puntuale sentinella frantumi l’orgoglio e Noi ignavi schegge brulicanti nell’infinito”.
In ONDINE IL SEGRETO DEL MARE pag. 25 dove in forza di una rete che ha ghermito cellule pulsanti si stagliano “specie diverse simbiotici DNA alieni e terrestri destinati a soffrire irrazionalmente uniti” .
In SINFONIA DI MAREE pag. 63: “Rimbalza l’onda spargendo sale si ritira in disordine sparso mentre una lama mi percuote…ma scivola sui vuoti disincanti del tempo”.
In IL PESCATORE STANCO pag. 124: “Il pescatore è fermo statutario nel cipiglio domatore di nodi fra marosi mai domati….Il pescatore piange lacrime di velluto ago e filo, polso fermo rammenda la paranza assiso sulla poppa guarda la sua stella ma non le sue mani”.
Emerge evidente dai versi non un semplice osservatore proiettato su se stesso ma un viaggiatore del mondo che immette nelle sue liriche la SUA vita vissuta.
Ferruccio ha trovato in sé e coltivato un pensiero libero e uno stile del tutto personale ed originale non assimilabile a nessun maestro in particolare, e ciò non è cosa da poco.
Ferruccio non vuol fare mai pace nè con stesso e nè accattivarsi il lettore e nè i suoi compagni che ha incontrato nel suo viaggio.
Non cerca facili acclamazioni sul proscenio delle allitterazioni, rime, sinestesie e immagini fantastiche.
Il suo pensiero è proteso ad escludere proprio l’Io esteriore dell’autore e quelli propri della gran parte della sempre presente ipocrita e falsa società protesa verso i soli bisogni materiali ovvero di quella intrisa di post e like.
Per questo e per altro verso si sforza di salvificare le stabili relazioni assunte con impegno e nel rispetto dei valori di chi lo circonda e che lo riconcilia con se stesso e il mondo. Con coloro che sanno affrancarsi dalla omologazione nella consapevolezza della messa in discussione delle proprie certezze per cogliere l’essenza della saggia riproduzione di sè stessi in altri ambiti di rigenerazione.
Ferruccio appartiene alla sua terra alla sua famiglia e ai suoi amici e ciò lo porta con sé e dentro di sè con la solitudine, la rabbia, le incomprensioni, ma senza moralismi e esogene censure con una elaborazione sulla via che conduce "dall’aorta all’intenzione" (per dirla con De Andrè).
Il suo percorso lo porta alla conferma dei valori della cultura di sinistra a cui appartiene, ma che invero ed in sostanza riecheggiano gli stessi valori solidi dei suoi genitori. A partire dalla madre e non solo dal padre, con il cui mito sicuramente si confronta e a cui gli altri lo confrontano.
E dopo tanto peregrinare nelle strade della rabbia, dell’insofferenza per i mali del mondo e da sè stesso subiti e della speranza, con una identità diversa di chi da sempre ha circumnavigato le sfere dei gironi dell’essenza/esistenza, FA RITORNO A CASA, attraverso le strade passate e future:
“La strada delle ginestre è la strada della vita tante svolte alla fine una retta che prende per mano e conduce a casa” in LA STRADA DELLE GINESTRE. pagg. 89-90.
E forse perché vi è sempre la necessità di fare i conti con il passato: “Questo passato che non passa! …questo passato che fuma menzogna” in L’IRROMPERE DEL DIAVOLO pag. 117.
“Alziamo gli occhi oltre l’orizzonte finito insulso tramestio di un calpestato presente”. In CIECHI RIFLESSI pag. 116.
“Quel dolce ritornare dei padri nei figli …” (di Pasoliniana memoria) è quello che Ferruccio può dire di aver vissuto pienamente, il ritorno al suo amato padre di cui è orgoglioso, e come potrebbe non esserlo. Lui ha cercato e trovato sé stesso con profondo e sincero sforzo di unicità regalandosi a noi lettori che non possiamo che apprezzarlo.
E la sua voglia eclettica e totale di affrontare le più svariate problematiche con una poesia civile, con un pensare laico senza ricerca di assoluti superiori al di sopra dell’umana specie, e dove è la realtà dell’esistenza, pur protesa al sogno e alla speranza, a sprigionare senza riserve i conflitti aspri dell’esistenza, e che ci consegna uno dei figli migliore della Sua terra e di cui il padre Remigio ne andrà sicuramente fiero.
Grazie Ferruccio.
11.1.22
Fazzoletti per il cielo
Uscire
in un giorno di pioggia
è come consolare il cielo
accogliendo le sue lacrime
nell’immenso invaso
della nostra solitudine.
Ritrovare la magnificenza
di essere finalmente umani
carezzando le palpebre
delle nuvole reiette
fradici di malinconia
tra i sorrisi del vento.
Tornerà il sole
saltellando sull’orizzonte
il cerchio non si spezzerà
e le nostre piccole storie
saranno fazzoletti per il cielo.
La forza del respiro
A volte mi capita
di passeggiare
su pensieri smarriti
al di là del ciglio
che separa e strugge
la collina dal mare,
il buio dalla tenerezza.
E respiro intensamente,
immetto socialità
in alveoli angosciati
da vecchie pandemie.
Anarchici abbruttiti,
falsi eremiti,
cavalieri del dubbio,
oceanografi dell’anima,
scrutiamo il cielo dell’utopia
tracciando raggi di poesia.
Bar Paradiso
Stavo perdendo
la mia briscola col Diavolo
in fondo a quel tugurio di cera,
unto di vetri, sporco di noia,
con la pelle del cuore
sfregiata in più punti.
Poi sei apparsa
come statua di Fidia,
imbalsamata di rossetto
con quel gomito sensuale
appoggiato al mio sguardo.
Non sentivo quel sapore
di fragola e sudore
da migliaia di giorni
e il mio petto rimbalzò
cadendo sul tuo sorriso.
Fu così
che stracciai le carte al Diavolo
ridendo corsi verso le tue ali
lasciandolo con un palmo di coda
a guardarmi ballare con te
nel bar diventato paradiso.
la mia briscola col Diavolo
in fondo a quel tugurio di cera,
unto di vetri, sporco di noia,
con la pelle del cuore
sfregiata in più punti.
Poi sei apparsa
come statua di Fidia,
imbalsamata di rossetto
con quel gomito sensuale
appoggiato al mio sguardo.
Non sentivo quel sapore
di fragola e sudore
da migliaia di giorni
e il mio petto rimbalzò
cadendo sul tuo sorriso.
Fu così
che stracciai le carte al Diavolo
ridendo corsi verso le tue ali
lasciandolo con un palmo di coda
a guardarmi ballare con te
nel bar diventato paradiso.
6.1.22
Primo e Unico
Il Primo amore non ha
guscio temporale,
narrazione algebrica.
Precipita.
Penetra.
Folleggia.
Scava.
Prosciuga.
E anche se fugge
da quel momento in poi
non serve più
seguitare a contare.
5.1.22
E' così semplice...
Che poi…
Basta poco…
Un pullover arrotolato sul divano
un film dove abbiamo riso e pianto
il gatto in mezzo a noi
uno spazzolino in due
tu che mi chiedi “mi ami sempre?”
io che dico “certo che no!”
e ti faccio il solletico sulle caviglie
una battaglia di cuscini
la luna che s’impicca alla finestra
e tu che incendi la mia vita.
Magia di un'attesa
L’attesa
di un incontro
è tempesta
di attimi,
fuoco
di fantasie,
tracimazione
di sogni
imbevuti
d’umori,
intrisi
di cielo.
Come può
tenersi
al guinzaglio
un desiderio
che ulula
al sorgere
del tuo corpo
invischiato
di stelle
riverso
di grano?
Ma infine
una maestá
di luna
rivela
chiaritá
impertinenti
offrendosi
inerme
al mio sguardo
che ti raggiunge
scalando
cime argentine.
Auguri a noi
Auguri a noi
comunisti della tenerezza
anarchici della bontà
faccendieri di pace
bucanieri di abbracci.
Auguri a noi
migranti di sorrisi
prìncipi degli ultimi
esploratori del bello
ubriachi di poesia.
Auguri a noi
musicanti della luna
navigatori dei sogni
innamorati solitari
orfani dell’infinito.
Auguri a te
miracolo della vita,
vortice d’azzurro
sulla pianura dei grigi.
Non è mai Natale
Ecco che scivola via
sotto i tacchi del già sentito,
già assaggiato, già dissimulato.
Azioniamo quel meccanismo
che separa il falso dal reale,
il corretto dall’agognato.
Viviamo sul meridiano
dell’enfasi virale
dove si consumano
le nostre briciole di godimento.
L’icona del bambino
si ritrae nella ciclica delusione
di un mancato miracolo
recluso fra le pareti
del nostro carcere dorato.
Abbiamo palpebre abbassate
che non scavalcano
i parapetti fortificati
delle nostre certezze vuote
addobbate una volta l’anno
di ridicoli pentimenti.
Ma tant’è:
siamo acidi imperfetti,
sinossi bulimiche,
cosmiche casualità,
come asteroidi impazziti
viviamo a casaccio
nella pace dell’incoscienza.
25.12.21
La collezionista di sogni
La vidi la prima volta mentre correvo affrontando uno dei miei percorsi preferiti.
Quando il tempo non è eccessivamente umido mi piace battere sentieri misti dove il fuoristrada ti resetta i polmoni e i giochi di luce e ombra creano effetti stupendi. Su uno di questi sterrati si deve passare sotto un vecchio ponte in muratura che unisce gli orli di un terreno padronale. È un breve tratto di un antico torrente di acqua piovana, oramai secco, forse inghiottito dal cemento, quelli che chiamiamo “mene” in vernacolo.
Da lontano mi parve di intravedere un sacco sotto il ponte. Quando raggiunsi gli ultimi cespugli mi resi conto che si trattava di qualcos’altro.
C’era un corpo seduto avvolto da una coperta.
Mi fermai, un po’ incerto e curioso. Il corpo apparteneva ad una donna. Me ne resi conto dai lunghi capelli neri, abboccolati in un inestricabile caos riccioluto, che circondavano un viso aggrottato, appena visibile dalla coperta color marrone pallido.
Ma quello che aveva colpito in modo singolare la mia attenzione, era una seconda coperta, stesa a terra a fianco alla donna, sulla quale, ammassati, c’erano tanti libri. Mi avvicinai. Libri di poesie. Prevert, Neruda, Baudelaire, Pessoa, Merini, Garcia Lorca…
La donna, che pareva assopita, alzò il viso e mi fulminò con due opali che parvero farmi una radiografia.
“Ciao” - le dissi - “Vendi libri usati?”
“Colleziono sogni.” - rispose.
Si liberò dalla coperta e mi indicò i libri.
“Ognuno di loro ha sparpagliato sogni nell’etere e io li raccolgo e li porto con me”.
Vidi che indossava una felpa e dei pantaloni di due misure più grandi, scoloriti e sdruciti. Ai piedi aveva degli scarponi di due colori diversi, uno dei quali aperto da un lato. Ma non riuscivo a comprendere come mai non emanasse trascuratezza, ma anzi, una forza attrattiva inesplicabile.
“Anch’io scrivo poesie” - dissi.
“Lo so, ecco perché mi hai trovato” - rispose.
Doveva avere qualche rotella fuori posto, pensai. Così la salutai e mi rimisi a correre.
Da allora ogni volta che calcavo quel percorso, lei era sempre là con i suoi scarponi, i suoi capelli ricci, la sua aura indefinibile e la sua coperta di libri. Solo che essi erano sempre meno numerosi e ogni volta diversi.
Un giorno portai con me il mio libro di poesie.
Corsi fino al ponte e lei era là. Ma quella volta era in piedi e sembrava attendermi.
“Ti ho portato il mio libro.”
“Ci hai messo tanto” - mi disse - “io l’ho già letto, ma era necessario che lo avessi qui con me.”
Ma come poteva averlo già letto? Mah! Era proprio un pò svanita!
Le lasciai il libro e ripresi la corsa, ma poi mi voltai e vidi che mi salutava con il braccio alzato.
Era la vigilia di Natale quando decisi di rifare quel percorso. Arrivai nei pressi del ponte ma non c’era nessuno. Mi fermai per cercare delle tracce di una sua recente presenza. Nulla.
Poi alzai gli occhi e vidi la scritta.
Con una grafia incerta sul muro dove lei si sedeva c’era una frase:
“Papà tuo ti saluta”.
Rimasi a lungo sotto quel ponte.
Si mise a piovere sui cespugli e sulla vita intorno, ma quelle che bagnarono i miei occhi furono lacrime di gioia.
Il potere di un nome
Il potere di un nome
ferma il tempo
sul crinale della quiete
- quella falsa quiete -
e, indocile trivella,
buca i giorni
di splendida nullità.
E sempre
al centro del mio nulla
si narrano storie di venti
che imboccano valli incantate
dove danzano petali di sole
ordinati come prodigi
a disegnare il tuo nome.
Io amai
Io amai.
Come coniugare un miracolo,
un passato remoto
di un tempo rugginoso,
uno strofinarsi di primavere
in un letto di comete.
Io amai
È prima persona
di un verbo prostrato
ad un solo oggetto,
è regola quantistica,
assioma sinfonico
destinati all’assurdo.
Ci fu un tempo
in cui amai
e strappai
il mio cuore
facendone coriandoli
affidati al maestrale.
Ci fu un tempo,
- divino telaio -
che cucì una stoffa
d’infinita gioia
aderente ai sogni.
17.12.21
Solletico di sole
Solletico di sole
su pelle dorata
brividi di sfioro
accendono sensi,
rannicchiati ventagli
di luce prona.
In questo mix
mi lascio immergere
grato al disfarmi.
Buona usanza
È buona usanza
appena sveglio
rimboccare la coperta
dei sogni incompiuti,
riporre ordinate
le fantasie nel comodino,
disarmare i battenti
alla vita che preme
umida di tenerezza.
Cosa importa se piove
sul tuo ombrello di follia?
I segreti dell'inverno
L’inverno pudico
copre di candore
le nudità dell’autunno
e custodisce
sotto le coltri
fuochi proibiti.
La giostrina
E gira gira la giostrina
con addosso
un cerchio di domande
cavallucci domati
dal senso dell’inutile
fuoristrada dell’ovvio.
Gira gira la giostrina
dove sistemiamo
alla bell’è meglio
i nostri sogni bambini
abbagliati da lucine
assordati da cantilene.
Gira gira la giostrina
al ritmo arterioso
di pulsazioni sotterrate
fra reticoli di assenze:
noi gabbiani panchinari
non vorremmo mai atterrare.
Gira e rallenta la giostrina
ci abbottoniamo i cappotti
le lucine si abbassano
siamo pronti a riprendere
i nostri sogni bambini
per tenerli sempre con noi.
11.12.21
Visite
Mi chiedevo perché
accade spesso
di sentir bussare
dietro i vetri complessi
del dubbio
e della remissione.
A volte è una tortorella
a volte un grillo afono
o un micio spelacchiato.
Mi ricordano provvidi
che c’è una ruota
che gira nel mondo là fuori.
Qualcuno mi prende
per la mano del vuoto
e lo colma di parole ricche.
Così scivola il tempo
tra slanci e rottami,
silenzi e ritornelli epici,
mentre l’arco del sole
compie una sinfonia struggente:
racconta una fiaba
dove non tutti finiscono felici
ma sanno parlare
la lingua dell’oltre.
Posate di desiderio
Ho apparecchiato
la mia tavola di parole:
un cucchiaio
per raccogliere volontà,
un coltello
da affondare nel rimpianto,
una forchetta
per graffiare il fondo,
un tovagliolo
per ripulirmi la coscienza,
e un bicchiere
di follia
da bere con te.
la mia tavola di parole:
un cucchiaio
per raccogliere volontà,
un coltello
da affondare nel rimpianto,
una forchetta
per graffiare il fondo,
un tovagliolo
per ripulirmi la coscienza,
e un bicchiere
di follia
da bere con te.
Non so chi sarai
Non so chi sarai
che scarpe indosserai
calpestando il mio suolo,
non so cosa leggerai
fra le pagine ingiallite
testimoni inzaccherate
di un passato derubricato.
Non so quali porte schiuderai
se sceglierai quelle semplici
che non hanno saliscendi
o quelle a doppia mandata
senza averne il permesso.
Non so se avrai gli occhi
di un colore trascurato
o le mani con le piaghe
da mostrarmi in preghiera
e piangere di stupore.
Non so se nel tuo kit
avrai cerotti di circostanza
o toccasana di cashmere,
se mi toccherai nel profondo
o ti aggrapperai agli orli.
So poco o nulla di te;
per quanto mi riguarda
forse non sei mai nata
ed è per questo
che sono certo di conoscerti.
Domenica
Domenica.
Sono otto lettere e quattro sillabe
che bussano all’uscio
in quelle giornate senza sole
(tanto il sole ce l’hanno dentro)
dove il palcoscenico è degli odori,
dei sapori, di quell’aroma di sorrisi
che dimora sulle rughe,
si accoccola sulle gote,
si cerca negli sguardi
e nei bicchieri di vino.
Domenica e ti senti diverso
hai la faccia di uno
che non ha bisogno di nulla
perché senza chiedere
ti apre la porta il benvenuto.
Domenica e ti senti uguale
a quell’amico che hai lasciato
in fondo ad un arrivederci
arrotolato al suo cappotto
di ricordi e di bambini persi.
Domenica e ti senti strano
perché la vita in fondo
ti vuol bene e ti stima
anche se sembra assente
ma è solo impertinente
vuole essere inseguita
come un gioco innocente.
Domenica è sempre lei
come dicono in TV,
ma tu hai un unico replay
in cui scorrono i tuoi errori,
ma tu sei felice
perché puoi contarli e vivere.
Se non ci fosse la domenica
dovrebbero inventare un posto
dove l’amico col cappotto,
i sorrisi di una volta,
le tue stupidate
si mischino agli odori,
ai sapori, agli sguardi,
alle rughe e ai bicchieri di vino,
per non lasciarsi mai più.
Ti cerco
Ti cerco
nell’inserzione
perfettibile
dei soli,
nel miscuglio
insondabile
di cromosomi
impazziti
di colori.
Ti cerco
in valigie
allacciate
di addii,
in rintocchi
impercettibili
di rancore,
nel caos
ingovernabile
di solitudini.
Ti cerco,
ma l’arcobaleno
mi sberleffa:
sull’ultimo metro
fugge
verso l’infinito.
Cestino di pensieri
Mi piace
raccogliere
pensieri
appallottolati,
gettati via
in fretta,
versi inutili,
quelli di cui
non posso più
fare a meno.
Combustibile
Questa sera
ho acceso un fuoco,
avevo pensieri freddi.
Ho capito tardi
che non mi occorreva legna
ma il tuo soffio
per attizzarmi il cuore.
che non mi occorreva legna
ma il tuo soffio
per attizzarmi il cuore.
3.12.21
L'attesa dell'alba
È di nuovo notte.
Mi aspetta
il tuo sogno
sotto il cuscino.
E poi sarò ancora lì
a pettinare l’alba
con raggi capricciosi
che flettono i vetri
e pensieri birbanti
a spalmarti l’anima.
Ti pregherò di stare
ancora un attimo
a farti baciare
sugli orli
delle nuvole.
Divisione cellulare
Raccolgo evanescenze,
corolle d’alba
in cui è dolce
l’abbandono monocromo
in un mare cellulare.
Mi rigenero in te
mia separazione nucleare
estenuante pendolo
oscillante tra i poli
d’un eterno ritorno.
Ampolle
Amare è conservare
ampolle di sensazioni
mutatesi in sogno,
crepe d’argento
svelanti le nostre anime,
ingranaggi perfetti
che scippavano dolcezza,
spalmavano estasi,
guadavano laghi,
scalavano rupi
e poi precipitavano
a spalancare inferni
d’insaziabile bruciare.
Mille coincidenze
Mille coincidenze
agganciano in volo
la tua parvenza muta,
e brandelli di pensieri
confliggono latenti
mentre atona mi sezioni
con chirurgica indifferenza,
autopsia dell’anima.
Accarezzo ombre
percorrendo le curve
della tua assenza urlata
fine persecutore
dei tuoi rifugi segreti,
incessante obbedienza
alle sensuali movenze
delle tue divine cellule.
Sfoglio petali assurdi
dai tuoi desideri fioriti
mentre danzi ninfa giocosa
nuda d’essenza di sogni,
vestale d’ineffabile sostanza
grimaldello della mia prigione.
Scivolo infine, succube,
su pendii zuccherini
dove mi assolvo impenitente,
inginocchiato al tuo fulgore,
oasi di travolgente veleno,
unica ed ultima scialuppa,
giaciglio della mia tempesta,
guscio di sole infinito.
Puro caso
È stato puro caso
quando hai scovato il chiodo
che teneva appese
le chiavi del ripostiglio
dove avevo dimenticato
i pezzi del mio cuore:
si sono incollati
alle tue labbra.
Correre
Correre è un verbo sinergico.
Viene coniugato
in feroce alchimia
tra i cunicoli più reconditi
dove s’incrociano
mente e cuore
polmoni e sangue.
Correre è credere
nello splendido miracolo
che si cela dentro di noi
soffocato e denutrito
dalle miserie della vita.
Correre è cercare sè stessi
quando ci troviamo
in fondo al pozzo
e ci strangola la luce.
Correre è come scrivere
poesie senza fine
quando arrivi e raggiungi
te stesso sfuggito al dolore
e ricominci una nuova storia
dai primi passi, dai primi versi.
Io correrò
fino alla fine del tramonto
quando l’ultima poesia
incendierà il mio passo
e scalerà le stelle.
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