17.8.25

Sai che farei?



Una rarità il tuo sorriso.
Fatica a scavalcare
aspri ed incompresi dossi
e frusti linguaggi.

Sai che farei?
Potrei indossare
un naso a cipolla
e portarti un gelato
a quattro zampe
abbaiando e scodinzolando.

E quando la tua bocca
sarà falce di luna
il cielo si fermerà
ed io cercherò
di acchiappare il cuore
che volerà da te.

7.8.25

All of me - John Legend



La mia rivisitazione:


Amo tutto di te
alfa ed omega
mi concentro spesso
sulle tue meraviglie
ma quello
che mi fa impazzire
è navigare
tra le tue imperfezioni
le faccio mie
faccio mio tutto di te
e poi ti dono
tutto di me.

Ne ho bisogno.
Ne ha bisogno
la mia pazzia
di provare
le escursioni profonde
nelle oscurità che nascondi
tra i pertugi dell’anima.

Tutto di te
proprio tutto
è spalmato su di me
come miele da gustare
giorno per giorno
bacio su bacio
mio inizio e mia fine.

4.8.25

Affinità



Quando due affinità si accarezzano
non hanno bisogno delle mani.
Raggi di carne e tentacoli di vento.
Fredda lama sulla schiena della poesia.
Uncino che arpiona la gola
e liquefa tentazioni.
Appuntamento nella cruna
dell’ago della felicità.

3.8.25

Another day in paradise - Phil Collins



La mia rilettura:

Pioveva tra una selva di gambe
inferocite da un’inerzia malata
non gli piaceva più vivere
poi sentì una voce fradicia
chiedeva aiuto senza labbra
e il pianto era pozzanghera
e il pianto era d’argento

lui si fermò nel vetro
e si rise addosso
non gli piaceva più sognare
ma lei lo chiamò per nome
e lui pensò che forse
era già in paradiso

lei si fermò nel vetro
ed erano bellissimi
bagnati di ferite aperte
seduti tra le lacrime
mentre piovevano angeli

sì forse erano già in paradiso
in una piazza di folla malata
che ignorò quei due barboni
stretti in un giorno di pioggia
abbracciati in paradiso.

27.7.25

Scritture brevi: “Andava e basta.”



Aveva appallottolato tutti i pensieri in un fazzoletto e se li era cacciati in tasca.
”Vi riprenderò dopo”.
Anche il flusso involontario di adrenalina che tendeva ad accelerare le pulsazioni era sotto il suo controllo.
Si avvicinava al bar respirando con lentezza. Gli sfuggì dalla tasca una curiosità su cosa lei avrebbe indossato. Il suo look in un giorno di festa.
Riprese al volo il pensiero e lo ricacciò in quarantena.
Andava e basta.

Il sole tiepido lo inseguiva trotterellando piacevolmente in quella strana mattina di dicembre. La stagione aveva posato i suoi soliti arnesi da lavoro e si era presa un giorno sabbatico. L’Immacolata quell’anno ebbe l’occasione di bussare con gentilezza alle finestre per introdurre i primi scampoli natalizi.
Era direttore di un ufficio postale in pieno centro e l’aveva conosciuta in uno di quei giorni in cui sembrava che tutta la città stesse provando l’irrefrenabile pulsione di spedire qualcosa. I loro sguardi s’incrociarono mentre lei annaspava in una ressa micidiale ad uno sportello, e a lui parve di scorgere una timida richiesta d’aiuto. L’invitò nel suo ufficio e risolse tutto velocemente. Da quel giorno in poi il servizio postale non fu più un problema per lei.
Si sedimentò qualcosa che assomigliava ad una innocua simpatia. Scambi di battute, piccole innocenti confidenze, affinità di letture e nient’altro. Erano entrambi impegnati e quindi lui rimase molto sorpreso quando una mattina, con noncuranza, sentì la sua voce proporre: “Perché non ci prendiamo un caffè?”
Beh, era solo un caffè. Quanti prenderebbero un caffè pensando che non sia solo un caffè? E quanti prenderebbero un caffè pensando che sia tutto fuorché un caffè?
Si dettero appuntamento in un giorno libero. Ed eccolo il giorno libero e lui non aveva nessuna voglia di pensare.
Andava e basta.

Senza rendersene conto, aveva alzato il passo fino a varcare con inusitata veemenza la soglia del bar. Quasi pentito della sua irruenza si guardò intorno con circospezione e inciampò su degli occhi nocciola che con una facilità disarmante gli svuotarono le tasche di tutti i pensieri.
“Che ci faccio qui?…Ma è solo un caffè…Accidenti quant’è bella!…Dico che ho un impegno…Ma sei scemo?…”.
Questo disordine cinguettava intorno alla sua testa svolazzando libero, finalmente.
“Ti senti bene?”
La sua voce lo riportò nel mondo reale.
Riagguantò a fatica tutti i prigionieri evasi.
“Ehm…si.” 
Quegli occhi nocciola lo scrutavano divertiti mentre ciocche di capelli biondi ondeggiavano su un foulard di seta rosa. Un soprabito fucsia, aperto sul davanti, rivelava un maglioncino sottile, intonato. Insomma lei era uno spettacolo delizioso e certamente non aveva nessuna raccomandata da spedire.
Sedette al tavolino e dopo pochi minuti di conversazione capì che avrebbero consumato un caffè che sarebbe stato tutto fuorché un caffè.
Infatti lui non ricorda più nulla di quel caffè. Quello che ricorderà per sempre sarà il saluto che si scambiarono in un vicolo a fianco del bar. Un bacio sulla guancia durato così tanto che forse è ancora lì, sospeso in aria, in quel vicolo.
S’incamminò con tutti i pensieri che gli facevano scia, ridendo e cantando. Lui rideva e cantava con loro, felice di averli liberati.
Non aveva più paura.
Andava e basta.

19.7.25

Non temere



Non temere
questo silenzio innaturale.
Non ho il crampo del poeta,
nè palliative distrazioni,
non fingo indifferenza,
non vegeto
in catatonica abulia.

Ho un ripostiglio da sistemare
vasetti di chissà,
barattoli di schianti,
contenitori di tramonti,
cartoni di versi scappati via.

Metterò tutto in fila
in processione funambolica
in cima il prete conciliante
incapace di perdonare.

Metterò tutto in tondo
in circolo sistemico
in fondo il tuo bagliore
incapace di dimenticare.

4.7.25

Loro non si guardavano negli occhi



Quella sera non si poteva dire
che si stessero guardando negli occhi.
No era diverso.
Era molto di più.
Quelli che uscivano dai loro occhi
erano vagoncini di un trenino a vapore
che sferragliavano su binari di arcobaleno.
Ognuno caricava un cuoricino
che ballonzolava e si gonfiava
ad ogni sbattere di ciglia.
Loro non si guardavano così, semplicemente, negli occhi.
Loro erano in viaggio
senza fermate
senza coincidenze
con biglietti di sola andata
verso una stazione senza orologio.

23.6.25

Pasoliniana



Sotto le suole
terra assetata s’aggrinza
e l’anima biancheggia,
trucioli di foglie esauste
scovano refoli da azzannare.

Un silenzio antico
alza un sipario desueto,
neri contadini sciamavano
unti d’amore per le zolle
e donne di frontiera
cantavano al vento.

Falso progresso ci ammalia
il predominio del marcio
il turpiloquio del potere
l’abominio sui bambini,
ci abbandona financo
la percezione di esistere.

Campi gibbuti
come pensieri adunchi
rarefavano l’aria
di stoppia e fumo.

Ahi! il tempo uncinato
nei vicoli incisi di tufo
immersi negli odori
stagnanti saggezza.

E tu bambino di ieri
raggi dorati
sulla schiena del paese
seduto su gradini
addentati di sogni
puntavi dita verso il cielo.

12.6.25

Ossessione



Ti diverti
a farti rincorrere
scarmigliata di poesia
umida di luna
ebbrezza e furore
mi fai uno sberleffo
vestita di sola luce.

Sei faglia che dirompe
fragore di comete
ossessione di perla
sei endovena dí desiderio
perdizione e miracolo
sei impulso al perverso
rutilante, tracimante.

Sei mia ma ti neghi
sono tuo e mi travolgi

28.5.25

La tortorella smarrita



Mentre la curva della sera
si stropiccia di rosa
avverto l’esitare dell’ora
e i pensieri trattenere il respiro.

Sei sempre tu sullo sfondo
a dettare strofe di malinconia
fra le cime garbate dei pini
rifugio di una tortorella distratta.

È il momento cruciale
in cui frugarmi dentro
e ritrovare le stesse stanze
in cui si siede il cuore.

Vorrei sfrattarmi dai vuoti
dai riti, dalla poesia,
e chiedere asilo ad altri mondi
dove passeggiare senza memoria,
godere di un tramonto
che insegni, infine, alla tortorella
la strada di casa.

23.5.25

Anatomia



Avevo rinominato
le parti del tuo corpo
in cui mi perdevo:
nastrina
piccolo principe
pianeti fatati

e noi
non ci chiamavamo più per nome
ci eravamo battezzati
“Amore”.

21.5.25

“Il materiale emotivo”



Poesia ispirata dal film 


I miei giorni
erano un flusso diseguale,
ma senza ruvidi spigoli,
nè tracimati argini,
piatti, profumati di carta.

Li sfogliavo disattento
sotto una mansarda di stelle,
luminose solo al tatto
che si spegnevano nei volti.

Quando bussasti alla vetrina
non conoscevo ancora gli uragani,
i libri si nascosero dietro le copertine
non credendo alle proprie fantasie.

Mi stappasti come uno champagne
sbattesti il tappeto della vita,
le mie ordinate ossessioni
“ma butta via tutto!”

E facemmo cose,
rubammo mele,
suonammo citofoni,
ci urtammo sull’autoscontro,
e ballammo, ballammo tanto,
fino al giaciglio del sole.

Non mi ero accorto
che avessi la forza di tenere
la clessidra orizzontale
e noi fermi in mezzo
a dondolarci nei sogni
al ritmo di un violinista pazzo.

“È materiale emotivo”, dicesti
“È un ossimoro”, risposi.
Ma ci avrei giocato per sempre.




20.5.25

Nuvole



Mi adesca 
la plasticità delle nuvole
talora pompose o plebee,
affabulanti viaggiatrici.

Le osservo discreto
sovrapporsi e ricomporsi
nei loro scontri silenziosi,
ciondolanti scrittrici
di favole sempre nuove.

Dipingono su tavolozze
di cieli dolci o imbronciati
e non s’adombrano per l’oblio
di chi le archivia con noncuranza.

Di rado nello scorrere
s’avvedono compiaciute
di esteti del dubbio
operai di sogni
che condividono con loro
gli abbracci dell’infinito.

A volte chiedo loro un passaggio
confidando nella perizia
di angelici tassisti
che mi scarrozzino lontano
laddove si smarriscano
le solitudini e le contese
in turbinii di pace.

19.5.25

Le parole nel caffè



Castigarmi di parole
è sermone divino
quando ci sei tu
specchiata nel caffè
mentre cerco
di appallottolare i sensi
e tu, ridendo,
mi scarti, mi stiri
e mi guidi l’amore sui fogli.

11.5.25

Gaza



Gaza è un macigno
di ossa stritolate
mangime di corvi,
diroccato museo
di ombre e palloncini.

Gaza ha un dito puntato
verso un occidente putrefatto
immeritata culla
di corrotta civiltà.

Gaza ci rincorrerà
nella notte dei tempi
con la falce del perdono,
brucando con nobiltà
l’erba dell’inanità.

Gaza intingerà
il suo pennello di pane
su tavolozze di Storia
incrostando vergogna
sui vetri delle scuole.

Gaza è urlo della terra
tumefatta da inutili parole
sopraffatta dai silenzi
scavo di tombe nane
coperte da cuori di muffa.

Gaza è un unico
grande, perverso macigno
che rotolerà sulle spalle
della nostra incolore progenie.

8.5.25

Che te ne fai?



Dimmi, cosa te ne fai
dei miei pensieri magri
baci di polvere e sogni
che tamponano le tue ciglia.

Che te ne fai di me
e della mia cieca velleità
ad accanirsi d’amore
su marmoree curve d’anima?

27.4.25

Claudicare



Mentre il tempo
s’impiglia ai passi
incerti e bizzosi
di un aprile stentato,
mi rigiro nel tuo pensiero
premura di golfo accogliente
oasi e madre,
tana del mio scorrere d’inerzia.

26.4.25

Voglia di poesia



Quando hai voglia di poesia
non è complicato:
porgimi il tuo bicchiere
dove hai lasciato il rossetto,
appoggia il piede
sul mio petto,
sorridi,
così spegni le stelle,
leggi le mie labbra
e ti sporgi sull’infinito.

21.4.25

Sempre rincorrendo Pessoa



L’unico indizio
della coscienza di esistere
è l’impulso al porsi domande.

Quando la curiosità
esprime forza centripeta,
coglie la possibilità
che l’autentico essere
non sia “oltre”,
ma che noi stessi
abitiamo un “oltre”:

uno dei milioni
sui quali pochi altri
si pongono domande.

7.4.25

Missive disperse



Il vecchio impiegato
dell’Ufficio Postale
piegò gli angoli delle labbra
e, contemporaneamente,
sollevó, senza apparente sforzo,
le virgole dei sopraccigli.

Mi giudicava così,
appeso al suo sarcasmo,
mentre dalle mani
mi scappava via
l’ennesima lettera
inutile come una prigione.

Tutte quelle poesie
le recapitava lui
ai cuori trasferiti,
indirizzi inesistenti,
destinatari sconosciuti.

Lo pagavano profumatamente
per generare l’illusione
di averle consegnate.